LA PERDITA DELLA SACRALITÀ DEL CORPO. UNA LETTURA PSICOLOGICA

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Il tema del corpo è stato oggetto delle riflessioni ad ampio raggio degli autori, che si sono focalizzati sui cambiamenti relativi al concetto di sacralità del corpo e al suo significato, in termini di rispetto, ascolto, dignità e capacità riflessiva, in un’epoca in cui le nuove tecnologie promuovono sempre più velocità e immediatezza e in questa prospettiva si pongono le aspettative delle persone, anche e soprattutto in termini relazionali. Si sono attinti dalla Letteratura Psicologica i significati di schema corporeo, immagine corporea e coscienza di sé, facendo un parallelo con quanto ci viene proposto dalla Fisica Quantistica. Si sono toccati altri aspetti legati al concetto del corpo, quali il suo linguaggio specifico, spesso ignorato, e con esso i suoi bisogni, soprattutto nei mesi di pandemia, e a quest’ultimo riguardo si sono affrontati aspetti legati ai rischi di strumentalizzazione del corpo, dall’infanzia all’età matura, a causa della perdita di una visione unitaria corpo-mente, corpo-anima, in un’unica ottica riduttiva di salute fisica. Gli autori hanno fatto un breve accenno al tema del transumanesimo legato agli aspetti del corpo, con un continuo rimando ai giorni nostri e al veloce mutare delle abitudini, degli usi e costumi, in un’epoca di profondi e rapidi cambiamenti.

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DALLO SCHEMA CORPOREO, ALL’IMMAGINE CORPOREA, ALLA COSCIENZA DI SÉ

La parola “psiche” deriva dal greco ed il suo significa­to primigenio è “respiro”, “soffio vitale” che con il tempo ha virato verso “funzioni e processi che danno all’individuo esperienza di sé” (https://www.trecca­ni.it/enciclopedia/psiche/): un eloquente superamento del binomio corpo-mente, ancora oggi nel senso co­mune inteso come separato, dato che l’esperienza di sé inizia attraverso il respiro e attraverso i sensi.

Il primo confine imprescindibile a cui facciamo riferi­mento nell’immaginario del nostro corpo è la pelle, ma essa rappresenta implicitamente anche la nostra ca­pacità di metterci in relazione. Essa ci separa e ci uni­sce allo stesso tempo, un’operazione unica e sottile, come sottile è la linea che disegna la demarcazione che rappresenta.

Il confine epidermico marca le forme, le definisce e al tempo stesso pone i presupposti della relazione con l’altro, essendo visibile e tangibile, richiedendo tatto e contatto. Un compito, quello della pelle, delicato e complesso, temuto e desiderato, che per secoli è stato fonte di indagine e ispirazione: contenere e donarsi nello stesso istante che si sussegue. Un miracoloso in­treccio di corporeità ed emozionalità sensoriale che vive attraverso una miriade di recettori e sinapsi. Mi­racoloso quanto delicato in tutti i suoi risvolti, potente nella sua naturale complessità. La pelle contiene e de­finisce il corpo, un’unione di sistemi sincronizzati e complessi.

La meccanica quantistica, teoria della fisica, studia la materia non solo come “particella”, come si limitava a fare la fisica classica, bensì anche come fenomeno on­dulatorio, e tratta di frequenza, intensità, colore, distanza, spettro della luce e altro ancora, in una parola ne studia l’energia, (Rovelli, 2014), e attingendo da essa, ne deriva che il nostro corpo è sia materia che energia, è vibrazione, è uno strumento molto prezioso attraverso il quale abbiamo coscienza di essere al mondo. Attraverso il corpo possiamo vedere, ascolta­re, odorare, gustare, toccare, ossia vivere la sensoriali­tà, oltreché, entrare in contatto con l’altro, abbraccian­do, accarezzando, baciando, nonché vivere le emozio­ni che nascono dall’interazione.

Attraverso il corpo sentiamo piacere e sentiamo dolo­re. Il corpo con le sue sensazioni e le sue percezioni ci avverte di stati di benessere o malessere, di stati di al­larme o di malattia attraverso cui ci segnala difficoltà, disagio, emotività non espressa, o un vissuto traumati­co. Non possiamo separare il nostro corpo dalla nostra psiche e dalla nostra emotività che, a sua volta non è astratta dai processi corporei perché attivata dal senti­re, modulata da informazioni sensoriali elaborate in sede centrale e nuovamente trasmesse alla periferia del corpo (Ruggieri, 2001). Dunque, il nostro corpo è in continua relazione circolare tra il nostro sentire e il no­stro immaginario, non c’è separazione tra mente e cor­po, tra emozioni e corpo, tra sentimento e corpo. L’immaginazione è una esperienza psicofisiologica di base, fondamentale per poterci rappresentare la realtà e la prima realtà è una realtà corporea. Infatti, è pro­prio attraverso il processo dell’immaginazione, attra­verso le informazioni sensoriali che dalla periferia del corpo arrivano a livello centrale, che il bambino si for­ma una rappresentazione di sé, attraverso la propria immagine corporea e le relazioni che ha con il mondo esterno, relazioni affettive, di contatto innanzitutto con le figure di accudimento e successivamente con le in­terazioni sociali, attraverso il gioco, sia con i pari che con gli adulti (ibidem). Una volta formata questa im­magine corporea e la relativa rappresentazione del mondo esterno, questo immaginario viene continua­mente confermato o se è necessario modificato, sia dalle informazioni ricevute dall’esterno, che dalle pro­prie informazioni sensoriali, dato che l’essere umano è in costante trasformazione, durante tutte le fasi del ci­clo di vita.

Su questi temi citeremo di seguito fonti autorevoli, ri­portando il loro pensiero, frutto di studio, di ricerca e di pubblicazioni scientifiche, capisaldi della letteratura psicologica e neuropsicologica.

A sostegno dell’importanza dell’affettività legata al contatto come fondamentale spinta propulsiva allo svi­luppo dell’immagine del sé, possiamo menzionare l’operato di Daniel Stern (1985). Egli trattando la pro­gressione evolutiva del senso del Sé nel bambino, de­finisce anzitutto un senso di “Sé emergente”, che il bambino fino al secondo mese dalla nascita è impe­gnato ad organizzare in un processo che sarà attivo per tutta la vita. In questa fase, pur avendo il neonato un primario senso del sé, vive immerso in un bagno di sensorialità che stimola la formazione del suo apparato nervoso. Dal secondo fino al sesto mese di vita, il bambino va incontro a un cambiamento qualitativo che ridefinisce il suo “senso di sé” in cui Stern indivi­dua la formazione di un “Sé nucleare”, costituito da un “Sé fisico”, sperimentato come un’entità fisica unitaria dotata di una volontà, una vita affettiva e una storia proprie. Pertanto, il “Sé nucleare” comprende l’“Io corporeo”, ma include qualcosa di più di uno schema sensomotorio, ossia elementi affettivi. Al formarsi del “Sé nucleare”, il mondo sociale del bambino viene modificato ed egli entra in un nuovo territorio, nel campo della “relazione nucleare”, per poi costruirsi tra il settimo e il nono mese di vita un nuovo senso di Sé, il “Sé soggettivo”, che rende possibile un’inter­soggettività tra sé e l’altro. Entrambi, il “Sé nucleare” e il “Sé soggettivo” operano fuori dalla consapevolez­za, sono impliciti e non verbalizzabili. Il “Sé verbale” si costituisce tra i quindici e i diciotto mesi, quando il bambino è in grado di creare dei significati condivisi­bili riguardo al Sé e al mondo.

Anche negli studi di Antonio Damasio (2012), neuro­scienziato e psicologo, osserviamo analoghi collega­menti. Egli sostiene che attraverso lo schema corporeo l’organismo partecipa con le emozioni agli eventi del mondo, vale a dire che il cervello ha in mente il corpo, in quanto ha disponibile uno sfondo di sentimento rife­rito ad esso in ogni istante, ma solo quando è in di­scussione lo stato di equilibrio tale sentimento diventa degno di nota, ad esempio quando è minacciata l’inte­grità dell’organismo, o quando sentiamo freddo o fame. Per cui dall’iniziale segnalazione di risposte re­golatorie automatiche al fine di regolare i processi vi­tali, si costituisce una mappatura del corpo estrema­mente raffinata, alla base sia del processo del sé nelle menti coscienti, sia delle rappresentazioni del mondo esterno all’organismo.

Sempre trattando il concetto di schema corporeo, Ge­rald Maurice Edelman, biologo statunitense, con il quale nasce il darwinismo neuronale (o TSGN, Teoria della Selezione dei gruppi neuronali), che l’Autore ri­tiene fondamentale ai fini di elaborare una teoria glo­bale della coscienza, sostiene […], “è probabile che tra le primissime dimensioni e discriminazioni della co­scienza vi siano quelle riguardanti il corpo medesimo. Sono dimensioni e discriminazioni mediate da strutture del tronco cerebrale. Ancora prima che il lin­guaggio e la coscienza di ordine superiore abbiano fat­to la loro comparsa, sarà costruito all’interno della co­scienza primaria uno spazio neurale di riferimento ba­sato sul corpo e relativo alle categorie vissute e all’immaginazione mentale di una scena […]” (http://www.nilalienum.it/Sezioni/Aggiornamenti/Neuroscienze/EdelmanUC.html, 7).

Così come la “coscienza primaria” di Edelman prece­de il linguaggio e si esprime fondamentalmente nell’emozione, la “coscienza nucleare” per Damasio si esprime nell’esperienza soggettiva dell’emozione e del sentimento, ed è indipendente dal linguaggio. Per en­trambi i neuroscienziati “[…] l’esperienza della co­scienza fondata sul monologo interiore e su una rap­presentazione verbalizzabile di sé poggia, momento per momento, su un livello più fondamentale, sostan­zialmente affettivo, preverbale” (Liotti, 2005, 30). Alle stesse conclusioni giunge l’analisi psicologica di Stern quando afferma che prima del costituirsi del “Sé ver­bale”, ossia ancora prima che lo schema corporeo e il linguaggio dotino il bambino della capacità di contrap­porre il sé al mondo, le esperienze di sé costituiscono le fondamenta di ogni altro tipo di esperienza coscien­te per tutta la vita (Liotti, 2012).

Liotti afferma che […] la coscienza non è una proprie­tà del cervello, ma piuttosto della relazione fra cervel­lo, corpo e mondo (Liotti, 2005, 30, 31) e a conferma della suddetta relazione, vorremmo fare riferimento alle teorie della meccanica quantistica, che ancora più radicalmente esprimono ed espandono questo concet­to, sostenendo che […] tutte le caratteristiche di un og­getto esistono solo rispetto ad altri oggetti. È solo nella relazione che si disegnano i fatti della natura […]. Non sono le cose che possono entrare in relazione, ma sono le relazioni che danno origine alla nozione di “cosa” (Rovelli, 2014).

LA SACRALITÀ DEL CORPO

In questo corpo alto otto palmi, è contenuto il mondo, l’origine del mondo, la liberazione del mondo e la via che conduce alla libera­zione del mondo

(Buddha Shakyamuni)

Nel corso dei millenni l’uomo è stato in un continuo processo di evoluzione culturale, sociale e spirituale e con la nascita del simbolo sono comparse le prime for­me d’arte figurativa, il culto dei morti, il linguaggio e poi la scrittura (Eliade, 1957). Nel corso dei millenni, mentre alcune tradizioni si consolidavano ed altre si perdevano, siamo giunti ai tempi nostri, in cui sempre più siamo inondati da una complessità e molteplicità di conoscenze, informazioni, comunicazioni che arri­vano in tempo reale, si ammassano, si accumulano, ci sommergono, e dunque abbiamo sviluppato una moda­lità comunicativa breve, brevissima, superficiale, me­glio se visiva. È richiesto sempre meno impegno o ap­profondimento nella comunicazione così come nello studio e nell’esercizio della memoria. Siamo giunti al paradigma: troppa comunicazione, nessuna comunica­zione, ma allora vale la pena chiedersi se abbiamo per­so, nel nostro mondo, cosiddetto evoluto, il senso della sacralità della vita e della sacralità del morire e della morte; se riusciamo ad ascoltare e accogliere la soffe­renza e la gioia di chi incontriamo; a cogliere la bel­lezza di uno sguardo, di un sorriso, di una mano tesa a chiedere aiuto o ad offrirci un sostegno; a vedere chi ci è accanto.

È con il corpo che entriamo in contatto con gli altri, con uno sguardo, una stretta di mano, un gesto, un ab­braccio. È sempre con il corpo che entriamo in contat­to con noi stessi, formuliamo e elaboriamo pensieri, avvertiamo sensazioni, emozioni, ci sentiamo vivi.

Una sempre maggiore pluralità di autori, a partire dal­la psicologia positiva, dedica una notevole attenzione ai processi di consapevolezza del qui ed ora, propo­nendo di raccogliere e togliere, come se prendessimo un fine setaccio che filtra la sabbia e le impurità e la­scia solo il prezioso oro, selezionando con maggiore attenzione gli impegni, eliminando le corse frenetiche, le mille attività, per arrivare alla chiara e semplice co­scienza. Grazie alla sacralità del nostro corpo abbiamo a disposizione tutto quello che ci serve per “sentire” cosa ci è utile e necessario, per avere coscienza di cosa è sano e cosa è dannoso per noi, cosa ci crea sofferen­za e cosa ci dà gioia. Per avere coscienza, per essere coscienza.

IL LINGUAGGIO DEL CORPO

Considerando che il 65% di tutta la comunicazione umana non è verbale e solo il rimanente 35% fa capo alle parole, noi tutti nel rapporto con l’altro sfruttiamo la fisiognomica, pertanto, come rileva Centini (2004, 8-11), “[…] il corpo e i suoi segni chiedono di essere assunti a indicatori di un’interiorità che, infrangendo regole e limiti, crediamo sia possibile scorgere tra le pieghe dell’apparire”. L’istintualità, retaggio dei nostri progenitori ominidi, sopravvive in noi, uomini evoluti, ed è alla base della comunicazione non verbale. En­trando nel dettaglio, nel volto confluiscono sia le espressioni temporalmente definite, relative al “qui e ora”, sia quelle permanenti, quali le rughe cosiddette d’espressione e i tratti fisionomici. Inoltre, sono da considerarsi i tre seguenti fattori dell’attività mentale che si rispecchiano nella mimica e nell’espressione, quali l’affettività, i processi ideativi e la volontà. Essi si influenzano reciprocamente, mentre l’affettività agi­sce perlopiù a livello dell’espressione del volto, in quanto ogni pensiero produce un’emozione – a sua volta responsabile dell’espressione – che è mediata dalla volontà (Mastronardi, 2007).

Anche in quest’ottica, l’imposizione dell’uso delle mascherine alla popolazione con la finalità di attutire l’onda d’urto della pandemia, ha creato e tuttora crea un cortocircuito nell’espressione e nella conseguente “lettura” del linguaggio non verbale, comportando dei deficit interpretativi che hanno ricadute nella relazio­ne. Questo deficit era già stato rilevato, nelle comunicazioni scritte attraverso i social, e parzialmen­te arginato attraverso l’uso delle emoticon, che con­sentono, con tutti i loro limiti, di rendere più “intelle­gibile” il testo scritto.

A questo nuovo deficit relazionale va sommato, sem­pre a causa delle restrizioni dettate dalla pandemia, il divieto di contatto fisico eterodiretto, tra cui, la stretta di mano (che a seconda di come viene data può conte­nere un messaggio di predominio, di sottomissione o di uguaglianza), il contatto guida (versione intima dell’azione di indicare); i colpetti con la mano (di sa­luto, di congratulazioni, d’amore o di semplice amici­zia); il tenersi sottobraccio (segno di reciproco posses­so, ma anche di sostegno e di protezione); il braccio sulle spalle (che esprime un rapporto di cameratismo); l’abbraccio completo (riservato tra gli adulti a momen­ti di grande intensità emotiva); la mano nella mano (che ha origine nell’infanzia); il braccio intorno alla vita (con valenza di maggiore intimità rispetto al brac­cio sulla spalla); il bacio (avente vari significati, tra cui forma di saluto amicale, o di intimità); il contatto mano-testa (che implica un rapporto profondo); il con­tatto testa-testa (una variante del bacio intenso); la ca­rezza (che può avere valenza affettiva e/o sessuale); il sostegno; il finto attacco (attraverso libertà amichevo­li, fondamentalmente aggressive, ma eseguite in ma­niera lieve ed inibita, indice di familiarità), (Mastro­nardi, 2007). Di tutto questo e ancora d’altro gli esseri umani necessitano per rapportarsi gli uni agli altri, per comprendere i messaggi caldi che arrivano dal corpo per il corpo e per la mente, la quale richiede nutrimen­to al corpo, onde colmare i vuoti affettivi che spesso la albergano.

Lo svuotamento del significato del rapporto d’amo­re. La storia dell’immagine corporea e di come si è proposto il corpo nella società ci mostra, su un livello psicologico, come esso sia emblema esistenziale della relazione con il proprio sé e con l’altro.

La quantità di innumerevoli informazioni e stimoli sensoriali pone il corpo in una posizione abituale di selezione della maggior parte di essi (Stern, 1985). Tale operazione di selezione e filtraggio, che serve all’individuo a mantenere un equilibrio psicobiologico e ad orientare la sua attenzione tra i suddetti innumere­voli stimoli, si manifesta, in ogni individuo con carat­teristiche peculiari, anche in un atteggiamento postura­le. In questo senso la postura è definita anche come lo spazio che concediamo al corpo nello stare nel mondo (Ruggieri, 2001).

Gli Autori trovano importante sottolineare come, all’interno di un sistema di elementi in cui formulare una “gestalt”- ovvero ciò che per noi sia in primo pia­no e ciò che sia sullo sfondo – le continue sollecitazio­ni spostino l’individuo dalla propriocezione alla este­rocezione. Ne deriva che il corpo sia luogo di incontro con il sé in modo intermittente ed incostante.

Eppure, allo stesso corpo dal quale si pretende una na­turale corazza (Reich, 1973) si chiede oggi un approc­cio alla relazione veloce e centrato sull’immagine e sulla performance. Si è ormai sdoganato ogni tipo di tabù sulla sessualità, spesso senza incorporare la sen­sorialità e tutto ciò che comporta.

Il disvelarsi lentamente l’uno all’altro, l’esplorarsi ed il concedersi, sono oggi antichi polverosi concetti, l’amor cortese è un noioso paragrafo di un libro di cui si stenta a trovare il senso.

La corsa all’esperienza del puro piacere è ormai diffu­samente iniziata prima dell’inizio del nuovo millennio, sono dunque più di venti anni che i giovani saltano tappe relazionali e cercano di schivarne gli effetti col­laterali. Già Eric Fromm (1957) nel suo “The art of lo­ving” spiegava come da una sessualità vissuta e speri­mentata in cerca dell’unione e della genuina fusione, si era rapidamente caduti nell’illusione di fusione, effi­mera ed ingannevole quando non autodistruttiva.

Il piacere sessuale è oggi un bene di consumo. Parte del piacere dell’amore liquido (Bauman, 2003) e senza legami, è il controllo, anch’esso illusorio, da esercitare sulla data di scadenza del prodotto. La scelta di aprirsi alla possibilità di mettersi davvero a nudo e lasciarsi conoscere, comporterebbe l’accettazione del rischio intrinseco di una possibile scadenza prematura della relazione, indipendente dal proprio controllo. All’ “homo consumens” (ibidem) non sembra appetibile entrare in contatto con la propria angoscia d’abbando­no o con il carico emotivo del partner.

Mentre assistiamo alla venerazione dell’immagine del corpo, nella sua forma estetica ed esteriore, perde di significato il corpo in sé, abitato e pieno. Il corpo in quanto testimone della nostra storia personale, in quanto insieme di vissuti e traumi, viene messo sotto silenzio. Nel nome dell’esclusivo puro godimento si dimentica che il corpo possa portare con sé l’intero pa­norama dei vissuti e possa richiamare ogni tipo di esperienza pregressa (Ferrari, 1992).

In questa socratica e inseparabile polarità sta la sacra­lità del corpo, che insegna ad ogni esperienza umana la complessità delle sfumature emotive.

L’amore nel Simposio di Platone (2003) è l’atto creati­vo con cui ci si avvicina alla bellezza della trascenden­za, è l’incognita nella quale ci si getta tra le braccia con umiltà e coraggio, non lo si può trovare già pronto da consumare poiché esso è un atto creativo in sé e trova il suo significato nel suo divenire appassionato e partecipato.

IL CORPO STRUMENTALIZZATO

Quello che per secoli è stato definito “il tempio dell’anima” viene oggi rivisto e rivisitato senza troppo riguardo o cautela.

Il corpo come bersaglio di attacchi microbici o vi­rali. Il corpo che viene strumentalizzato, diviene esso stesso strumento della “medicina” e della statistica, curato se necessario ma comunque vigilato, perché contagioso, per cui pericoloso, anche se “in apparen­za” sano, contrariamente a quanto avveniva nel passa­to, quando la linea di demarcazione tra l’essere sano o malato era ben definita e dispensava un senso di sicu­rezza che, a causa di un virus subdolo, sembra essere stata perduta negli ultimi mesi, barattata dalla cultura del sospetto e dell’incertezza. Non si era attanagliati dal dubbio di essere portatori sani di una qualsivoglia malattia esantematica, ma una volta conclamata tale malattia, si era certi di averla incubata per un certo nu­mero di giorni. Ora il controllo è preventivo, e fintanto che non ci si è sottoposti agli esami diagnostici diri­menti, si vive nel dubbio per alcuni e nell’ansia per al­tri, di essere per lo meno una sorta di untori o ancora oltre, ai primi sintomi di raffreddamento, di dover es­sere portati da lì a poco in un centro di rianimazione ospedaliero. Ma purtroppo non finisce qui, perché il giorno stesso, subito dopo il prelievo ai fini del test diagnostico, si potrebbe essere stati a contatto con un “asintomatico” (con mascherina o senza) e allora la giostra continua a girare senza soluzione di continuità. La medesima ansia è vissuta dai pazienti “oncologici”, persone guarite da un tumore, o il cui tumore è blocca­to, che con cadenza semestrale o annuale per un certo numero di anni devono sottoporsi ad esami diagnostici al fine di appurare il mantenimento di status di perso­ne sane, ma procrastinare l’ansia a sei mesi o a un anno aiuta comunque a progettare la propria vita, men­tre vivere la medesima ogni giorno, comporta un vis­suto di “helplessness” ossia un’assenza di speranza governata da un’impotenza serpeggiante di fondo e come ha sottolineato Seligman (1975), l’essenza dell’esperienza soggettiva traumatica consiste nell’impossibilità di fronteggiare un pericolo o una minaccia attraverso un’adeguata azione sul mondo esterno.

Questo è il clima per coltivare molte delle patologie elencate nel DSM 5 (Manuale Diagnostico del Distur­bi Mentali 5), per citare i più frequenti, dai Disturbi d’Ansia, Disturbi dell’Umore ai Disturbi del Sonno.

Analizzando la letteratura a riguardo, una recente re­view pubblicata su https://www.sciencedirect.com (Loades, Chatburn, Higson-Sweeney, Reynolds, Sha­fran & Brigden, et All., 2020), prendendo in esame 83 articoli pubblicati negli ultimi 73 anni evidenzia che l’isolamento sociale e la solitudine, soprattutto la sua durata, aumentano il rischio di depressione e di an­sia, particolarmente nei bambini ed adolescenti.

Un’altra review autorevole che studia il distanziameno sociale da un punto di vista neurobiologico (Bzdok, Dunbar, 2020), esplora le conseguenze negative di am­pia portata che l’isolamento sociale ha sul benessere psico-fisico delle persone. Si evidenzia come l’isola­mento sociale provochi gravi conseguenze, in quanto fattore predittivo del rischio di morte, in quanto un’insufficiente stimolazione sociale influenza il ra­gionamento, le prestazioni della memoria, l’omeostasi ormonale, nonché la resilienza alle malattie fisiche e mentali.

Il corpo come proprietà privata, sede di bisogni e appetiti, come luogo di processi fisiologici e di meta­bolismi, necessità e processi spesso ignorati e violati in virtù di un bene più grande, quello della salute, con­dizione spesso associata esclusivamente ad uno status fisico nella trascuratezza di un’unità psicosomatica. Molte coppie giovani per età o per data di inizio della loro relazione, durante il lockdown non hanno potuto incontrarsi, soprattutto se la distanza geografica non lo consentiva a causa delle restrizioni di movimento, e le avvisaglie di nuove restrizioni e chiusure di confini re­gionali e comunali, attivano in loro e non solo, un rin­novato stato di allerta, abbassamento del tono dell’umore, irritabilità, difficoltà nel mantenere sani ritmi sonno-veglia. Sono questi ultimi i sintomi che caratterizzano e soddisfano i criteri, a seconda della loro intensità e frequenza, dei cosiddetti disturbi d’ansia e dell’umore, che noi psicologi e psicoterapeu­ti monitoriamo nella nostra attività clinica privata e che nessun grafico statistico evidenzierà mai, perlome­no su scala nazionale, a differenza dei numeri fornitici ogni sera e nelle varie rubriche di approfondimento giornalistico che parlano di sintomatici, asintomatici e paucisintomatici al covid-19. Spesso una cosiddetta valvola di sfogo per i giovani e anche per molti adulti, al fine di scaricare le tensioni accumulate a causa del “distress” dovuto a sovraccarico emotivo, consiste nel praticare sport, attività anch’essa impedita, a causa dei divieti e delle restrizioni alle libertà individuali, di cui il corpo ne accusa i colpi, attivando un circolo vizioso di cui alla fine verrà chiesto il conto, in termini di ma­lesseri psico-fisici.

La sacralità del corpo di un caro defunto, che viene violata dalla nuova “burocrazia Covid”, che impone a chi resta di separarsene senza avere il tempo per l’ulti­mo saluto ed il cordoglio, senza che lo spazio del pian­to e della preghiera accanto alla salma consenta di fare un primo passo lungo il percorso di accettazione della nuova dolorosa realtà. Quello spazio/tempo negato è un’ulteriore deprivazione che genera sconforto e rab­bia e si somma al dolore della perdita, rendendone an­cor più complessa l’elaborazione.

Il corpo dei bambini, da tutelare, da preservare. È trascorso solo mezzo secolo da quando i bambini an­davano a dormire dopo carosello e in tv si potevano visionare film e intrattenimenti dai contenuti soft, per cui, almeno per questo motivo, potevano dormire son­ni tranquilli. Oggi la pletora di canali tv fruibili anche attraverso i possibili device connessi ad internet, rende difficile proteggere i propri figli da immagini in cui contenuti sessuali e/o violenti non li raggiungano, no­nostante le precauzioni e i livelli di protezione garanti­ti dai software, tali messaggi inopportuni si insinuano attraverso pubblicità subdole che compaiono senza preavviso all’atto di azionare un’applicazione software di gioco. Quando non sono gli stessi bambini ad essere utilizzati in campagne pubblicitarie in cui devono scimmiottare gli adulti, in atteggiamenti seduttivi e anacronistici, in cui il loro corpo viene strumentalizza­to, e il messaggio che viene offerto dai Media su un piatto d’argento è che devono diventare grandi presto, precorrere i tempi, perdere precocemente l’ingenuità che li caratterizza e che permetterebbe loro di percor­rere gradualmente le tappe evolutive fisiologiche. Inoltre, i Social Network disponibili per la loro fascia d’età, quali ad esempio “TikTok”, tendono ad omolo­gare le loro aspettative direzionandole per lo più nel realizzare quanti più like possibili grazie a performan­ce perlopiù legate a mostrare un’immagine di sé so­cialmente attraente, seduttiva, di successo. Il Docu­mentario “The Social Dilemma” (Orlowski, 2020), tratta questo tema e mette in evidenza come i “social network”, operano un forte condizionamento sulle gio­vani menti non ancora completamente formate a livel­lo psicologico, in cui l’autostima non è saldamente an­corata su di un “sé” strutturato, in cui il senso di valore è stato acquisito e incorporato grazie a buone esperien­ze di vita, bensì è precaria, si basa ancora molto sui consensi ottenuti e viene meno quando questi ultimi mancano o addirittura quando si collezionano critiche. Alcuni fenomeni, che si inseriscono nell’argomento più ampio del Cyberbullismo, sono il bodyshame (il vergognarsi del proprio corpo), e il bodyshaming (de­risione del corpo) – ossia l’atto di far vergognare qual­cuno del proprio corpo – ne sono una diretta conse­guenza. Una recente ricerca promossa da ricercatori indiani sul fenomeno del Bodyshaming tra gli adole­scenti in età scolastica, ne ha esaminato la prevalenza e i predittori, considerando tra questi ultimi la realtà degli “influencer” nei social media, responsabili in buona parte del concetto di “corpo ideale” a cui aderi­scono senza capacità di discriminazione i giovani frui­tori. Questi condizionamenti possono esitare in senti­menti di vergogna a causa del proprio corpo e in azio­ni di bullismo promosse nei confronti di coloro che non sono conformi agli ideali in voga. Si è inoltre ri­scontrato che buona parte delle vittime tra il campione analizzato, presentava sintomi ansiosi-depressivi, e tale fenomeno innescava quello dell’assenteismo sco­lastico. Gli autori tra i fattori protettivi al bodysha­ming hanno individuato quello di appartenere ad un circolo di amici, e la partecipazione ad attività di grup­po e di apprendimento di abilità sociali (Gam, Shivendra, Manish, Sujita, Abhishek, 2020).

Il transumanesimo o postumanesimo. Un’altra sfida all’essere umano moderno viene posta dal movimento culturale del transumanesimo, il cui massimo teorico e Presidente della World Transhumanist Association (WTA) fondata nel 1998 è Nick Bostrom. Tale filoso­fia, si pone nell’ottica di migliorare le capacità fisiche e cognitive dell’uomo, applicando a questo scopo le nuove tecnologie al fine di eliminare sostanzialmente la sofferenza, la malattia, l’invecchiamento. Brostom specifica che il “transumano” vive in una fase di tran­sizione verso il “postumano”, quest’ultimo caratteriz­zato da capacità fisiche, intellettuali e psicologiche mi­gliori rispetto ad un “normale” umano, ossia un ente “più perfetto”. A tale fine, le tematiche affrontate sono molteplici, alcune più futuribili ed altre che ci riguar­dano più da vicino, come ad esempio l’eugenetica em­brionale e prenatale, ovvero la selezione degli esseri umani “senza difetti e patologie” e la eliminazione dei malati per via tecnica. Un’altra frontiera non troppo lontana è quella della nanotecnologia molecolare, che per mezzo di microchips in diverse parti del corpo umano, permetterebbe di attivare e potenziare certe ca­pacità, in particolare quelle cerebrali. Un altro tema coinvolge l’uso di terapie geniche o metodi biologici con l’obiettivo di rallentare se non bloccare l’invec­chiamento cellulare (Postigo Solana, 2009). Tali obiet­tivi transumanisti pongono molte questioni di natura morale, il cui studio è di pertinenza della Neuroetica che si occupa nello specifico degli aspetti etici, legali e sociali che sorgono quando le scoperte scientifiche sul cervello vengono introdotte nella pratica medica, nelle interpretazioni legali e nella politica sociale e sanita­ria. Di fatto la visione che sottende queste idee transu­maniste è una visione meccanicistica dell’essere uma­no, dove l’uomo è ridotto a pura materia e l’essere umano è ridotto alle connessioni neuronali del suo si­stema nervoso (riduzionismo neurobiologico). “[…] il transumanesimo dimentica, però, che l’imperfezione dell’essere umano e il suo rapporto insoddisfatto con la realtà gli permette di avere aspirazioni, di progredire, di pensare, di vincere o di sbagliare, ma gli permette, soprattutto, di vivere e trascendere; vale a dire di esse­re umano” (Vásquez Del Aguila, Postigo Solana, 2015).

CONCLUSIONI

A conclusione di questa breve e non esaustiva disami­na sulla perdita della sacralità del corpo, essendo l’argomento oggetto della nostra attenzione molto am­pio e per questo meritevole di ampliamenti e appro­fondimenti, ci limiteremo alle seguenti considerazioni.

L’unità funzionale tra mente e corpo, tra psiche e cor­po, (Ruggieri, 2001), fa sì che ogni intervento sul cor­po si rifletta sulla totalità e la complessità dell’indivi­duo, pertanto possiamo notare come il cosiddetto di­stanziamento sociale che di fatto è un distanziamento fisico, l’uso continuo di strumenti di separazione, il co­siddetto “amore liquido”, la strumentalizzazione del corpo, producano un senso di separazione, segnino dei confini netti tra sé e l’altro. L’etimologia del sostanti­vo “confine” che ha l’origine latina di “cum” e “finis” ed è inteso come fine, terminazione, come assetto o stato terminale di qualcosa, è volto a definire, delinea­re, circoscrivere ciò che “è” (Ruggieri, Saraceni, 2017), in netta antitesi con la natura intersoggettiva dell’essere umano, la cui […] “coscienza individuale non è autosufficiente, in quanto la relazione fra organi­smo e ambiente ne costituisce un aspetto assolutamen­te imprescindibile” (Liotti, 2005, pg.31).

Questi nuovi confini, artificiali e forzati, disorientano e vanno a modificare il nostro immaginario, a ridise­gnare i nostri comportamenti sociali sino a farci consi­derare normali le neonate situazioni surreali in cui ognuno vive isolato e nel sospetto dell’altro e di con­verso a farci ritenere strane e inquietanti scene e im­magini consuete di convivialità e vicinanza fisica-emotiva, consolidate nel corso dei secoli. Il fenomeno del “transumanesimo” (Vásquez Del Aguila, Postigo Solana,2015), inteso come “evoluzione autodiretta”, per cui si pretende che l’intelligenza umana possa so­stituire la logica naturale, compresa quella del corpo, ne è una possibile deriva in quanto alternativa appeti­bile e disponibile nell’immediato.

Pertanto, sostituire il lavoro in presenza con lo “smart working” o la scuola in presenza con la “Didattica a Distanza” o le sedute psicoterapeutiche presso lo stu­dio dello psicoterapeuta con sedute effettuate con vi­deochiamate ne sono alcuni esempi esperiti a livello globale negli ultimi mesi, necessari per tamponare bi­sogni temporanei, succedanei d’emergenza, ma non sostitutivi tout court, in quanto non soddisfacenti i bi­sogni naturali e fisiologici di interscambio, dove anche il corpo possa esprimersi con il linguaggio che gli è consono e proprio.

Sarebbe auspicabile che tali confini siano presto valicabili e che le misure restrittive possano rientrare il prima possibile, mentre nel frattempo possa essere messo il focus in politiche attive, ai fini della prevenzione e del sostegno delle nuove fragilità psicologiche emergenti, nate e nutrite dall’incertezza dei tempi che viviamo.

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