L’influenza del linguaggio non verbale nella comunicazione interpersonale. Un’indagine conoscitiva con adolescenti

linguaggio non verbale

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Il presente articolo si propone di esplorare l’ambito del linguaggio non verbale e della sua influenza nella comunicazione interpersonale. L’obiettivo è quello di soffermarsi a studiare fino a che punto il linguaggio non verbale possa incidere sul messaggio che si sta trasmettendo nel corso di una interazione. In modo particolare, l’idea è quella di indagare sperimentalmente, con un campione di adolescenti, se gestire il proprio linguaggio non verbale possa dare direzioni differenti al contenuto stesso della comunicazione.

Introduzione

Il termine “Comunicare” si collega allo “scambio di informazioni tra due o più entità che sono in grado di emettere e ricevere segnali (…)” (Vallimira, 1997) e per farlo al meglio occorre badare bene alla coerenza tra messaggio esplicito, dato dal linguaggio verbale e messaggio implicito, trasmesso attraverso il linguaggio non verbale (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009). Sebbene possa sembrare scontato, essi non vanno sempre di pari passo, cosicché la comunicazione può lasciare l’interlocutore in una situazione di ambiguità e incertezza nei confronti dell’altro. In tal caso, egli tende ad affidarsi piuttosto al messaggio colto non verbalmente, rispetto a quello verbale, in quanto più spontaneo e più difficile da celare (Colasanti, Mastromarino, 1994). La maggior parte delle volte non si è consapevoli del potere comunicativo del linguaggio non verbale, eppure esso ha in sé il cuore del messaggio, la parte emotiva dello stesso, nonché le intenzioni più profonde dell’emittente. Inoltre, un certo atteggiamento assunto può andare a provocare nell’altro un cambiamento nelle sue idee, pensieri, comportamenti, desideri e convinzioni, in modo che quest’ultimo non sia assolutamente cosciente di quanto stia avvenendo. Questo succede nel momento in cui ci si ritrovi vittima di una suggestione. Non è detto in ogni caso che ogni sorta di suggestione sia da intendersi in senso negativo, come non è detto che ogni soggetto sia ugualmente suggestionabile.

La scelta di questo argomento deriva dalla constatazione di come, a volte, si faccia un uso errato o poco consapevole del proprio linguaggio non verbale, spesso trasmettendo contenuti non in linea con quelli espressi verbalmente. A ciò va aggiunto anche il procedimento inverso e cioè il fatto che, talvolta, ci vengono trasmessi messaggi in qualche modo “nascosti”, che possono essere colti o non colti, ma che in ogni caso tendono ad influenzarci (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009).

Lo scopo di questo articolo è quello di accostare ad un’analisi critica delle caratteristiche del linguaggio non verbale nella comunicazione interpersonale, un lavoro di ricerca che si proponga di mettere in luce quanto l’uso di gesti, di espressioni facciali, di prossemica e di altri elementi del linguaggio non verbale, pesino sulla trasmissione di un messaggio piuttosto che di un altro. Tutto questo, sottolineando il grande potere suggestivo di un messaggio non verbale. La ricerca, attraverso cui si indagheranno questi aspetti della comunicazione, verrà attuata servendosi di un campione di adolescenti reperiti in vari licei ed istituti tecnici di Roma e dintorni.

La comunicazione

Stando a quanto affermato da Rumiati e Lotti (2007), la comunicazione è un’attività complessa che si sviluppa necessariamente nelle relazioni interpersonali. Un aspetto centrale è che occorre che vi siano almeno due parti interagenti tra loro affinché si instauri un processo comunicativo. Ne deriva la palese connessione con il carattere della socialità, sottolineato più volte da diversi studiosi (Rumiati- Lotti, 2007; Anolli, 2006). All’interno di un processo comunicativo vi è un messaggio che è emesso da una delle parti in questione e si suppone vi sia dall’altro lato un ricevente che lo accolga. A partire da questa prospettiva, sembra vi sia necessariamente l’intenzione da parte del primo di trasmettere qualcosa, mentre se ben si riflette non è detto che sia così. Spesso, infatti, la comunicazione non si limita ad un gesto premeditato, una frase volontaria, una “comunicazione intenzionale” (Camaioni, 2001). La comunicazione ha la caratteristica di poter anche essere non intenzionale. Infatti, anche quando una persona decide di non voler comunicare nulla, sta comunicando di non voler comunicare; quando un bambino mette il broncio perché gli è stato detto un no e smette di parlare con la mamma o con il papà, sta comunicando il suo disappunto.

Se si prende in considerazione la definizione data da Vallimira (1997), la comunicazione è vista come lo scambio di informazioni tra due o più entità che sono in grado di emettere e ricevere segnali, dove lo scambio costituisce un processo interattivo in cui è presente un processo di feed-back o di retroazione. Il feed-back è un’informazione di ritorno che si riferisce alla reazione prodotta dal messaggio nel ricevente. Il feed-back può essere espresso in forma verbale o in forma non verbale e, attraverso di esso, si può capire se il messaggio sia stato ben compreso oppure no. Questo avviene perché anche i processi psichici del ricevente possono influenzare la ricezione del messaggio e, più specificatamente, la sua interpretazione. Di conseguenza è opportuno verificare la corretta ricezione e decodifica del messaggio e il feed-back rappresenta il modo migliore per farlo (Colasanti- Mastromarino, 1994; Scilligo 1991; Gazda, 1990; Franta, Salonia, 1981; Balconi, 2004).

La comunicazione non verbale

Se la comunicazione in generale definisce l’uomo come essere socievole, la comunicazione non verbale ne costituisce la parte più consistentemente rilevante. Corsaro (2011) sottolinea il considerevole apporto degli studi di A. Mehrabian, il quale ha scoperto che il linguaggio del corpo costituisce il 55% di un messaggio vocale. A questo si può unire il 38% del tono della voce e vedere come le parole utilizzate contino solamente il 7% del totale di un messaggio trasmesso. Ma in tutto questo, cos’è esattamente il linguaggio non verbale?

Prima ancora di apprendere il linguaggio tipico della propria popolazione e cultura, qualsiasi individuo nasce trasmettendo, attraverso alcuni “segnali”, i propri bisogni e i propri stati (Caselli et al., 2006). Questo accade sin dai primi giorni di vita in cui il bambino trasmette dei segnali che utilizza inizialmente in maniera indifferenziata rispetto al ricevente: compie vocalizzi, piange, fa dei sorrisi o utilizza determinate posture. È l’adulto che a mano a mano si specializza nel riconoscimento di tali segnali e che dovrebbe rispondervi in maniera adeguata (Mikulincer e Shaver, 2013; Caselli et al., 2006). Nel momento in cui si acquisisce l’uso della parola, questi aspetti di trasmissione non verbale di messaggi non vanno perdendosi, anzi, divengono una peculiarità propria di ogni individuo. Molti di questi atteggiamenti sono legati ad una caratteristica della persona stessa, mentre altri, sono più propriamente identificabili in ognuno di noi, nel momento in cui ci si trova in una determinata situazione, con un dato stato d’animo. Dimostrazioni di quanto detto potrebbero essere dei gesti che caratterizzano una persona in particolare o espressioni facciali tipiche di una popolazione intera.

Secondo Rizzuto (2012) la Comunicazione non Verbale è una dimensione della comunicazione che fa riferimento a tutti i messaggi espressi senza che il contenuto linguistico sia determinante per la loro interpretazione. Colasanti e Mastromarino (1994) evidenziano che essa comprende tutto ciò che viene comunicato, ad esclusione della parola, sebbene, come vedremo, essa comprenda anche elementi vocali. Anche Pacori (2007) fa la distinzione tra la comunicazione che avviene attraverso la parola o altri codici o gesti appresi come, ad esempio, mostrare il pugno col dito pollice alzato per esprimere approvazione, “okay!”, e i messaggi involontari del corpo; egli sottolinea come la parola sia un segno stabilito per convenzione all’interno di un determinato gruppo e che presenta delle regole grammaticali e di sintassi, mentre il linguaggio del corpo è universale e regolato da alcuni princìpi, tra cui il fatto che con il corpo non si può non comunicare, non si può esprimere la negazione, non ci sono mezze misure e non si può esprimere il senso del tempo. Argyle (1988; 1992), da parte sua, sottolinea più volte l’aspetto non intenzionale del linguaggio analogico (non verbale), aggiungendo che la comunicazione corporea ha luogo ogni qualvolta che una persona ne influenza un’altra attraverso i significati delle espressioni facciali e di altri elementi del linguaggio non verbale. Infine, Padrini (2007) aggiunge che il linguaggio non verbale non fornisce informazioni solamente sullo stato attuale della persona, bensì anche sul suo passato e sulla sua storia, in quanto l’espressione del corpo è il risultato di un modellamento e di un atteggiamento muscolare acquisito negli anni.

Delle varie classificazioni che sono state fatte del comportamento non verbale, una descrizione esaustiva delle sue diverse dimensioni è stata fatta da Bonaiuto e Maricchiolo (2009), i quali partono dal considerare gli elementi più visibili, fino ad esaminare le componenti più difficilmente identificabili da un esterno. La classificazione della comunicazione non verbale (CNV) si presenterebbe, dunque, nel modo seguente:

  1. Aspetto esteriore, che considera conformazione fisica e abbigliamento: fornisce importanti informazioni sugli individui, influenza la formazione di impressioni ed è un supporto all’autopresentazione. Questa dimensione si compone di vari elementi che non sono solitamente modificabili a breve termine nel corso dell’interazione e comprende la forma del volto, il colore degli occhi, lo stato della pelle e dei capelli, gli accessori, gli abiti e altro ancora;

  2. Comportamento spaziale, tra cui distanza interpersonale, contatto corporeo, orientazione e postura: esso è fortemente influenzato da fattori culturali e socio-emozionali, oltre che dalla struttura fisica dell’ambiente stesso. Dalla sua osservazione è possibile comprendere aspetti della personalità, stati emotivi, atteggiamenti interpersonali, norme, valori e condizionamenti culturali;

  3. Comportamento cinesico, composto da movimenti di busto e gambe, gesti delle mani e movimento del capo: è il più influenzato da contesto sociale e cultura e fornisce informazioni sugli stati emotivi delle persone in interazione e accompagna il discorso che si sta tenendo;

  4. Volto, che comprende sguardo e contatto visivo ed espressione del volto stesso: senz’altro tra i più difficili da studiare, in quanto, possedendo il viso umano numerosi muscoli facciali, il loro contrarsi in differenti combinazioni dà spazio a innumerevoli descrizioni e informazioni che è possibile trarne;

  5. Segnali vocali verbali, non verbali e silenzio.

A questi, Scilligo (1991) ha aggiunto:

  • L’ambiente in generale, come ad esempio lo stato di ordine/disordine della propria stanza o di un luogo pubblico;

  • Il tempo, come ad esempio la tendenza ad arrivare in ritardo o in anticipo agli appuntamenti, la lunghezza dell’intervallo di tempo in cui ci si sofferma a trattare un preciso argomento, ecc.

Funzioni della comunicazione non verbale

I comportamenti non verbali assumono differenti funzioni all’interno dell’interazione, per entrambe le figure di emittente e di ricevente. Per ciò che concerne l’emittente (o codificatore), egli può essere consapevole o inconsapevole, può avere o non avere l’intenzione di comunicare qualcosa; in ogni caso il suo comportamento non verbale può assumere significati a prescindere da tutto questo e dalla sua volontà (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009). Dall’altro lato, il ricevente (o decodificatore), può intervenire mostrando atteggiamenti non verbali connessi all’interesse o al disinteresse, come ad esempio lo sbadiglio.

Nel complesso, le funzioni della comunicazione non verbale in un contesto di interazione sono diverse. Prima fra tutte quella legata direttamente alla definizione della relazione. Attraverso il linguaggio non verbale si può influenzare il comportamento altrui: a seconda del modo in cui ci si pone rispetto al proprio interlocutore, egli si comporterà di conseguenza. Se, ad esempio, ci si pone in una maniera che esprima un senso di superiorità, è quantomeno probabile che chi si ha di fronte risponderà in una maniera personale e specifica a tale messaggio non verbale, forse, ponendosi egli stesso in un atteggiamento di sfida. È stato osservato, sulla scia degli studi di Mehrabian (vedi sopra) come il linguaggio non verbale abbia un potere maggiore rispetto alla comunicazione verbale, di influenzare il comportamento altrui (Nanetti, 1996). Connesso alla definizione della relazione vi è la definizione dei ruoli (Pacori, 2013), che ben si lega alle funzioni di persuasione, dominanza, potere e status. Persuadere qualcuno dà un carattere di dominanza al persuasore e questo significa che egli è capace di influenzare la condotta altrui, cioè che abbia un qualche potere sugli altri; quando questo potere è socialmente riconosciuto il persuasore avrà anche la possibilità di acquisire, un certo status sociale, come potrebbe essere quello del leader. Lo status può essere definito dal linguaggio non verbale nel momento in cui, ad esempio, si dia molto peso all’abbigliamento o anche all’aspetto esteriore in termini di altezza e costituzione: la percezione che ne viene può contribuire alla creazione dello status sociale vero o presunto, delle persone implicate in una relazione (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009). Altra funzione importante del linguaggio non verbale è quella di regolazione; il linguaggio non verbale, infatti, regola il flusso della comunicazione tra le persone in interazione, stabilendo il ritmo e i turni della comunicazione stessa (Colasanti, Mastromarino, 1994).

Ulteriore funzione della CNV è quella di espressione degli stati d’animo e delle emozioni (Argyle, 1992). Nel cervello, la parte collegata al funzionamento emozionale e corporeo è l’emisfero destro, il quale agisce anche in maniera inconsapevole e automatica per consentire all’emisfero sinistro di poter lavorare in maniera logico-sequenziale e più lentamente, lavorando, così, in parallelo (Corsaro, 2011, 15; Meridda, Pandiscia, 2011). Ciò significa che l’aspetto emozionale e corporeo, agiti in modo inconsapevole, sono tutti riuniti nella stessa area funzionale e collegati così strettamente da permettere il riconoscimento di come la CNV si correli in modo considerevole all’espressione delle emozioni. I canali che meglio rivelano le emozioni sono le espressioni facciali e lo sguardo, in quanto è difficile che una persona abbia chiaro cosa stia esprimendo attraverso il proprio volto, a meno che non si trovi di fronte ad uno specchio. Inoltre, il volto è la parte che più viene osservata dall’interlocutore ed è soprattutto grazie a questo lavoro di osservazione che è comprensibile all’interlocutore lo stato d’animo della persona che si ha di fronte (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009).

In maniera del tutto comprensibile, altra funzione della CNV è quella di integrazione, completamento e sostituzione del linguaggio verbale, in quanto aggiunge e completa elementi del discorso al fine di ampliarne la comprensione; nei casi in cui sia difficile utilizzare un linguaggio verbale, il linguaggio non verbale può sostituirlo, come accade nel caso in cui in una certa situazione una persona sia annoiata e sbuffa e chi è con lei può comprendere e decidere di cambiare attività o discorso (Nanetti, 1996). A ciò, si aggiungono le funzioni di metacomunicazione, attraverso cui si qualifica il comportamento verbale, dando informazioni su come esso debba essere inteso; quella di contraddizione, che dimostra esattamente il contrario di ciò che il messaggio vocale vuole trasmettere, come ad esempio, dire “non sono arrabbiato con te” usando un tono duro e distaccato; quella di accentuazione che tende a sottolineare elementi della comunicazione verbale, come può succedere nel caso si voglia dare importanza a certe parole e mentre si dicono si evidenziano con un cenno della testa (Colasanti, Mastromarino, 1994).

Inoltre, la comunicazione non verbale può dare informazioni sull’emittente, sulla sua immagine sociale, su alcuni tratti distintivi della sua personalità e, quindi, essere valutativa in tal senso. Sebbene, come sostengono Bonaiuto e Maricchiolo (2009) la CNV possa andare contro le reali intenzioni espresse dall’emittente, in quanto non intenzionale e non consapevole, essa fornisce una sorta di autopresentazione dell’individuo a partire da una differenziazione di genere, per concludere anche con la possibilità di identificare veri e propri disturbi del comportamento (Nanetti, 1996).

Infine, Argyle (1992) fa notare come la comunicazione non verbale svolga anche un ruolo di rituale, come si può notare, ad esempio, nel caso del saluto.

Gli elementi della comunicazione non verbale

La comunicazione non verbale si compone di differenti dimensioni, ognuna delle quali, a sua volta, comprende vari elementi che ne descrivono piccole parti. Sebbene non sia da considerare in maniera assolutistica il collegamento diretto di un atteggiamento non verbale con un particolare significato, è utile dare una lettura complessiva ai diversi comportamenti. In definitiva è utile, nell’osservare una persona, non focalizzarsi solamente nella considerazione di un solo elemento (solo i gesti delle mani) o di una sola dimensione (solo il comportamento cinesico), bensì prendere in esame le diverse dimensioni nel loro complesso e, in aggiunta, la persona nella sua unicità e il contesto in cui è inserita. Infatti, non è detto che, come vedremo, se una persona ha un tronco bene eretto sia da ricondurre ad un carattere sicuro di sé o, addirittura, superbo; potrebbe essere, invece, che questo individuo stia portando un busto che lo costringe in questa posizione. O ancora, non si può considerare timida una persona che parla a bassa voce, se l’ambiente in cui si trova è un luogo di culto, come può essere una chiesa.

Il primo ambito da considerare è quello dell’aspetto esteriore; questa categoria comprende un insieme di stimoli non verbali che tendono a rimanere inalterati nel corso di una interazione (Colasanti, Mastromarino, 1994). L’aspetto esteriore tende, poi, ad influenzare quello che gli altri pensano di noi, in quanto provvede all’autopresentazione. Nell’aspetto esteriore di una persona ritroviamo:

  • Conformazione fisica: Argyle (1992) fa notare che le dimensioni e la forma del corpo sono composte di ben tre caratteristiche mutevoli: l’altezza, il peso e la forma. Ad ogni modo, nulla di così rilevante è stato associato alle diverse conformazioni fisiche (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009). Alcune caratteristiche fisiche sono percepite dagli altri in un determinato modo, anche e soprattutto a partire da stereotipi condivisi dalle diverse culture di appartenenza. Sebbene le percezioni delle persone riguardo a certe caratteristiche fisiche convergano in maniera statisticamente rilevante, non si può dire che le associazioni siano veritiere e comprovate.

  • Abbigliamento: questo è probabilmente l’ambito della comunicazione non verbale meno studiato, in quanto molti significati sono strettamente legati alla moda del momento che, come ben si sa, tende a variare nel tempo abbastanza di frequente. Esso è associato a identità e ruoli sociali e ha notevoli effetti sulle relazioni interpersonali, poiché influisce sulla percezione che gli altri hanno della persona stessa (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009).

Un’altra categoria del linguaggio non verbale è il comportamento spaziale che può essere analizzato sotto forma di:

  • Contatto corporeo (o aptica): si tratta del contatto interpersonale, il contatto corporeo tra individui; esso può essere di tipo aggressivo oppure volto alla ricerca di calore. Il contatto può essere reciproco, come una stretta di mano, oppure individuale, ricercato da una sola persona e che, per un motivo o per un altro, non è ricambiato (Manetti- Fabris, 2011). Esso può avere una dimensione esplorativa (il toccare) o una dimensione ricettiva (l’essere toccato) (Corsaro, 2011). Alcune zone del corpo umano permettono il contatto solamente tra persone in stretto rapporto e, in maniera eguale alle distanze della prossemica, il contatto denota una maggiore o minore intimità tra persone.

  • Orientazione: è un aspetto della comunicazione non verbale atto all’espressione e alla negoziazione della reciprocità. Essa rappresenta il modo delle persone di orientarsi l’una all’altra (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009). Attraverso l’orientazione si possono comunicare relazioni di cooperazione, nel caso ci si ponga fianco a fianco con l’interlocutore. Nel momento in cui ci si pone in maniera “opposta” all’altro, per così dire nella posizione “faccia a faccia”, il messaggio che si sta mandando è di competizione (Argyle, 1992; Bonaiuto, Maricchiolo, 2009).

  • Postura: è un segnale, in parte involontario, che rappresenta la posizione del corpo assunta dal soggetto in maniera consapevole o inconsapevole, in relazione al contesto e all’interlocutore (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009). La postura è dinamica e cambia continuamente durante l’interazione, svolgendo la funzione di segnalare e manifestare emozioni interne o particolari atteggiamenti (Corsaro, 2011; Argyle, 1992).

Una terza categoria della comunicazione non verbale è il comportamento cinestetico, che riflette come i movimenti del corpo e i gesti delle mani comunichino informazioni sullo stato d’animo della persona in relazione o come possano anche fare da supporto alla comunicazione verbale. Questa parte della comunicazione non verbale è quella che più viene influenzata dalla cultura e dall’ambiente sociale di provenienza (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009). Il comportamento cinestetico comprende:

  • Movimenti del busto: sono differenti dalla postura, in quanto quest’ultima tende ad essere più stabile; si può, infatti, mantenere una determinata postura e, allo stesso tempo, muovere il busto in avanti o indietro. A partire da alcune ricerche, Birdwhistell, Bonaiuto e Maricchiolo (2009) riportano che nello studio dei movimenti del busto sono stati inclusi diversi elementi tra cui spalle e tronco, piegamenti del torace brevi o marcati, corpo rigido o molle, torace gonfio e piegamento del bacino e della parte superiore del tronco. Ad ogni modo, essendo questi studi alquanto ridotti, si rimanda a studi futuri, l’approfondimento delle loro possibili interpretazioni.

  • Movimenti delle gambe e dei piedi: l’osservazione di tali movimenti è una delle più interessanti, in quanto questi sono considerati le parti su cui si presta minor consapevolezza rispetto al linguaggio non verbale, soprattutto per quanto riguarda i piedi. Essi, infatti, sono collocati nella zona più remota del corpo rispetto al cervello e meno sottoposti al controllo consapevole della persona (Corsaro, 2011).

  • Gesti delle mani: nel corso di una conversazione la maggior parte delle persone, specie nella cultura italiana, tende ad usarli in concomitanza con le parole. Il gesticolare serve alla persona non solo come supporto alla comunicazione, ma in alcuni casi tende proprio a completarla o a sostituirla (Pacori, 2013). Alcuni gesti rendono più o meno convincente il discorso, altri attirano o allontanano l’attenzione, altri trasmettono fiducia e altri ancora incutono paura o diffidenza. Le mani sono connesse al cervello da un numero di connessioni nervose decisamente più alto rispetto ad ogni altro distretto corporeo; dunque, l’osservazione dei gesti delle mani può dare notevoli informazioni sulla persona stessa. Ad esempio, è stato visto come l’uso più o meno numeroso di gesti si correli al grado di estroversione dell’individuo (Corsaro 2011).

  • Movimenti del capo: solitamente, la direzione in cui una persona sposta il capo indica verso cosa o chi è rivolta la sua attenzione. Tale orientazione è molto importante, tant’è che alcuni studi (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009) hanno rilevato che se lo sguardo di qualcuno è rivolto verso qualcun altro, mentre il capo è ruotato leggermente sulla destra, quest’ultimo percepirà che l’attenzione di chi lo guarda è rivolta verso l’area che si trova alla sua destra, piuttosto che a lui.

Una ulteriore categoria da analizzare in collegamento alla comunicazione analogica è quella del volto, il quale detiene un ruolo importante, in quanto esso è la parte del corpo che viene maggiormente osservata dagli interlocutori e le sue espressioni sono determinate da un grande numero di muscoli che si trovano in questa zona (Corsaro, 2011; Bonaiuto, Maricchiolo, 2009). L’interesse specifico si trova su ciò che le espressioni facciali possono trasmettere attraverso le diverse combinazioni di contrazione e/o distensione dei muscoli facciali. All’interno della categoria “volto” vengono considerati:

  • Sguardo e contatto visivo: lo sguardo serve alle persone per raccogliere informazioni sul mondo o su chi si ha di fronte e, in primis, sull’espressione; esso può anche servire a iniziare e finire un incontro, ad esprimere un atteggiamento verso gli altri, a regolare i turni durante un discorso e ad agire come rinforzo e sostegno sociale (Argyle, 1992). Più una persona guarda, più è percepita competente, degna di fiducia e sincera. Una maggiore frequenza di sguardi, infatti, si associa ad emozioni positive quali gioia e tenerezza, mentre emozioni negative come disgusto o imbarazzo richiedono una deviazione dello sguardo dall’interlocutore. Altri elementi da osservare nello sguardo sono la pupilla, la palpebra e le sopracciglia.

  • Espressione del volto: come detto, il volto è una parte marcatamente rilevante per la comunicazione non verbale. Attraverso il movimento della fronte, delle guance, della bocca e l’uso dello sguardo, si possono trasmettere importanti informazioni sul livello emozionale sperimentato e sugli atteggiamenti interpersonali (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009). È stato visto attraverso molti studi che le emozioni sembrano manifestarsi nelle persone, attraverso la mimica facciale, in modo eguale a prescindere dalla cultura di provenienza (Argyle, 1992; Corsaro, 2011). Ovviamente, però, esistono anche aspetti caratteristici di un solo individuo, il quale può avere modi propri di atteggiare espressioni facciali, indici di tratti tipici della sua personalità (Bonaiuto, Maricchiolo, 2009). Nelle situazioni sociali, inoltre, le espressioni facciali fungono da segnali di informazione retroattiva; esse possono, infatti, essere collegate al discorso come quando si esprime incomprensione, incredulità o sorpresa (Argyle, 1992).

In ultima analisi, tra le varie categorie ritroviamo anche i segnali vocali e il silenzio (o le pause), i quali vanno a costituire la cosiddetta produzione paralinguistica. A prescindere da ciò che si dice, ognuno di noi utilizza un tono, delle pause, un ritmo di conversazione, degli intercalari, ecc., dando a ciò che viene detto una lettura differente (Corsaro, 2011; Nanetti, 1996). Nanetti (1996) sottolinea anche l’importanza dei segregati verbali (sospiri, schiarimenti di voce, piccoli colpi di tosse, intercalari come, ad esempio, “uhm”) nel definire lo stato d’animo di chi parla.

L’uso della comunicazione non verbale per dare direzione alla comunicazione: la suggestione

La suggestione è vista come “uno stimolo che ha il potenziale di innescare o elicitare una reazione” (Gudjonsson, 2003). La parola “suggestione” deriva dal latino “suggestus”, la cui radice “suggero” significa “soggiogare” e, in passato, veniva utilizzata nel senso di “insinuare vagamente un pensiero, un’idea o un’impressione nella coscienza interiore dell’individuo” (Atkinson, 1943). Nei tempi moderni le definizioni fornite sono numerose e, in larga parte, esse concordano con il fatto che la suggestione sia una trasmissione cosciente o incosciente, volontaria o involontaria, di un contenuto della coscienza (Pöll, 1960). La suggestione può essere di tipo diretto o di tipo indiretto. La forma diretta prevede che ci sia un influenzamento volontario da parte di una persona su un’altra e ciò che viene suggerito e il comportamento che ne viene sono il risultato di una sintetizzazione soggettiva del destinatario della suggestione; di contro, la forma indiretta può avere carattere involontario o, se avviene in maniera volontaria, mira piuttosto a stimolare la parte non cosciente della persona suggestionata, evocando automaticamente ricerche e processi interni lontani dalla coscienza (Gudjonsson, 2003; Chertok, 1990, XI- XII; Erickson, Rossi, 1982). Il buon fine di una suggestione si ha nel momento in cui la persona ha un certo grado di suggestionabilità, ossia la propensione a subire l’effetto di una certa idea e ad attuarla (Granone, 1989; Gudjonsson, 2003). Questa attitudine alla suggestionabilità è tipica di chi subisce la suggestione e cioè il suggestionato, mentre chi impiega la suggestione è detto suggestionatore. Colui che viene suggestionato cambia, dunque, una determinata idea o un dato comportamento in quanto viene influenzato da un agente esterno e ciò può essere dovuto più alle qualità suggestive del suggestionatore, come anche Atkinson (1943) ha suggerito, che per i contenuti di significato trasmessi. Il suggestionatore è, quindi, colui che presenta delle particolari caratteristiche che fungono da motivo convincente; egli possiede delle qualità suggestive che non sono tanto legate a cosa viene detto o a chi lo ha detto, bensì al come viene affermata una data cosa (Pöll, 1960).

  • Distanza interpersonale (o prossemica): ognuno di noi sente di essere circondato, come mera percezione personale, da uno spazio con cui si misura il livello di intimità. In modo specifico, se una persona si avvicina troppo a noi, entrando in tale spazio, essa viene percepita come invadente ed entriamo in quel tipico stato di allerta che precede la fuga o la reazione aggressiva che caratterizza la nostra natura animale. Di tale “spazio” si occupa la prossemica, la quale studia l’organizzazione e l’uso che ne fanno le persone che si pongono in relazione tra loro. Le distanze che un individuo pone tra sé e l’altro sono date da caratteristiche sia socio-culturali che di personalità (Nanetti, 1996).

Hoffmann (1980) ha identificato quattro forme di suggestione collegate alla pratica del training autogeno, ma che si possono estendere ad ogni situazione; due sono legate al suggestionatore, il quale può operare intenzionalmente o non intenzionalmente, e due sono legate al suggestionato, che può prevedere o meno la suggestione.

  • Suggestione intenzionale, prevista. Questa avviene quando sia il suggestionatore che il suggestionato sono consapevoli che avverrà una suggestione. Un esempio può essere la richiesta di un soggetto di essere ipnotizzato o, in maniera meno evidente, quando si intraprende un percorso di apprendimento di Training Autogeno;

  • Suggestione intenzionale, non prevista. Questa accade nel momento in cui il suggestionatore sa che metterà in atto una suggestione, ma il suggestionato non ne è al corrente e non se ne accorge. Un esempio comune è il messaggio pubblicitario che, spesso, si serve di alcuni metodi per attrarre il consumatore verso un prodotto.

  • Suggestione non intenzionale, prevista. È citata dall’autore per completezza, ma egli stesso dice che essa non ha alcuna importanza. Riprendendo il suo stesso esempio, egli prende in esame un guaritore che rifiuta l’effetto suggestivo del suo procedimento e che prende in cura un malato che si aspetta di guarire proprio attraverso un processo suggestivo.

  • Suggestione non intenzionale, non prevista. In questo caso né il suggestionatore né il suggestionato sono al corrente che dei processi di suggestione siano in atto; questo può accadere nella vita di tutti i giorni, dal momento che si viene a contatto con diverse persone, specie con quelle con cui si vive insieme. Questa, inoltre, è la forma più diffusa di tale processo.

La suggestione avviene spesso attraverso un’impressione, la quale è strettamente connessa alla suggestionabilità. In un individuo altamente suggestionabile, l’impressione può essere determinante per l’accettazione o meno dei contenuti (Granone, 1989): si può avere una buona impressione di una persona, mettere da parte il ragionamento critico ed essere, in tal modo, maggiormente predisposti ad essere suggestionati. Un elemento legato alla suggestionabilità è la fiducia che si può riporre nel suggestionatore; grazie ad essa la persona suggestionabile è condotta a mettersi in una disposizione positiva rivolta all’accettazione dell’influsso suggestivo (Pöll, 1960).

Nel suggestionare vi sono due elementi fondamentali cui fare riferimento e sono: l’indicazione e il dinamismo. L’impulso suggestivo deve per forza di cose indirizzarsi a qualcuno, che sia una o più persone e, dunque, è rivolto e indica un certo bersaglio della comunicazione suggestiva. Il secondo elemento è l’impulso dinamico alla suggestione che non dipende dalla volontà, bensì dalla creatività di chi suggestiona. Attraverso la creatività, si manifesta l’espressione e l’atteggiamento del suggestionatore e, in tal modo, la suggestione dettata dall’autenticità e dall’originalità sarà ancor più potente. Tanto più le qualità che lui esprime sono originali, dinamiche e rivolte a qualcuno, quanto più la suggestione è possibile che vada a buon fine (Atkinson, 1943).

L’indagine conoscitiva sul potere suggestivo della comunicazione non verbale

  • Presupposti teorici

Lo studio effettuato prende le mosse dalla constatazione di quanto la comunicazione influisca nella vita quotidiana di ognuno. Essendo una dimensione psicologica costitutiva di ciascuno (Anolli, 2006), essa è presente in ogni individuo in maniera tale da consentire la possibilità di creare delle connessioni con gli altri. Dal momento che una persona è in grado di comunicare (emittente), questo significa che ha la possibilità di mettersi in contatto e trasmettere informazioni volente o nolente, consapevolmente o inconsapevolmente, a un altro individuo (ricevente) che capta il segnale comunicativo, elabora il messaggio contenutovi e decide se rispondere in qualche modo oppure no (Rumiati, Lotti, 2007; Camaioni, 2001; Formella, 2009). Nel comunicare può accadere che si diano una serie di “suggerimenti” al proprio interlocutore, in maniera consapevole o inconsapevole, e che a questi arrivino altrettanto consapevolmente o inconsapevolmente; sarà il ricevente, successivamente, a decidere se accoglierli oppure no (Hoffmann, 1980; Atkinson, 1943; Pöll, 1960; Chertok, 1990; Erikson, Rossi, 1982). Tali suggerimenti saranno più facilmente recepiti da persone dette “suggestionabili” (Gudjonsson, 2003; Granone, 1989), le quali si dimostrano particolarmente suscettibili di influenzamento esterno (Hoffmann, 1980). Quello che ci si propone di fare con il presente studio è di verificare se il campione di adolescenti con cui si è lavorato sia stato in grado di cogliere prima di tutto una suggestione verbale e, in seconda analisi, se tali ragazzi possano essere stati o meno suggestionati dal punto di vista non verbale.

  • Ipotesi

Le ipotesi da cui muove l’esperimento fatto sono principalmente due: la prima riguarda il fatto che i ragazzi riescano a cogliere e a rispondere positivamente alla suggestione verbale; la seconda prevede che gran parte degli adolescenti siano suggestionabili dal punto di vista non verbale, in modo tale da cogliere il messaggio gestuale dell’operatrice, cambiando la propria risposta in maniera congrua allo stesso. In maniera più specifica le ipotesi suscettibili di verifica sono le seguenti:

  • Gli adolescenti sia del gruppo sperimentale che del gruppo di controllo, sono in grado di accogliere la suggestione verbale di tipo intenzionale e previsto;

  • Gli adolescenti del gruppo sperimentale potrebbero essere influenzati dalla suggestione non verbale di tipo intenzionale e non previsto.

  • Il campione

Il campione utilizzato per l’indagine conoscitiva si compone di un totale di 94 soggetti, di cui 52 per il gruppo sperimentale e 42 per il gruppo di controllo. Gli adolescenti con cui si è lavorato hanno un’età compresa tra i 17 e i 20 anni e sono stati reperiti presso un Istituto Tecnico Industriale di Roma. I soggetti sono stati distribuiti secondo la tecnica di campionamento detta “a grappoli”, in unione con quella nominata “a stadi” (Trinchero, 2002), secondo le quali, esaminando gruppi naturali ed eterogenei, rappresentativi di una data popolazione, essi vengono estratti in maniera casuale. Inoltre, tali gruppi sono stati divisi in G gruppi di ampiezza variabile, trattandosi di diverse classi di scuola superiore.

Nonostante la distribuzione del campione rispetto al genere non sia equa, si è cercato di mantenerla tale in relazione alle zone di residenza, alla formazione individuale di ogni soggetto e all’età. Infatti, vi sono 48 soggetti nel gruppo sperimentale (92,3%) e 40 in quello di controllo (95,2%) di sesso maschile e 4 soggetti nel gruppo sperimentale (7,7%) e 2 in quello di controllo (4,8%) di sesso femminile. Nel totale, si è lavorato con ragazzi che per il 93,6% dei casi erano di sesso maschile e per il 6,4% di sesso femminile.

I campioni dell’indagine conoscitiva, come detto, sono compresi in un’età che va dai 17 ai 20 anni e, all’interno del gruppo sperimentale, il campione è stato così distribuito: il 15,4% dei soggetti ha 17 anni, il 36,5% ha 18 anni, il 30,8% ne ha 19 e il 17,3% è di 20 anni di età. Al contrario, è possibile qui di seguito osservare la distribuzione del campione all’interno del gruppo di controllo: il 28,6% sul totale del campione di controllo comprende ragazzi di 17 anni di età, il 35,7% di 18 anni, il 30,9% ha 19 anni di età e il 4,8% dei ragazzi ne ha 20.

  • Metodologia

Verrà ora descritta la metodologia utilizzata per condurre l’esperimento. Dopo aver descritto in breve gli strumenti utilizzati, verrà esposta la modalità utilizzata con il gruppo sperimentale e con il gruppo di controllo.

Gli strumenti

Gli strumenti utilizzati per questa indagine conoscitiva sono rappresentati da fogli da compilare in forma anonima che prevedono:

1) la raccolta di una serie di dati riferiti ai soggetti stessi, sotto forma di un questionario informativo;

2) un foglio bianco, su cui eseguire in forma grafica il compito richiesto.

Le informazioni richieste nel questionario informativo, comprendono il sesso, l’età, il tipo di scuola frequentata e la zona di residenza relative al soggetto; in più, si richiedono dati riguardanti il titolo di studio e l’impiego lavorativo di ognuna delle due figure genitoriali del ragazzo. La maggior parte degli item utilizzati nel questionario informativo sono stati inclusi con il precipuo scopo di aumentare la concentrazione del ragazzo al compito da eseguire.

Svolgimento dell’indagine

Per ciò che concerne la metodologia del lavoro effettuato con i ragazzi, si è scelto di operare direttamente all’interno delle loro classi. Nel momento in cui ci si è introdotti in ciascuna delle diverse classi dell’Istituto, l’operatrice si è presentata e ha coinvolto i ragazzi nel posizionamento dei banchi, in modo che ci fosse una persona per ciascun banco onde prevenire influenze e distrazioni tra i membri del gruppo. Una volta disposti i ragazzi, è stato loro consegnato un questionario informativo per ciascuno, che andava compilato con i propri dati in forma assolutamente anonima. Nel momento in cui tutti i ragazzi avessero completato la prima richiesta, dopo un minuto e mezzo circa, si è detto loro di passare al foglio bianco presentando verbalmente ciò che il lavoro andava ad indagare. Non è stato specificato il motivo effettivo della presenza dell’operatrice ed il vero argomento di studio, bensì si è detto ai ragazzi, in maniera molto generica, che si stava effettuando uno studio sulla comunicazione. È stato spiegato loro che si è continuamente in comunicazione, con i propri insegnanti, con i propri familiari e i propri amici e che ciò che si richiedeva loro era di disegnare due cerchi, avendo nella mente il pensiero di una relazione intima, aggiungendo che quello che dovevano fare era davvero molto semplice: non dovevano scrivere, non dovevano dirlo, ma dovevano solamente pensare a qualcuno a cui volevano bene, a cui si sentivano vicini emotivamente e disegnare due cerchi che potevano ben rappresentare quella relazione.

La spiegazione molto semplicistica della comunicazione è stata fatta in maniera consapevole ed era mirata a favorire l’accettazione del messaggio verbale contenuto nella consegna (Cavazza, 1996, Hewstone, Stroebe, Jonas, Voci, 2010).

La suggestione a livello non verbale

In riferimento alla seconda ipotesi, nel gruppo sperimentale è stata inserita una suggestione non verbale che nel gruppo di controllo non era presente. Per osservare fino a che punto il linguaggio non verbale possa influenzare la comunicazione e, quindi, suggestionare il ricevente, è stato disposto che venisse aggiunto un gesto in concomitanza con le parole “disegnare” e “rappresentare”. Tale gesto consisteva nel congiungere pollice e indice di entrambe le mani, come a formare due cerchi e ad intersecarle tra loro, suggerendo ai soggetti di produrre due cerchi intersecati come rappresentazione della relazione intima. Al contrario, nel lavoro con il gruppo di controllo durante la consegna non è stato fatto alcun gesto, evitando qualsiasi movimento delle mani.

  • Analisi dei dati

Da una prima analisi dei dati si può osservare come la prima ipotesi sia stata soddisfatta. La suggestione secondo cui i soggetti venivano invitati a rappresentare la relazione intima con due circonferenze è stata accolta dalla quasi totalità del campione, sia nel gruppo sperimentale che nel gruppo di controllo. Infatti, solo il 3% circa ha rappresentato la relazione intima in altro modo.

Per ciò che concerne la seconda ipotesi, essa è stata soddisf

Figura 1. Foto del gesto utilizzato nell’esperimento

atta solo parzialmente. A partire dai dati e da ciò che è osservabile dai grafici a torta (Fig.2), nel gruppo sperimentale si è ottenuto che la percentuale di soggetti che ha intersecato le circonferenze è dell’11,8% maggiore rispetto alle intersezioni del gruppo di controllo, ossia che mentre nel primo caso si ha il 90,4% di intersezioni, nel secondo se ne ha il 78,6%. Tale differenza di percentuale risulta essere indicativa di una tendenza ad un’influenza positiva che la suggestione non verbale potrebbe aver esercitato sulla raffigurazione grafica del concetto di relazione proposto verbalmente.

  • Discussione dei risultati

Per quanto riguarda la prima ipotesi non stupisce il fatto che sia stata convalidata, dal momento che prima di tutto una suggestione verbale del tipo “Ciò che vi chiedo di fare oggi è di disegnare due circonferenze…” rispecchia l’esperienza di ragazzi i quali, in un contesto come quello scolastico, sono abituati a dare ascolto e a rispondere positivamente a consegne di questo genere. Un livello ulteriore di riflessione permette di ipotizzare che l’elevata percentuale di rispondenza tra la richiesta verbale relativa al concetto di relazione e la sua rappresentazione grafica sia da attribuire alla familiarità e centralità del concetto proposto, il cui richiamo in memoria è stato facilitato dalla sua elevata accessibilità (Hewstone, Stroebe, Jonas, Voci, 2010). Sulla base di tali valutazioni esplicative, si può pertanto affermare, che l’ipotesi per cui gli adolescenti accolgono la suggestione verbale di tipo intenzionale e previsto, è stata verificata e confermata. Ulteriori riflessioni che riguardano la forma in cui tali circonferenze sono state raffigurate verranno illustrate in riferimento alla seconda ipotesi.

Nel caso della seconda ipotesi, si può affermare che i risultati generali dell’esperienza, hanno evidenziato come la suggestione non verbale sia stata accolta dai soggetti del gruppo sperimentale. Si è visto, infatti, che le percentuali di intersezioni sono state più alte dell’11,8% nel gruppo sperimentale rispetto al gruppo di controllo a conferma del fatto che la suggestione non verbale di tipo intenzionale e non previsto, inserita nella consegna del gruppo sperimentale abbia tendenzialmente influenzato gli effetti della suggestione verbale rinforzandone il risultato.

Il fatto che la suggestione di tipo non verbale funga da rinforzo a quella di tipo verbale, sebbene tale incidenza sia da considerarsi relativa, potrebbe essere conseguenza del fatto che la suggestione verbale sia stata in grado già di per sé di attivare una rappresentazione interna chiara, forte e accessibile del concetto proposto. Il dato che in questa indagine è, infatti, apparso interessante fin dall’inizio, riguarda il fatto che nel gruppo di controllo sia stata registrata un’alta percentuale di soggetti che in modo spontaneo ha raffigurato la relazione intima intersecando le due circonferenze. Come già accennato questo dato sembra riconducibile all’ipotesi esplicativa per cui il concetto di relazione intima, rappresenti per questi soggetti un costrutto ben definito in cui l’elemento centrale sembrerebbe richiamare l’idea di una parziale sovrapposizione dei confini personali all’interno di una relazione. Invitati verbalmente a raffigurare l’esperienza relazionale in termini di circonferenze, la maggior parte dei soggetti ha, dunque, rappresentato simbolicamente la relazione intima come una condizione in cui parti del proprio spazio personale vengono condivisi con l’altro e parti vengono mantenute autonome; un sano equilibrio tra autonomia e interdipendenza (Scilligo, 2009).

Lo stesso aspetto può essere riletto anche alla luce del concetto di rappresentazione sociale nella misura in cui i contenuti salienti di questo concetto coincidano con una visione culturalmente condivisa dello stesso (Hewstone, Stroebe, Jonas, Voci, 2010).

Facendo riferimento a quanto affermato dalla Cavazza (1996), per cui l’influenza che una comunicazione possa avere su un ricevente può dipendere dall’attuazione di tre fasi consecutive, l’attenzione rivolta al messaggio, la comprensione del suo contenuto e l’accettazione della conclusione è possibile sostenere che tutti e tre i livelli in questo caso siano stati realizzati. In particolare per quanto riguarda l’accettazione della conclusione questa potrebbe essere stata favorita dal fatto che la suggestione andava per lo più nella stessa direzione della rappresentazione interna dei soggetti relativamente quel dato costrutto. La Cavazza (1996, 88) afferma, a tal proposito, che “il soggetto mette in relazione l’informazione contenuta nel messaggio con le credenze che egli possiede relativamente alla questione (…). Se le informazioni inducono prevalentemente pensieri favorevoli alla posizione o all’oggetto di atteggiamento sostenuto nel messaggio, l’atteggiamento iniziale del soggetto ne risulterà influenzato nella direzione desiderata, se, invece, inducono prevalentemente pensieri sfavorevoli, l’atteggiamento iniziale rimarrà immutato oppure andrà nella direzione opposta”.

Un’altra chiave di lettura ci è fornita da Greenwald (1968) il quale valutava come centrale nella ricezione di un messaggio, il vissuto emotivo degli individui rispetto al contenuto del messaggio stesso. In modo particolare, egli affermava che il cambiamento degli atteggiamenti fosse mediato da una serie di pensieri autoprodotti legati al messaggio comunicativo in sé. Tali pensieri, connessi ai vissuti emotivi dell’individuo, avrebbero, un peso non indifferente nell’accettazione o meno della suggestione (Cavazza, 1996; Hewstone, Stroebe, Jonas, Voci, 2010). Anche in questo caso si può supporre che l’idea di partenza della maggior parte dei soggetti coinvolti nell’indagine e i loro vissuti emotivi abbiano reso possibile l’accettazione della suggestione verbale. Diversamente, coloro che avevano rappresentazioni interne differenti da quella suggerita sembra essere rimasto indifferente all’idea di rappresentare la relazione intima come un qualcosa che “lega” due persone; in tal caso tali soggetti non avranno presumibilmente pensato di intersecare le due circonferenze e non avranno altresì considerato l’idea di aderire alla suggestione non verbale, neanche a livello inconscio.

Tenendo presente questa condizione di base, il dato che attesta una parziale influenza della suggestione non verbale sulla rappresentazione grafica dei soggetti sembra essere in linea con quanto affermato sulle conoscenze circa l’impatto della comunicazione non verbale sul ricevente. Sebbene spontaneamente la maggior parte delle persone abbia rappresentato la relazione intima intersecando le circonferenze, il concomitante messaggio non verbale sembra aver giocato un ruolo di rinforzo rispetto ad un contenuto di per sé già forte e centrale per i soggetti coinvolti. In questo caso suggestione verbale e suggestione non verbale sembrano aver fornito un messaggio coerente e tale da non creare dissonanza nella maggior parte dei partecipanti.

Conclusioni

Il presente articolo ha voluto concentrarsi su diversi aspetti della comunicazione e, in modo particolare, sulla comunicazione non verbale e su quella suggestiva con lo scopo di approfondire, dapprima teoricamente ed infine con un’indagine sul campo, l’influenza del linguaggio non verbale nella comunicazione interpersonale. L’analisi del processo comunicativo nelle sue diverse forme, ha riguardato il linguaggio non verbale e il fenomeno della suggestione, che rappresenta la tendenza delle persone ad essere suscettibili di influenze da parte di altri. Sono stati presi in considerazione diversi autori che hanno studiato il processo suggestivo sin da quando questo ha iniziato a destare un interesse da parte della comunità scientifica; Atkinson (1943), Pöll (1960), Hoffmann (1980), Granone (1989) e Chertok (1990) hanno posto le basi su cui, ancora oggi, si fondano le conoscenze di altri studiosi in materia come, ad esempio, Gudjonsson (2003).

Alla luce delle premesse teoriche dei primi paragrafi, abbiamo affrontato l’analisi di un’indagine conoscitiva svolta sul campo con un campione di adolescenti tra i 17 e i 20 anni e tesa ad indagare l’impatto della suggestione non verbale nella comunicazione interpersonale. I dati ricavati hanno complessivamente dato ragione del fatto che sia possibile ipotizzare un impatto tendenzialmente significativo da parte di messaggi non verbali all’interno di una comunicazione verbale, agendo, nel caso specifico di questa esperienza, da rinforzo inconsapevole del messaggio verbale e condizionando il modo in cui i soggetti erano stati invitati a raffigurare graficamente un determinato costrutto. Le spiegazioni date trovano conferma nella cornice della psicologia della comunicazione rimarcando, ancora una volta, l’effetto suggestivo della comunicazione non verbale. È da sottolineare, inoltre che i dati emersi permettono di intravedere ulteriori piste di ricerca che facciano luce sulle variabile significative in grado di influenzare i processi comunicativi.

In conclusione, è possibile sottolineare come la comunicazione rappresenti la base fondamentale delle relazioni interpersonali e come la maniera più spontanea di trasmettere qualcosa di sé all’altro sia attraverso il linguaggio verbale che non verbale. Quest’ultimo non è controllato dall’emittente il più delle volte, ma consente di inviare informazioni importanti su di sé, sul proprio stato mentale, su quello umorale, sulle caratteristiche della propria personalità e, addirittura, sulla propria storia personale. Nell’inviare queste informazioni, si può andare, in qualche modo, ad influenzare l’altro, suggerendo contenuti che il ricevente può accogliere oppure no. Ancora una volta ciò sottolinea l’importanza della comunicazione nelle sue diverse forme e la necessità di approfondire la conoscenza dei diversi aspetti in essa implicati.


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