Il rapporto tra la noia e la creatività


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In questa nostra epoca ricca di stimoli di ogni genere, in cui linformazione corre velocemente nelle reti del nostro wi-fi, un viaggio si può prenotare in tre minuti e cosa fare la sera si può chiedere a Siri (assistente digitale presente nei dispositivi Apple), è sorprendentemente comune lesperienza di vivere in uno stato angosciante di noia, come se la stessa molteplicità di stimoli li annullasse tutti. Questo stato di noia, dopo un breve periodo di frustrazione e demotivazione, potrebbe essere lui stesso uno stimolo per attivare il pensiero creativo. Ecorrelando questi due costrutti che sembra possibile proporre nuove strategie per affrontare la noia, metodi efficaci per non incorrere in comportamenti a rischio come evasione da una realtà priva di stimoli, interventi creativi per sfruttare i benefici di un vecchio fenomeno ancora tutto da scoprire.

Il presente studio vuole approfondire il rapporto tra lesperienza soggettiva della noia e lutilizzo dei processi creativi. A tal fine viene in primo luogo descritta lesperienza dellannoiarsi, sia dal punto di vista filosofico-esistenziale che neuro-psicologico, e, più specificatamente, analizzando il messaggio che la noia porta con sé, come spinta motivazionale. In secondo luogo viene evidenziato come la ricerca di unattività autotelica, in cui la persona possa entrare nello stato di flow, possa scaturire dalla noia e non esserne impedita, individuando gli aspetti positivi di questa condizione.

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LA NOIA

Il tema della noia appare fin dai tempi di Lucrezio, il quale sosteneva essere uno stato danimo derivante dalla non conoscenza delle cause dellinfelicità umana. Egli la definì come “taedium vitae”1 in cui luomo si rifugia fuggendo da se stesso, quando si rende conto che né dentro di lui né fuori trova pace (Vizioli, 2012).

Petrarca, nel Secretum, la definisce aegritudo, ovvero accidia, dove egroancora significa malato, intendendola come una malattia dellanima (Petrarca – Fenzi, 1992).

Leopardi, nelle “Operette Morali”, afferma che la noia ha la stessa natura dellaria e come tale riempie tutti gli intervalli della vita fra i piaceri ed i dispiaceri (Harwell, 1986); nello Zibaldonee nei “Pensieri” (LXVII) la definisce come uno stato danimo proprio dellessere umano, sconosciuto o quasi agli altri animali (Leopardi, 1845).

Kierkegaard la ritiene una conseguenza della vita estetica e definisce lannoiato come colui che è sazio dei piaceri e di quello che già conosce (Kierkegaard, 1976).

Orazio, nel Carpe Diem, e Montale ne Gli ossi di seppiala descrivono come quella dolorosa angoscia che tedia luomo, derivante dalla mancanza di fiducia verso la vita, se stesso e il futuro (Ottino, 1897; Montale, 2011).

La noia è stata approfondita nella letteratura e nella filosofia più che nella psicologia perché, come sostiene Eastwood, ci sono molteplici cose che circondano luomo da sempre, alle quali non si presta attenzione, sembrando esse superficiali (Eastwood et al., 2012).

Le teorie psicodinamiche ipotizzano che la causa della noia sia uninabilità nel determinare consapevolmente quale sia loggetto di desiderio mancante, poiché minaccioso e per questo rimosso: lindividuo annoiato guarda al mondo esterno per trovare soddisfazione, ma si sente deprivato e frustrato, perché il mondo esterno non può risolvere il suo problema (Fenichel, 1951; Greenson, 1953). Le teorie cognitiviste sostengono che la noia sia causata da un fallimento del processo dellattenzione, come risultato di uninabilità a focalizzare o impegnare lattenzione correttamente (Fischer, 1993).

Alla noia non è ancora stata data una definizione che trovi un unanime consenso scientifico: definita dapprima come sentimento spiacevole che nasce dal conflitto tra il bisogno di unintensa attività mentale e la mancanza di motivazione o lincapacità a recepire lo stimolo (Lipps, 1903), e successivamente spiegata da Eastwood (et al., 2012) come stato avversativo di voler, senza essere capaci, impegnarsi in unattività soddisfacente.

Charles Baudelaire ne I fiori del male, nella poesia dapertura Al lettore2, descrive la noia come: spleen, malattia dellevo moderno, stato di scoraggiamento, il più grande di tutti i vizi, lennui, la noia di vivere, incapacità di avvertire la propria stessa esistenza (Baudelaire, 1857).

Alberto Moravia, nella sua opera intitolata La noia, descrive Dino, giovane ricco che da quando è piccolo soffre di noiae la descrive così3: la noia è un’interruzione della corrente in una casa, una coperta troppo corta (Moravia, 1987). Eincomunicabilità tra essere umano e oggetti, incapacità di uscire da noi stessi, fa restare sopraffatti dal malessere. Esiste una noia volgare4 dovuta allassenza di divertimento, e una più profonda, esistenziale che ha la funzione di molla che fa sì che gli uomini creino tutto ciò che fa parte della loro vita, spinge a non fare niente, pur volendo fare ardentemente qualcosa (Moravia, 1960). La noia fa pensare alla morte come soluzione al dispiacere di vivere. Poiché Dino non vuole continuare a vivere così farà di tutto per trovare una via duscita e sarà la noia a spingerlo a diventare pittore, lasciare la casa dei suoi ricchi genitori e andare a vivere da solo (Moravia, 1960).

Jean Paul Sartre nel romanzo La nauseadescrive Antonio Roquentin: un uomo pietrificato, stanco e insofferente nella noia5, da essa spinto a trovare se stesso, che a trenta anni vive unesistenza da fungo: la passione è morta, si sente vuoto, vive solo e non parla con nessuno, non riceve né dà niente, si interroga spesso sulla sua esistenza; a volte pensa di sopprimersi perché pensa di essere di troppo, ma anche la sua morte stessa la considera di troppo (Sartre, 1938). Antonio, un giorno, è colpito dal titolo di un articolo del giornale: Salvato da un cane6. La proprietaria del bar, dove egli si trova, mette un disco: Some of these days: egli inizia a provare gioia e desiderio di scrivere un libro, certo del fatto che ciò l’avrebbe fatto sentire vivo: con la pubblicazione del libro, qualcuno potrà ricordarsi di lui permettendogli di avere un passato. Antonio, è spinto dalla noia verso larte, e grazie ad essa comincia ad accettare se stesso (Sartre, 1938).

Anche il filosofo tedesco Martin Heidegger descrive così la noia: si è annoiati da qualcosa e il tempo sembra andare piano (Bassanese, 1992); laffollamento degli oggetti esistenziali si dirada; luomo viene trattenuto contro la sua volontà in una situazione a cui si lega; non riesce a trovare qualcosa da fare per riempire il tempo (Heidegger – Volpi, 2001). Linquietudine delluomo contemporaneo nasce proprio quando esiste un tempo liberato dalloccupazione programmata del quale è divenuto schiavo; attraverso una grande quantità di passatempi, luomo fugge da ogni occasione di sosta e di riflessione ed è questo lindice della più grande perdita di sé. Infine c’è la “noia profonda7 in cui tutte le cose appaiono alluomo egualmente indifferenti: una condizione nella quale egli si sente chiamato da un altrove, pur continuando ad essere immobile (Heidegger – Volpi, 2001). Ma è proprio nello stato di angoscia prodotto dalla noia che luomo può essere portato a riflettere sulla sua condizione esistenziale, può arrivare a comprendere se stesso, ascoltando la propria coscienza, i propri impulsi e desideri (Di Giorgi, 1996). In questo modo alluomo è permesso di trovare la sua possibilità più propria allinterno del complesso di possibilità di essere dal quale è caratterizzato. Per Heidegger (1992), infatti, la radice di esistenza(ex-sistere) indica lo stare in direzione delle possibilità: luomo nella sua esistenza si presenta come essere-nel-mondo” (dasein=esserci) in maniera dinamica come progetto da vivere con gli altri, un esserci che si evolve in mitdasein, “esserci-con-gli-altri(Vattimo, 2015).

Otto Fenichel, psicoanalista viennese, fu la figura di riferimento del gruppo degli psicoanalisti marxisti fino al 1934, maestro e psicoanalista di Ralph Greenson, psichiatra e psicoanalista statunitense che, come Fenichel, studiò la noia.

Fenichel, nel 1934, fu il primo ad interpretare la noia in termini psicoanalitici (Fenichel, 1934): essa è “il risultato della concomitanza di un bisogno di attività e linibizione di questa stessa attività”8 che trova il suo fondamento nella soggettività inconscia. Egli partì dalla definizione di Lipps, che la descrisse come un sentimento spiacevole che nasce dal conflitto tra il bisogno di unintensa attività mentale e la mancanza di motivazione o lincapacità a recepire lo stimolo (Lipps, 1903). Per Fenichel questo bisogno di attività, la mancanza di spinta verso di essa e linabilità ad impegnarsi, sono il conflitto centrale della noia che dipende più dalla persona, che dalla povertà di stimoli del mondo esterno (Fenichel, 1951). La noia è spiegata da Fenichel attraverso la metafora di un affamato davanti al cibo, che però non trova soddisfazione negli stimoli disponibili. Il vero problema della noia è, dunque, l’inibizione sia dell’invito all’attività che della prontezza ad accettare gli stimoli desiderati9 [trad. mia]. Nella condizione normale, lapparato psichico si trova ad affrontare eccitamenti pulsionali spiacevoli, e soddisfacimenti pulsionali piacevoli, oppure impulsi spiacevoli, e piacevole assenza di impulsi (Fenichel, 1951): la noia rappresenta una particolare condizione scomoda di spiacevole assenza di impulsi10 [trad. mia].

L’annoiato, simile al bambino insoddisfatto11 che ha sperimentato la fame di stimoli, “non ricerca propriamente un oggetto come investimento delle proprie pulsioni12, spera che il mondo esterno possa fornirgli una meta pulsionale che la persona ha in quel momento rimosso, rifiutando nel contempo sia attività troppo distanti quanto quelle troppo simili alla meta rimossa (Vigorelli, 2009). La metafora utilizzata è di colui che ha dimenticato un nome e vuole saperlo dagli altri.

La noia si situa allinterno dello schema classico del conflitto inconscio e, più in generale, nel tema della rimozione psichica e della conseguente angoscia a causa delle pulsioni sessuali non scomparse, sebbene inibite. Nello stato di noia lEs vuole un atto pulsionale, lIo non agisce ed il principio resta invariato di fronte alle richieste rivolte al mondo esterno: “l’Es vi aspira, in quanto sostituti pulsionali, lIo vuole indubbiamente allentare la propria tensione, ma non vuole che in tal modo gli venga ricordata la meta pulsionale originaria; egli cerca una deviazione, o una distrazionedelle energie fissate sulla meta pulsionale inconscia13 [trad. mia].

Per Greenson è più facile descrivere, che definire la noia e se si chiede ad un annoiato cosa egli provi, ricorre il riferimento al senso di vuoto, lassenza di pensieri in grado di orientare il soggetto verso una qualche gratificazione sotto la pressione di una forte sensazione di desiderio (Greenson – Kohut, 1992).

Per l’autore il vuoto attivo che caratterizza la noia è la conseguenza del ritiro da parte del soggetto dellinvestimento da fantasie che hanno a che fare con pulsioni pericolose, ma questa inibizione o ritiro blocca fantasia e pensiero e non la tensione che si collega ad esse (Greenson – Kohut, 1992). La noia è uno stato danimo14 e la descrive come spiacevole indifferenza, di attesa passiva e senso di solitudine15.

Per quanto riguarda la sua genesi, la noia è prodotta da una successione di eventi: la rimozione di pulsioni o di oggetti per ordine del Super-Io provoca nel soggetto uno stato di tensione affiancato da un sentimento di vuoto. Infatti, linibizione di fantasie e di derivati del pensiero degli impulsi, avvertiti come minacciosi dallIo, viene percepita dal soggetto come deprivazione autoimposta, la tensione pulsionale perde un suo orientamento preciso e tutto questo (tensione e vuoto) viene percepito come una specie di fame di stimoli (Greenson – Kohut, 1992). “L’individuo, poiché non sa di che cosa ha fame, si volge ora al mondo esterno, con la speranza che gli fornisca la meta e/o loggetto mancanti16.

Il meccanismo di difesa alla base di questa sensazione è la negazione, versione meno grave del diniego, che comporta una compromissione dellesame di realtà, per via della rimozione dalla coscienza di un contenuto considerato pericoloso (Gambini, 2015).

Per quanto riguarda il vuoto, potrebbe essere descritto con la pregnante metafora del bambino affamato con limmagine di unassenza di soddisfazione (madre assente, seno assente, madre che non verrà) e questo spiega lo strazio di un trascorrere del tempo che non trascorre mai (Greenson – Kohut, 1992): è un contenuto, e non un contenitore che potrebbe essere colmato da qualcosa di appagante per il soggetto (Rossi, 2016), per cui la noia è “sentimento di essere pieni di vuoto17, condizione in cui spazio e tempo collassano e non c’è possibilità di uscita.

Cosa accade a livello neurofisiologico ad una persona annoiata? Per rispondere a questo interrogativo e per riuscire a dare della noia una definizione in grado di distinguerla da altri costrutti simili si sono mosse alcune ricerche, sebbene esigue nel numero. Per questi ricercatori la definizione richiama i concetti di attenzione e di arousal.

Innanzitutto, che esista una correlazione tra noia e attenzione non è un’ipotesi definitiva, ma è avvalorata dalla definizione di noia come stato avverso che si verifica quando non si riesca a concentrarsi sul compito, e ci si concentra solo sul non riuscire a concentrarsi o su stimoli irrilevanti, attribuendo la causa di questincapacità all’ambiente esterno (Eastwood et al., 2012). I processi mentali, sottostanti la noia, che ne derivano riguardano: il fallimento dei processi esecutivi di controllo; lorientamento inadeguato dellattenzione; lattribuzione della disattenzione allambiente; i tentativi fallimentari di impegno dellattenzione attraverso la regolazione del sistema di allerta (Eastwood et al., 2012), che verranno approfonditi nel paragrafo successivo.

Per quanto concerne le prime due ipotesi sono stati fatti due studi: il primo suggerisce che la noia dipende dalla salienza delle interruzioni (Damrad-Frye – Laird, 1989); il secondo che la noia diminuisce nel momento in cui lattività possa essere completata senza lutilizzo dellattenzione focalizzata, perché l’individuo può concentrarsi anche su qualcosaltro (Fischer, 1998)18. Uno studio più recente ha dimostrato che la noia non si verifica nel momento in cui i partecipanti siano consapevoli della vera fonte di distrazione (Critcher – Gilovich, 2010).

Per quanto riguarda la penultima ipotesi, prendiamo in considerazione le attività di vigilanza, compiti noiosi per eccellenza (Eastwood et al., 2012)19, come dimostrano diversi studi, assieme ad un evidente declino nella performance richiesta (Davis – Parasuraman, 1982). Sebbene uno studio metta in dubbio la correlazione noia-vigilanza (Hitchcock et al., 1999), la possibilità che la correlazione esista non è stata esclusa, ma c’è una questione ancora irrisolta: non è stato ancora chiarito se a portare alla noia sia la capacità di sostenere lattenzione in sé o lo sforzo percepito durante lattività. L’unica cosa abbastanza certa è che tutte le attività di vigilanza presuppongano uno sforzo e che questo aumenti quando le prestazioni diminuiscono (Eastwood et al., 2012).

La relazione tra il fallimento dellattenzione sostenuta e la noia potrebbe dipendere dalla performance di monitoraggio20. Ciò è coerente con lipotesi che suppone che la relazione tra un inadeguato orientamento dellattenzione e la noia possa essere mediata dalla valutazione dei compiti. Epossibile che la consapevolezza di un eventuale incremento di sforzo e/o della possibilità di distrarsi dal compito, aumentino la probabilità di fallimento dellattenzione sostenuta, facilitando lesperienza della noia (Eastwood et al., 2012). Il vagare della mente può permettere allindividuo di proiettarsi in scenari più piacevoli rispetto a quelli dove sono attualmente confinati, e conseguentemente provare meno noia e svolgere il compito in modo efficace (Smallwood – Schooler, 2006), ma ciò nonostante valutare il compito come noioso in sé (Eastwood et al., 2012).

In conclusione, la noia può comparire quando unattività fornisca un piccolo sostegno esterno che faciliti lattenzione focalizzata in modo che la prestazione non si basi solo sullattenzione focalizzata stessa21.

Per quanto concerne invece la correlazione tra la noia e larousal, il termine indica uno stato di vigilanza del sistema nervoso centrale che si ritiene regolato da due sistemi: uno tonico, che dipende dalle afferenze estero-interocettive, e uno modulatore, che controlla il livello di attività del primo e integra gli stimoli in arrivo in entrambi i sistemi, attraverso i processi di facilitazione e soppressione delle informazioni in arrivo22. Alcuni ricercatori ritengono che la noia possa interferire con il sistema nervoso centrale, aumentandone o diminuendone lo stato di vigilanza.

Nel 1960 Daniel Berlyne, psicologo canadese, sostenne lipotesi che la noia aumentasse larousal autonomo (Berlyne, 1960). A favore di questa teoria molti studi23 dimostrano la presenza di cambiamenti fisiologici in situazioni che potrebbero essere interpretate come noiose, ma non hanno mai misurato la noia direttamente. Uno di questi fu rivolto a due gruppi di dieci laureande dell’Università di Brandeis: il primo si cimentò in unattività noiosa, il secondo in unattività presumibilmente più interessante. Per entrambe le attività la durata era di 40 minuti, a cui seguì un test in cui il soggetto valutava lattività in una scala da 1 a 9 (London et al., 1972).

Per misurare larousal autonomo applicarono degli elettrodi sul palmo e sul dorso (area inattiva) della mano, che il soggetto non utilizzava né per per premere il bottone né per scrivere, attraverso i quali si registrò l’attività elettrodermica (risposta galvanica della pelle) potenziale (London et al, 1972).

I risultati24 suggeriscono che la noia accresce larousal autonomo, ma dato che fosse possibile che il gruppo che aveva svolto lattività noiosa avesse avuto dei livelli di GSP più alti in partenza, fu fatto un secondo studio per testare la relazione generale tra la noia e larousal (London et al., 1972). I soggetti scelti furono 44 uomini arruolati nellesercito, divisi in due gruppi; la condizione di noia prevedeva la scrittura delle lettere “cd” per 30 minuti; la condizione di interesse prevedeva la scrittura di alcune storie sulla base di immagini prese da alcune riviste per 30 minuti. I due gruppi svolsero le due attività in sequenza opposta, compilando poi un test di valutazione su una scala da 1 a 925 (London et al., 1972).

I risultati confermarono quelli del primo studio per quanto riguarda la percezione delle due attività, del passare del tempo e dei livelli di rabbia, frustrazione e nervosismo non significativi. Per quanto riguarda il battito cardiaco, che risultava più o meno equivalente in entrambi i gruppi prima delle attività, esso mostrava una decrescita più significativa per il gruppo che passava dallattività noiosa a quella interessante. La conduttanza della pelle è maggiore durante la scrittura delle lettere “cd”, rispetto a quella della scrittura creativa. Da questo risulta che lattività noiosa produce livelli più alti di arousal autonomo, rispetto a quella interessante.

I risultati di questi esperimenti suggeriscono che unattività considerata noiosa produca unincremento dellarousal autonomo. Ponendo i risultati su un continuum, larousal autonomo sembra raggiungere livelli alti sia in attività molto impegnative quanto poco impegnative, mentre raggiunge livelli minimi quando lattività si pone ad un livello intermedio. In altri termini, quando si svolge unattività molto facile, continuare ad essere attenti richiede una focalizzazione delle energie, quanto svolgere unattività difficile. Callaway scoprì che il focalizzare lattenzione nella percezione è accompagnato dalla predominanza del sistema nervoso simpatico rispetto a quello autonomo, e questo è riflesso nellaccrescere dellarousal autonomo e il decrescere di quello corticale (Callaway – Dembo, 1958; Callaway – Thompson, 1953).

In conclusione26 gli studi dimostrano che la noia, posto che incoraggi la ricerca di attività ed esperienze alternative a ciò che lha fatta scaturire, dovrebbe essere associata allincremento dellattività del sistema nervoso autonomo (Merrifield – Danckert, 2014).

In generale la noia, vista come lo stato avversativo di voler, senza essere capaci, impegnarsi in unattività soddisfacente (Eastwood et al., 2012) è stata sempre associata a molti esiti negativi. Per esempio, alcuni ricercatori hanno indotto lo stato di noia nei partecipanti al loro esperimento e questi hanno mostrato un incremento di fame dopo un pasto completo, legando così la noia alle cause di mantenimento dellobesità (Abramson – Stinson, 1977), e di rabbia ed ostilità rispetto ai controlli (van Tilburg – Igou, 2011). Altri esperimenti hanno dimostrato che lo stato di noia potrebbe alzare la probabilità di prendere decisioni rischiose (Matthies et al., 2012). Infine, uno studio riguardo i pazienti psichiatrici clinicamente depressi ha evidenziato come lo stato di noia potrebbe essere una chiave per predire lideazione suicidaria (Ben-Zeev et al., 2012).

Le ricerche focalizzatesi sulla noia – come inclinazione caratteristica di un individuo ad annoiarsi – hanno mostrato inferenze dirette tra il costrutto della noia e molteplici condizioni negative, soprattutto problemi comportamentali27 ed una vasta gamma di sfide emozionali28.

La noia è stata associata, confusa o inclusa nello studio della depressione, sebbene per diversi autori le due condizioni psicologiche differiscano da molteplici punti di vista. Ripartendo dallinterpretazione di Greenson, noia e depressione hanno in comune il senso di vuoto, ma mentre nella prima si vive un vuoto di contenuto, desiderando un oggetto che non si sa quale sia, nella depressione è il mondo esterno ad essere percepito come vuoto e il Sé come pesante, gravato e abbattuto. Unaltra differenza è la vita fantastica del depresso: ricca, viva, anche se morbosa, mentre nellannoiato è quasi del tutto assente, perché negata (Greenson – Kohut, 1992).

Per Bibring (1953) noia e depressione sono originate entrambe da una funzione narcisistica (Maggini – Dalle Luche, 2002) in cui la noia è il risultato della rimozione della meta pulsionale inaccettabile (Greenson – Kohut, 1992), mentre la depressione è il risultato di una frammentazione del nucleo narcisistico dellIo (Bibring, 1953). Nella noia lautostima rimane intatta e lannoiato può ancora entusiasmarsi per qualcosa, ma qualora la novità si rivelasse una delusione, lannoiato cronico rischierebbe di cadere in uno stato depressivo, subentrando in lui un senso di impotenza e di impossibilità di cambiamento della propria situazione. Di conseguenza “l’autostima (il nucleo narcisistico dellIo) è a pezzi perché le funzioni dellIo appaiono inadeguate29. Ciò che invece appare più simile alla noia, secondo lautore, è la spersonalizzazione, perché anche in questa condizione lautostima rimane intatta, nonostante linibizione abbracci tutte quelle tensioni pericolose, come la rabbia e laggressività (Bibring, 1953).

La depressione è orientata verso impulsi del passato, verso un oggetto che si è ottenuto e poi perso, quindi il depresso vive nel tempo passato pur percependo il presente, mentre lannoiato è del tutto orientato verso il presente che è svuotato e insignificante (Hartocollis, 1972): il passato svanisce poiché ricordare è pericoloso per chi deve difendersi da se stesso, ed il futuro si allontana poiché la sua progettazione richiederebbe quelle energie di ideazione che sono fuori mercato30.

L’autostima, invece, vacilla nel caso della depressione cronica, illustrata come uno schema che lindividuo continua a ripercorrere nella vita: in termini kleiniani, la contrapposizione tra la continua riparazione di oggetti distrutti e perduti e il mantenimento nostalgico delloggetto primario irrimediabilmente perduto31. Da questottica, la noia è una condizione di dolorosa immobilità nostalgica verso loggetto perduto, perché la depressione non può essere vissuta, ma solo evitata in questo modo: se luomo fosse autentico forse è depresso, ma altrettanto si potrebbe dire forse è annoiato32.

Otto Kernberg (1975) analizza i sentimenti confacenti la noia cronica per esplorare le condizioni in cui questi si manifestano più spesso: sentimenti di vuoto, inutilità della vita, inquietudine e solitudine. Le condizioni morbose, frequentemente teatro dei sentimenti di noia cronica, sono: le depressioni nevrotiche croniche e le strutture depressive di personalità, schizoidi di personalità, narcisistiche e borderline. Nella depressione nevrotica si possono episodicamente osservare sentimenti di perdita del contatto con la realtà, di estraneità, svalorizzazione degli oggetti damore, solitudine inalleviabile33. La noia, da un punto di vista depressivo, viene spiegata come la manifestazione di uno svuotamento generato dallaggressività dellIo che nei casi più gravi fantastica sullipotesi di distruggere i propri oggetti interni, condannandosi alla solitudine e allabbandono. Questa perdita di oggetti interni fa apparire il mondo vuoto e insensato e lesistenza insignificante agli occhi dellindividuo che quindi si annoia (Kernberg, 1975).

Green definisce la noia “l’attesa da cui non si attende niente34 [trad. mia], come conseguenza o avvio alla depressione: come conseguenza, quando arriva una sorta di accettazione del lutto, perché l’oggetto è morto e non tornerà, e lelaborazione del lutto viene fatta quotidianamente in unanestesia emotiva che rende tutto noioso; come avvio, se la noia fallisce nel difendere lindividuo dalla depressione (Green, 1975).

L’annoiato che si vede come Oggetto e non più come Soggetto e attende di essere vivificato dalla vita in una condizione di pretesa e rabbia, entra in un circolo vizioso frustrante, perché aspetta di ricevere una gratificazione che non arriva mai e così continua ad attendere, ma essendo più demoralizzato si allontana da ogni possibilità di gratificazione (Rossi, 2016). Come se fosse sonnambulo, lannoiato non può essere privato della noia, perché se mettesse in atto questa circolarità, probabilmente non avrebbe soluzioni migliori e se rimozione e inibizione cedono il passo a pensieri e fantasie proibite, si assiste alla sostituzione della noia con quei dolorosi vissuti di tipo depressivo e angoscioso dai quali lannoiato deve difendersi. Per questo chi è vittima di questa circolarità mortifera attiverà inconsapevolmente ogni sorta di resistenza. Euna lotta antidepressiva quella cui assistiamo35.

Wangh (1984), invece, considera la noia composta da sentimenti di vuoto e i sentimenti di vuoto propri del vissuto depressivo. In questottica, infatti, noia e depressione si sovrappongono, evidenziando lambiguità dei confini tra questi due costrutti, come anche in Haynal (1987) che talora assimila il sentimento di vuoto alla noia, talaltra il vuoto ai sentimenti depressivi dabbandono36.

Depressione, noia e apatia hanno in comune un senso di vuoto: nella prima, a differenza dallapatia, c’è una ricca attività fantastica, vedendo il vuoto nel mondo, e in comune c’è il rallentamento delle risposte motorie e affettive e lorientamento orale; nella noia invece il vuoto ha preso il posto delloggetto desiderato, condannando lannoiato ad un vano attendere. L’apatia “si caratterizza per unassenza di affetti, non esiste alcuna tensione o spinta rivolta verso lesterno, e linibizione delle funzioni di percezione e pensiero è molto più pronunciata37.

L’apatia, come la noia, inizialmente veniva considerata un sintomo secondario, un sentimento poco importante: associata alla sintomatologia degli schizofrenici catatonici, degli individui depressi e dei pazienti con malattie organiche, oppure considerata un fattore concomitante e scontato della noia. Durante la guerra si osservò che lapatia costituiva un tratto predominante di una delle nevrosi di guerra definita di tipo passivo da deprivazione, della categoria passivo-dipendente (Greenson – Kohut, 1992). Appariva evidente nel paziente apatico la distintiva assenza di pulsioni ed emozioni, basti pensare al modo di parlare tipico: monotono, piatto, con un ritmo lento e ripetizione di parole semplici (Greenson – Kohut, 1992). Per Greenson la noia sembra essere una condizione di apatia, di spiacevole indifferenza: il tempo sembra essersi bloccato in un eterno presente, ma mentre lapatico può trovare un podi pace grazie allassenza di desiderio, questa consolazione non è concessa allannoiato38.

La deprivazione sembra essere lorigine primaria dellapatia, e nei pazienti reduci di guerra era lesposizione al pericolo a trasformarsi in una deprivazione traumatica, provocando in loro stati di angoscia che regrediva, sostituita dallapatia (Greenson – Kohut, 1992). Per questo può essere definita come una forma di regressione39 ad uno stato libidico passivo, al fine di evitare lannichilimento psichico. Lapatia potrebbe dunque essere una strategia per sopravvivere ad un dolore di una perdita troppo grande, evitando i sentimenti travolgenti di annientamento. Appare dunque una difesa antidepressiva, un meccanismo di difesa riuscito40.

LA CREATIVITÀ

Il termine creare in latino identifica la creatività come creazione di prodotti, grazie alla capacità potenziale delluomo e caratteristica necessaria per raggiungere nuove mete (Roginska – Siwinska, 2013).

La creatività è generalmente definita come la capacità di riconoscere nuove connessioni tra pensieri ed oggetti, dando la possibilità di creare innovazioni e cambiamenti insoliti e trovare soluzioni stravaganti che si allontanino dagli schemi tradizionali (Vaccarino, 2007). Originariamente riferito solo allatto del creare divino, la creatività come atteggiamento mentale proprio degli esseri umani è un concetto relativamente moderno. I grandi geni del passato forse non si sarebbero definiti creativi, perché l’inventiva, la genialità, il progresso, larte e limmaginazione erano percepiti più come propri delluomo (Cesa-Bianchi et al., 2009), mentre la creatività veniva considerata dote di pochi: un dono delle Muse dellArte e della Letteratura di cui si poteva essere solo possessori innati o naturalmente sprovvisti.

Nel campo scientifico la creatività si sintetizza nella capacità di collegare in modo innovativo piani di ragionamento e idee tra loro scollegate, scoprire prospettive diverse, migliori di quelle tradizionali e innovative, da cui guardare al futuro o rileggere il passato. Latto creativo possiede anche un aspetto trasgressivo che ci permette di cambiare modo di pensare, opinione, stili di vita e reinterpretare la realtà (Cesa-Bianchi et al., 2009).

Approdati alla convinzione che la creatività sia caratteristica distintiva del pensiero umano, se ne deduce che il cervello sia naturalmente strutturato per pensare creativamente.

Le capacità di apprendimento e di associazioni non stereotipate, quindi flessibili e creative, risiedono nella corteccia cerebrale, che non a caso è ciò che luomo ha maggiormente sviluppato nel corso dellevoluzione.

Alcune ricerche hanno provato ad individuare la natura dei meccanismi sottostanti la creatività, utilizzando tecniche di neuroimaging e strumenti di misurazione dei potenziali elettrici, seguendo alcune ipotesi riguardanti lattività cerebrale coinvolta nel pensiero creativo, non approdando ancora ad una teoria confermata e condivisa dalla comunità scientifica.

Tra le ipotesi della psicologia cognitiva, dapprima si evidenzia la capacità di meta- rappresentazione all’interno del processo cognitivo come strumento essenziale per il pensiero creativo: il cervello forma immagini primarie della realtà, raccolte attraverso i cinque sensi e le duplica, permettendo la produzione fantastica, infatti esso lavora apportando cambiamenti alle immagini duplicate. “La psicologia cognitiva ha chiamato questo procedimento capacità di meta-rappresentazione, ipotizzando che sia il nocciolo della creatività”41.

Una seconda ipotesi prende in considerazione la struttura del telencefalo e la lateralizzazione delle funzioni dei due emisferi di cui è composto. Il sistema nervoso (SN) è costituito dal sistema nervoso centrale (SNC) e da quello periferico (SNP), formato da fasci di nervi, gangli e organi di senso. Il SNC è contenuto nellencefalo e nel midollo spinale, è sede del telencefalo, che occupa gran parte della scatola cranica, ed è diviso in due emisferi collegati dal corpo calloso, un sistema di fibre trasversali. Lemisfero sinistro è responsabile del linguaggio e delle capacità logiche e matematiche, mentre quello destro delle capacità artistiche, musicali e di astrazione: per questo motivo è opinione comune che questultimo sia sede della creatività. In realtà, essendo questultima un processo molto più complesso, richiede la collaborazione di entrambi gli emisferi, perché le sole capacità di astrazione e fantasia limiterebbero ad un sogno ad occhi aperti lipotetico prodotto creativo, senza possibilità di tradurlo in qualcosa di concreto. Inoltre, è stato dimostrato che, tra le molteplici risorse del cervello, c’è anche la capacità di adattamento che permette ad un emisfero di sopperire ad eventuali mancanze dellaltro, dovute a lesioni o deformazioni, grazie al corpo calloso. Questa scoperta ha dato adito allipotesi che al centro del processo creativo, che richiede unindipendenza emisferica parziale e reversibile, ci sia proprio il corpo calloso che permette la collaborazione e luso congiunto dei due emisferi (Bogen – Bogen, 1999).

Un altro aspetto preso in considerazione è il livello di vigilanza della corteccia cerebrale, necessario alla realizzazione del processo creativo, che è sorprendentemente basso. Infatti, non serve un livello di attivazione pari a quello che consente di concentrarsi, perché esso blocca i comportamenti irrilevanti e non proiettati ad un fine specifico, scartando le associazioni mentali considerate inutili allo scopo e cioè: quelle originali e potenzialmente creative. Le onde elettriche dellattività corticale creativa sono le onde theta, tra i 4 e gli 8 Hz, che consentono uno stato di sonnolenza e fantasia; lo stato di veglia ed attenzione è caratterizzato invece da onde beta, di frequenza compresa tra i 13 e i 30 Hz, mentre le onde alpha, tra gli 8 e i 13 Hz, accompagnano una condizione di rilassamento (Cesa-Bianchi et al., 2009).

Gli studi neuroscientifici sulla creatività hanno prodotto diverse teorie e ipotesi per quanto riguarda i possibili meccanismi sottostanti il pensiero creativo, sebbene molti ricercatori sostengano che sia un fenomeno inesplorabile.

Arne Dietrich, professore di neuroscienze cognitive, afferma che la creatività richieda abilità cognitive classiche che impegnano il lobo frontale, come la memoria procedurale, lattenzione sostenuta e la flessibilità cognitiva, e abilità come quella di rompere le regole convenzionali o sviluppare nuove strategie (Dietrich, 2004). Inoltre, nel pensiero creativo è inclusa la capacità di produrre nuove idee combinando gli elementi delle conoscenze già possedute: per questo è avvalorata lipotesi di unimplicazione massiccia di memoria procedurale in quanto a lei è assegnato il compito di mantenere le informazioni nella mente nel momento in cui avviene il processo creativo (Fink et al., 2007).

Lo sviluppo di strumenti di misurazione42 dei potenziali elettrici hanno prodotto notevoli vantaggi nellosservazione delle correlazioni tra cervello e pensiero creativo.

Una delle difficoltà maggiori nello studio del pensiero creativo è che i cambiamenti osservati nellattività del cervello avvengono piuttosto lentamente e questo limita considerevolmente lindagine sul decorso della cognizione creativa, perché è difficile individuare il momento esatto in cui essa avvenga43.

L’applicazione di ciascuno degli strumenti sopracitati porta con sé specifiche limitazioni, ma poiché il pensiero creativo richiede presumibilmente una massiccia interazione di diverse reti neurali altamente coordinate, probabilmente il miglior metodo è l’analisi dellattività oscillatoria attraverso l’EEG (Fink et al., 2007). Un’altra difficoltà è posta dalla tecnica più comune utilizzata dai test sulla creatività: solitamente le attività previste da questi implicano foglio e matita per produrre storie o disegni creativi. Tale modalità di risposta è difficile da realizzare in un setting neuroscientifico, perché il tempo necessario per scrivere o disegnare potrebbe alterare il risultato, oltre che attivare aree del cervello individuate dallEEG non confacenti la creatività, riducendo così il numero di rilevazioni possibili non artefatte, oltre al fatto che lo stesso setting altera di per sé il comportamento della persona (Fink et al., 2007). Per ovviare a questo sono stati cercati altri metodi (sebbene non ancora confermati), richiedendo una produzione creativa solo immaginativa o prettamente verbale, analizzando lattività cerebrale che intercorre tra lo stimolo e la risposta (Bhattacharya – Petsche, 2005).

In generale, gli studi fatti finora indicano che differenti modi di pensare corrispondono a diversi pattern neuronali nel sistema nervoso. Ad esempio, quando ai partecipanti dei vari esperimenti viene chiesto di svolgere attività che potrebbero essere considerate di problem solving, come chiamare con un nome diverso oggetti comuni o pensare a tutte le conseguenze possibili di unipotetica situazione, essi mostrano un pattern diverso di attività cerebrale elettrofisiologica, rispetto alle attività collegate allintelligenza (Razoumnikova, 2000). Lattivazione cerebrale implicata nel pensiero creativo, specie nellattività di libere associazioni, sembra essere opposta a quella osservata durante le attività di cognizione convenzionale. Inoltre, gli studi suggeriscono che durante il pensiero creativo i pattern di attivazione cerebrale di individui molto creativi sono notevolmente diversi da quelli osservati in persone meno creative (Bhattacharya – Petsche, 2005).

Mihalyi Csikszentmihalyi, psicologo ungherese contemporaneo, si è dedicato allapprofondimento degli stati interni della coscienza di sé: emozioni, intenzioni e operazioni mentali. Questultime sono attivate dalle intenzioni dazione ed hanno lo scopo di diminuire la distanza tra la situazione percepita e quella desiderata (Nuttin, 1983).

Per quanto riguarda le emozioni, esse possono essere considerate sia laspetto più soggettivo che quello più oggettivo della coscienza di sé, poiché l’esperienza emozionale ci appare reale, concreta e tangibile, più delle teorie matematiche e della logica. Lesperienza può assumere una valenza emotiva negativa, che produrrà entropia psichica, oppure positiva, producendo negentropia psichica (Pellerey – Grzadziel, 2011). Questi due concetti, introdotti dallautore, si riferiscono ad uno stato interno, rispettivamente di disordine e libero flusso dellenergia che accompagnano lesperienza dellindividuo, impedendone o facilitandone la concentrazione. Enella condizione di negentropia che si manifestano le intenzioni, unite a obiettivi e a motivazioni sottostanti lazione. Esse permettono di dare ordine ai contenuti della coscienza attraverso il criterio di priorità, che va pian piano migliorato, imparando a gestire i propri desideri ed obiettivi (Pellerey – Grzadziel, 2011).

Questi tre stati interni della coscienza di sé sono fondamentali per lesperienza ed entrano in gioco insieme, interagendo tra loro. La concentrazione, facilitata da uno stato di negentropia psichica, può venir meno nel momento in cui venga percepito un alto grado di difficoltà del compito. Poiché l’autore ha notato che laddove la persona sia motivata ed ami ciò che sta facendo la focalizzazione dellattenzione avviene senza sforzo, ha analizzato tutte le esperienze segnate da risvolti emozionali, prendendo in esame non tanto e non solo le sensazioni di benessere e di felicità, ma soprattutto di coinvolgimento personale intenso e produttivo, ed ha racchiuso il massimo livello di partecipazione e esplicitazione delle proprie capacità e potenzialità nel concetto di flow (Pellerey – Grzadziel, 2011).

Lo stato di esperienza ottimale (flow44) può avvenire nello svolgere unattività che si definisce autotelica, cioè gratificante in sé per sé (auto = sé, telos = obiettivo), a prescindere dal suo prodotto finale o qualsiasi bene estrinseco che potrebbe derivare dallattività (Csikszentmihalyi, 1990). In questa condizione lesperienza si dispiega momento per momento senza soluzione di continuità, introducendo lindividuo in uno stato caratterizzato da: concentrazione intensa e focalizzata su ciò che si sta facendo in quel momento; immersione totale ed attenta nellazione; diminuzione dellattenzione focalizzata su se stessi come attori sociali; sensazione di completo controllo e gestione di ciò che si sta facendo e degli eventuali ostacoli; diversa percezione del trascorrere del tempo, come se questo passasse più rapidamente del normale; sperimentazione dellattività autotelica (Csikszentmihalyi – Nakamura, 2014).

Il collegamento tra il flow e la creatività è previsto dallautore partendo dal presupposto che il processo creativo possa avvenire solo nel momento in cui si sia capaci di focalizzare lattenzione sul problema in questione, seppur in una prospettiva aperta, come avviene nella condizione di flow. Le persone creative amano ciò che fanno e sono capaci di immergersi nel processo creativo senza perdere la concentrazione né la rotta, grazie allaver interiorizzato il criterio di giudizio del campo in cui operano (Csikszentmihalyi, 1996). Il focus e la concentrazione sono le stesse chiavi per la realizzazione del flow. “Più ambizioso sarà il compito, più ci vorrà a perdere se stessi in esso, e più facile sarà distrarsi45.

L’autore si è interessato alla creatività perché la considera un aspetto distintivo dellessere umano rispetto agli altri animali e uninterazione di tre elementi dello stesso sistema: la cultura che contiene le regole simboliche, lindividuo che porta la novità in un dominio simbolico e il campo di azione degli esperti che riconoscono e convalidano linnovazione (Csikszentmihalyi, 2013).

Si può notare una similitudine tra il pensiero di Fromm, che vede luomo impegnato nella lotta tra il desiderio di tornare nellutero materno il desiderio di esplorare il mondo circostante, trovando e definendo se stesso, e Csikszentmihalyi che asserisce che lessere umano nasce con due schemi contraddittori: una tendenza conservativa, formata dallistinto di auto-conservazione e auto-esaltazione, ed una espansiva, formata dallistinto di esplorazione e gratificazione attraverso la novità e il rischio. Seppur luomo necessiti di entrambe, la prima tendenza è facile da mantenere, perché la seconda, se non viene coltivata, finisce per estinguersi non appena vi siano pochi stimoli disponibili per sviluppare la curiosità di assumersi i rischi confacenti allesplorazione di ciò che non si conosce e gli ostacoli molti. La curiosità è il punto di partenza della creatività. Da questa posizione si evince il fatto che tutti sono potenzialmente creativi, infatti lautore sostiene che non si debba tanto parlare di tratti di personalità propri della creatività, quanto di predisposizione genetica ad essere creativi in un determinato campo. Chiaramente, la persona ha bisogno di poter scoprire quel dominio in cui è portato, quanto poi di poter accedere a quel campo per sviluppare le proprie potenzialità. Il coraggio di scoprire i propri lati bui e di non conformarsi agli altri per paura del rifiuto sono elementi che facilitano lindividuazione del dominio in cui lindividuo è portato ad interessarsi. Trovata la propria strada, essere un individuo creativo significa anche avere molta energia fisica che non deriva da una superiorità genetica, quanto dalla spinta motivazionale intrinseca e di interesse (Csikszentmihalyi, 1996).

L’intelligenza è certamente correlata positivamente alla creatività, sebbene a volte essere brillanti possa essere un ostacolo nel momento in cui lindividuo, sicuro della sua superiorità mentale, perda quella curiosità essenziale che gli permette di accedere con entusiasmo alle novità. Il creativo necessita di una buona capacità di utilizzo di entrambi i modi di pensare, così da produrre una buona quantità di idee attraverso il pensiero divergente46, selezionando quelle migliori e realizzabili grazie al pensiero convergente. Gli individui creativi alternano limmaginazione e la fantasia da una parte, e un senso di realtà radicato dallaltro47 e questo è permesso dallimpegno congiunto dellemisfero destro e il sinistro (Csikszentmihalyi, 1996).

Le fasi del processo creativo previste da Csikszentmihalyi sono cinque (una in più rispetto a quelle previste dalla teoria di Graham Wallas, 1926). La prima fase di preparazione prevede unimmersione cosciente più o meno nel problema, accrescendo linteresse e la curiosità in quel determinato ambito. La seconda è di incubazione che occupa il tempo maggiore di tutto il processo e si svolge ad un livello inconscio, permettendo lavvenire di connessioni inusuali, ed è la fase che racchiude il mistero della genialità creativa. Successivamente arriva linsight, una fase che dura un momento, nel quale tutti i pezzi del puzzle si riuniscono. Il penultimo passaggio consiste nella valutazione che lautore descrive come la parte più emozionante per il creativo stesso, perché in uneccitante insicurezza sul suo prodotto, si domanda se questo possa essere uninnovazione o una cosa ovvia. Lultima fase è l’elaborazione in cui dalla teoria si proverà a passare al prodotto materiale, verificandone la fattibilità o prendendo consapevolezza di dover ricominciare daccapo. Anche nella teorizzazione di questo processo creativo lautore sottolinea limportanza della curiosità iniziale, senza la quale nessun creativo sarebbe tale.

IL RAPPORTO TRA NOIA E CREATIVITA

La noia si manifesta facendo vivere allannoiato una sensazione spiacevole di assenza di stimoli soddisfacenti, un vuoto vissuto come contenuto piuttosto che contenitore (Rossi, 2016). Lo spazio vuoto descritto da Greenson, appare il risultato di uno svuotamento difensivo, con una conseguente regressione ad un’età infantile. Di fatto lannoiato si vive come Oggetto e non come Soggetto della propria vita. Edunque ciò che è fuori-da-Sé che deve nutrirlo, sfamarlo e appagare i suoi bisogni: lannoiato […] chiede alla vita di vivificarlo48.

In questottica, per recuperare una condizione di equilibrio e riappropriarsi della propria dimensione di Soggetto, lannoiato non dovrà essere incoraggiato a fare, bensì ad ascoltare i propri vissuti emotivi, fino a sprofondarvi dentro, per trasformare questo vuoto in uno spazio in cui meditare sul senso della propria esistenza (Rossi, 2016). La noia viene pertanto interpretata come campanello dallarme di una perdita di senso generale e il compito dellannoiato sarà quello di recuperare il senso del suo agire: “l’individuo in grado di riappropriarsi di ciò che si cela dietro lo scacco della noia e, con ciò, recuperare la relazione con sé e il significato che egli attribuisce ai propri investimenti, fa della noia unoccasione. […] Questo aspetto creativo è ciò che verifica il passaggio dellindividuo da oggetto-passivo a soggetto-attivo recuperando quella quota di attività, nonché di responsabilità del desiderio49.

Nellinterpretazione di Fenichel e Greenson la noia potrebbe apparire come una mera manifestazione patologica di un contenuto rimosso, invece “è in questimmagine che si avvera la potenzialità creativa di uno stato di noia tuttaltro che patologico50. Solo lindividuo perlomeno in via di guarigione potrebbe essere in grado di accogliere il messaggio che il suo stato danimo cerca di comunicargli, entrando in sintonia con ciò che prova, e non facendo di tutto per sfuggirvi. Sotto questa luce la noia può essere momento con potenzialità creative per progetti maggiormente individuati ed individuanti51, termini che fanno riferimento anche al fatto che gli autori spesso portavano, come esempio dei contenuti rimossi, genitori amati e odiati, interiorizzati e rifiutati, di pazienti annoiati che lamentavano la paura di somigliarvi.

Una volta accettato il senso della noia e del suo messaggio, trasformando legodistonia che ne deriva in una forma di evoluzione egosintonica dellIo, anche la routine diventerà accettabile, purché ne sia colto davvero il senso: così come il rito, per essere sacro, chiede di non essere una ripetizione formale52.

La noia secondo questinterpretazione perde il suo significato del tutto negativo, assumendo la forma di una spinta motivazionale verso il cambiamento, una sorta di allarme psicofisiologico che spinge lannoiato a cambiare qualcosa, comunicandogli che non sta facendo ciò che desidererebbe davvero fare, quindi che dovrà cambiare il suo obiettivo (Elpidorou, 2014). Non è ciò che comporterebbero lapatia, lodio o la frustrazione, perché questi sentimenti condurrebbero luomo a rimanere chiuso in se stesso, fermo, bloccato in una situazione disfunzionale, che senza noia non è motivato a cambiare, perché questi sentimenti non possono sostituirne limportante funzione (Goldberg et al., 2011).

Nel momento in cui lindividuo viva lo stato di noia, si sentirà anche insoddisfatto, irrequieto e stanco. Questi tre sentimenti addizionali sono essenziali per poter affermare che lindividuo si sta proprio annoiando: linsoddisfazione dipende dal fatto che la situazione attuale non è gratificante e si desidererebbe fare qualcosaltro (Van Tilburg – Igou, 2012); lirrequietezza fa sì che lo stato di noia appaia insopportabile, fisicamente scomodo, così da spingere lindividuo a fare qualcosa per cambiare lo status in cui si trova; la stanchezza sopraggiunge, perché la persona ha un limite di sopportazione per lirrequietezza e linsoddisfazione, e questa condizione spinge ad un cambiamento di cui si percepisce lurgenza (Elpidorou, 2014). Lo stato di noia non è paragonabile ad una condizione di equilibrio: la percezione del lento scorrere del tempo rende tutto più faticoso, come se la noia fosse una trappola emotiva che per sua stessa struttura spinge il prigioniero ad evadere. Essa ha un carattere informativo: comunica che la situazione attuale non è soddisfacente, non è in linea con i piani personali e non gratificherà l’individuo, a meno che questultimo non modifichi la situazione stessa. In qualche modo essa suggerisce la rotta da intraprendere per raggiungere i veri obiettivi, anche solo inducendoci alla ricerca di una situazione diversa da quella percepita come noiosa (Elpidorou, 2014).

La noia è accompagnata da un messaggio che riguarda il significato e la rilevanza che lattività assume per lindividuo. Per questo la persona deve accettare lo stato di noia e approfittarne: da un lato, cogliendo il messaggio che il suo stato danimo cerca di comunicarle, che riguarda il significato che per la sua vita ha quella determinata attività (Van Tilburg – Igou, 2012); dallaltro, è uno spazio che la mente richiama per se stessa, in cui un individuo può meditare e ragionare sui propri conflitti interiori, cogliendo ed accettando il fatto che in quel momento, mentre sperimenta lo stato di noia, egli non basta a se stesso (White, 1998).

Si parla di significato in quanto spesso per alleviare lo stato di noia non basta cambiare attività: non è facendo che si smette di annoiarsi (Rossi, 2016), ma è cogliendo il senso, cercando unattività che abbia anche un significato più gratificante e soddisfacente, e che non sia semplicemente diversa da quella precedente (Elpidorou, 2014).

Data la sua duplice funzione la noia è importante perché promuove i nostri veri interessi. Lirrequietezza che la accompagna ci spinge alla ricerca, allatto creativo necessario per risolvere un problema apparentemente senza nome (Rossi, 2016).

L’essere annoiati ci informa quando non siamo in sintonia con i nostri interessi, controlla e regola il nostro comportamento in funzione di apportare un cambiamento verso qualcosa di più significativo, ci protegge da trappole emotive e attività superflue, tenendoci a stretto contatto con il valore che ha il nostro tempo (Elpidorou, 2014).

Come passare dalle strategie di coping per la noia, alla noia come strategia di coping?

La noia è uno stato danimo di cui quasi tutti potrebbero descriverne i sintomi, sebbene essa, come tutte le esperienze, sia vissuta in modo soggettivo e quindi vi si possano riscontrare differenze individuali.

Se la noia fosse vissuta come uno stimolo, anziché come unemozione, entrerebbe in gioco lappraisal: processo metacognitivo attraverso il quale lindividuo attribuisce una valutazione e un significato alla situazione. Inizialmente lindividuo valuta limpatto della situazione contingente sul benessere personale, successivamente, se levento è considerato possibile fonte di stress, valuta il livello di minaccia rappresentata dal problema e le prefigurazioni del possibile danno conseguente (Moos – Holahan, 2003). La valutazione attiva le strategie di coping reattive, che possono essere classificate53 in base alla distinzione tra engangement coping, volte al fronteggiamento del problema contestuale o le emozioni ad esso associate in maniera attiva, e disengagement coping, volte al distacco, allevitamento e alla fuga (Moos -Schaefer, 1993; Carver – Connor-Smith, 2010).

Una classificazione alternativa è in base alla distanza temporale dellevento stressante54, che comprende anche il proactive coping, una strategia capace di ridurre o prevenire limpatto di una minaccia imminente o potenziale, e di gestire il timore causato dallincertezza dellesisto dellevento temuto (Schwarzer – Taubert, 2002).

Se la noia fosse vissuta come un problema, potrebbe attivarsi il reactive coping che comprende le strategie che si occupano di problemi del passato o del presente, focalizzandosi sullemozione scaturita o sulla fonte del problema, e può comportare la ricerca del significato dellevento in funzione di una riorganizzazione della vita (Schwarzer – Taubert, 2002), perché la noia porta un significato che va colto.

La strategia migliore per la noia sarebbe il meaning-focused coping55 (Folkman, 1997), che consiste in una serie di strategie cognitive che permettono di reinterpretare positivamente il significato attribuito alla situazione problematica. Riuscire ad attribuire un significato alla propria situazione è il presupposto per creare nuovi obiettivi e trovare le risorse motivazionali per perseguirli (Folkman – Moskowitz, 2004).

Tuttavia, che la noia venga considerata la manifestazione della rimozione di un contenuto considerato inaccettabile (Fenichel – Rapaport, 1953; Greenson – Kohut, 1992), o linvito ad una riconsiderazione generale della propria esistenza (Rossi, 2016), oppure il campanello di allarme che avverte luomo della giusta rotta dei suoi interessi (Van Tilburg – Igou, 2012), essa non potrà essere combattuta facendo, dimenandosi contro il proprio stato danimo, cercando strategie di coping adeguate per risolvere limpasse in cui ci si trovi: la noia è un vuoto che non può essere riempito, ma trasformato (Jankélévitch, 2000). La persona dovrà aumentare le proprie capacità creative, affinché la noia non debba portare per forza a frustrazione fino al compimento di comportamenti a rischio (Vodanovich – Rupp, 1999; Carton et al., 1994; Carlson et al., 2010; Furnham – Saipe, 1993; Mercer – Eastwood, 2010; Watt – Hargis, 2009), piuttosto sia unoccasione (Rossi, 2016); accettare il proprio stato danimo (Ripamonti, 2016), imparando ad annoiarsi (Belton – Priyadharshini, 2007), ad appropriarsi del vero significato di ciò che si sta vivendo, riconoscendo il valore e la dignità di ciò che si esperisce, modificando il significato attribuito allo stimolo attraverso una mediazione cognitiva diversa (Folkman – Moskowitz, 2004).

Le emozioni possono essere considerate superprogrammi che coordinano vita emotiva e reazione manifesta per assicurare i risultati ottimali in termini di adattamento (Bellelli, 2008), quindi il compito di ognuno è riconoscere le proprie emozioni, accoglierle e accettarle nel loro significato adattivo56. Riconoscere ed accettare sono un atto damore verso se stessi e verso gli altri57 : per farlo bisogna avere il coraggio di abbandonare i giudizi, utili difese contro ciò che non convince, e smettere di pensare in termini dicotomici mi piace” – “non mi piace. Accettare se stessi implica accogliere le proprie debolezze, paure ed emozioni, riuscendo ad integrarle nel proprio percorso di vita, attribuendo loro un significato. E’ per il significato che attribuiamo ai contenuti della nostra Ombra58, che sentiamo di dovercene difendere, relegandola nella profondità dellinconscio, quando in realtà i contenuti non sono necessariamente negativi in sé. “Solo dopo aver riconosciuto e accettato i contenuti […] è possibile rendere lOmbra una risorsa efficace per la crescita psicologica e sociale59.

La noia, come emozione, ma soprattutto in quanto risultato e manifestazione della rimozione di contenuti inaccettabili (Fenichel, 1951; Greenson – Kohut, 1992), va riconosciuta nella sua dignità e nel suo messaggio, perché “vedere le cose quali sono quando esse sono quali non ci piacciono, è il compito più severo cui sono chiamati gli esseri umani60. La noia non piace perché porta incertezza: non si sa di cosa si ha voglia, non si sa come uscire da questa condizione scomoda, ci si sente sconsolati e non si basta a se stessi. Accettare lincertezza, invece, implica essere davvero a contatto con se stessi, si può affermare che quanto più si ha difficoltà a stare in silenzio e quindi a stare con se stessi, tanto meno si è individuati. […] Individuazione significa essere consapevole della propria individualità, della totalità del proprio essere61. Riconoscere ed accettare la noia e lincertezza che laccompagna riguarda: maturità, autoefficacia, hardiness62 (Ripamonti, 2016). Questultima viene associata da molti autori ad un particolare stile di coping detto trasformazionale, che consiste proprio nellagire una serie di sforzi con lo scopo di ridurre il livello di stress implicato nella situazione problematica e nel mobilitare le proprie risorse personali e soprattutto ad attribuire un significato allesperienza vissuta (Miserandino, 2012).

Oltre alla possibilità di vedere la noia come unoccasione di crescita e maturità per ladulto, è possibile approfondire anche i suoi benefici nei bambini, rendendo la noia unesperienza emotiva senza tempo, un sentimento pieno di vuoto (Greenson, 1993) che ha tanto da dire.

Come afferma la dottoressa Teresa Belton, ricercatrice e professoressa alla Scuola di Educazione e Lifelong Learning dell’Università dellAnglia orientale, la noia dovrebbe essere riconosciuta e legittimata come unemozione umana che potrebbe essere centrale nellapprendimento e nella creatività (Belton – Priyadharshini, 2007). Sebbene i genitori si sentano spesso responsabili del tempo dei loro figli e cerchino di riempire la loro giornata fornendo costantemente stimoli diversi, i bambini hanno bisogno di tempo libero, di essere lasciati con loro stessi e le loro possibilità di esplorare, riflettere, annoiarsi fino a trovare da soli degli stimoli da cui ripartire (Belton, 2001).

Nonostante la noia abbia un valore di per sé e non abbia bisogno di assumere un ruolo preparatorio per essere degna di essere vissuta, proprio perché insieme allansia e alla pigrizia ci guida nella scelta di ciò che ha davvero un significato nella nostra vita (Trevi, 2013), gli studi della dottoressa Belton dimostrano che la noia possiede un ruolo ancillare nello sviluppo della creatività (Richardson, 2013). Lappello della ricercatrice è proprio quello di lasciare che i bambini conoscano la noia (Trevi, 2013).

Per confermare le sue ricerche la dottoressa Belton ha intervistato autori, attori e artisti sul loro rapporto con la noia63 (Hardy, 2013). Meera Syal, scrittrice e attrice, le ha raccontato che apprezza la noia provata durante linfanzia per tutta la creatività di cui dispone oggi. Ha ricordato i lunghi pomeriggi passati nel piccolo villaggio dov’è cresciuta in compagnia della noia, ed essa lha spinta a fare cose che non avrebbe altrimenti fatto: ha sentito ogni tipo di racconti da adulti ed anziani, si è persa in letture di tanti libri, ha imparato a fare le torte insieme alla vicina e ha cominciato a scrivere (Richardson, 2013). Il vincitore del premio Turner, Grayson Perry, ha affermato che la noia è uno stato di creatività ed ha confessato di essere molto preoccupato del fatto che il mondo sempre più virtuale in cui viviamo ha cresciuto individui capaci di pensare alle proprie emozioni più in termini di apparenza che di sostanza, descrivendole sui social network e allontanandole dalla riflessione (Richardson, 2013).

A conclusione dello studio sullinfluenza della televisione e dei video sulle capacità di scrittura creativa dei bambini, Belton (2001) ha sottolineato la nocività della televisione e della facilità con cui i bambini possono raggiungerla per evadere da un momento privo di stimoli, per fuggire alla noia (Hardy, 2013). I bambini esaminati non hanno mostrato originalità e immaginazione scrivendo le loro storie.

Belton, esperta dellimpatto che le emozioni hanno sul comportamento e sullapprendimento, ha affermato che la società odierna è stata costruita con laspettativa di essere costantemente stimolati ed occupati in qualcosa da fare, perché la noia appariva un sentimento scomodo, ma in realtà essere creativi richiede la capacità di sviluppare stimoli interni, di poter contare sulle stesse risorse che si utilizzano per gestire creativamente la noia, che si sviluppano solo sperimentando la noia stessa (Richardson, 2013).

Belton ha sottolineato lurgenza di una pedagogia che si impegni a riorganizzare la scuola in modo più informato, con lo scopo di costruire un luogo adeguato allo sviluppo del bambino nel rispetto di tutte le sue esperienze emotive (Belton – Priyadharshini, 2007).

Già nel 1935 Maria Montessori pensava ad una scuola che permettesse il libero svolgimento delle manifestazioni spontanee e della vivacità individuale del bambino64 e, nei suoi corsi di formazione, invitava gli insegnanti a lasciare i bambini liberi di scoprire le proprie emozioni e inclinazioni, dando loro la possibilità di esplorare lambiente senza una guida o un percorso strutturato, solo con oggetti lasciati a disposizione, con cui il bambino poteva scegliere o meno di interagire (Montessori, 1935). Con questo tipo di approccio imparano a controllare se stessi, liberandosi del controllo degli adulti, sono liberi anche nella possibilità di annoiarsi: la libertà non esiste mai là ove si combatte per soffocare qualche cosa, ma solo dove si lascia lespansione illimitata alla vita65. Nelleducazione dellindipendenza, unazione pedagogica efficace è aiutare i bambini ad imparare a camminare senza aiuto ed esprimere chiaramente i propri bisogni per giungere da soli al soddisfacimento dei propri desideri. La pedagogista criticava una scuola fatta di insegnanti-dirigenti che pretendevano dai bambini losservanza di regole rigide, immobilità e sterile acquisizione di nozioni prestabilite, senza alcun rispetto per le delicate fasi di sviluppo e senza fermarsi ad osservare il comportamento naturale dei piccoli allievi (Montessori, 1935). Oggi si impone un bisogno urgente: il rinnovamento di metodi per leducazione e per listruzione, e chi lotta per questa insegna, lotta per la rigenerazione umana66.
La necessità di un metodo educativo più adeguato è parte anche delle preoccupazioni di Sternberg, teorico della Successfull Intelligence67, che insiste sulla possibilità di insegnare la creatività68 (Sternberg, 2005), e di Gardner, teorico delle cinque mentalità69, il quale propone una scuola orientata specificatamente allo sviluppo delle capacità creative dello studente, nella prospettiva di uneducazione permanente (lifelong learning). Prevede da un lato degli spazi dove gli alunni possano esplorare la realtà senza condizionamenti, e dallaltro dei metodi70 più strutturati per acuire le loro capacità di problem solving (Gardner, 2007).

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1VIZIOLI, F. (a cura di). (2012). Lucrezio: La natura delle cose. De rerum natura. Roma: Newton Compton Editori, 41.

2[…] Satana regge i fili che ci muovono, eterno / despota; e noi nel fango cerchiamo gioia e spasso; / e così, senza orrore, ogni giorno dun passo, / discendiamo tra fetide tenebre nellInferno. // […] Stipati e brulicanti, come un groppo delminti, / nel cranio ci gavazzano migliaia di demoni. /mentre, ad ogni respiro, la Morte nei polmoni / ci scende, fiume occulto, con gemiti indistinti. // […] Ma fra cagne, sciacalli, pantere, scimmie, orbetti / bisce, serpi, avvoltoi, scorpioni, in mezzo ai tanti / mostri grugnenti, urlanti, striscianti, rampicanti / nellinfame serraglio dei nostri vizi abbietti, // uno ve n’è, più laido, più malvagio ed immondo, // […] Ela Noia. Locchio greve dun inconscio rovello, / mentre sogna patiboli, fuma un tabacco ambrato. / Tu che leggi, conosci quel mostro delicato, / tu, lettore ipocrita, mio simile, mio fratello![trad. mia]. BAUDELAIRE, C. (1857). Le fleurs du Mal. Parigi: Poulet-Malassis et de broise, 54.

3una specie di insufficienza o scarsità della realtà. Per adoperare una metafora, la realtà […] ha fatto leffetto sconcertante di una coperta troppo corta, ad un dormiente, in una notte dinverno: la tira sui piedi e ha freddo al petto, la tira al petto e ha freddo ai piedi; e così non riesce mai a prendere sonno veramente” MORAVIA, A. (1960). La noia. Milano: Bompiani, 7.

4MORAVIA, A. (1960). La noia. Milano: Bompiani, 15.

5i suoi pensieri sono nebulosi: subito li dimentica. Non sa spiegare ciò che vede, e scivola inesorabilmente verso la paura. Non si sente libero, sente di non poter fare ciò che vuole. Non riesce a riconoscere i tratti del suo volto, non prova più gusto a lavorare, prova continuamente nausea, anche se beve un caffè. Prova pietà per se stesso, si sente spezzato. Considera il passato un lusso da proprietari (Sartre, 1938).

6SARTRE, J. P. (1938). La nausée. Parigi: Gallimard, 253.

7HEIDEGGER, M. – VOLPI, F. (a cura di). (2001). Che cos’è la metafisica. Milano: Adelphi, 184.

8GREENSON, R. R. – KOHUT, H. (1992). Noia e apatia. Torino: Bollati Boringhieri editore, 9.

9 FENICHEL, O. (1951). Organization and pathology of thought. New York: W. W. Norton, 350.

10ibidem, 350.

11In assenza di oggetti e stimoli soddisfacenti, il desiderio inappagato può condurre “all’introversione, allattività fantastica e, infine, a vere e proprie manifestazioni nevrotiche di fissazione della libido” [trad. mia]. FENICHEL, H. – RAPAPORT, D. (a cura di). (1953). The collected papers of Otto Fenichel. New York: W. W. Norton, 271.

12VIGORELLI, A. (2009). Il disgusto del tempo: la noia come tonalità affettiva. Milano: Mimesis Edizioni, 68.

13FENICHEL, H. – RAPAPORT, D. (a cura di). (1953). The collected papers of Otto Fenichel. New York: W. W. Norton, 272.

14Distingue affetti, stati danimo e atteggiamenti. Gli affetti durano poche ore, ma possono comporre uno stato danimo conferendo ad esso un carattere specifico (colorazione specifica) allo stato emotivo di un individuo. Lo stato danimo è passeggero e misurabile in termini di ore o di giorni, dura più degli affetti e meno degli atteggiamenti che sono cronici (Greenson – Kohut, 1992).

15GREENSON, R. R. – KOHUT, H. (1992). Noia e apatia. Torino: Bollati Boringhieri editore, 47.

16ivi, 71-72.

17GREENSON, R. R. (1993). Entusiasmo, fiducia e Perfezione. Torino: Bollati Boringhieri, 14.

18I risultati potrebbero apparire contraddittori, ma linterpretazione più ragionevole è che la noia potrebbe essere mitigata nel momento in cui lattività svolta sia noiosa, ma non richieda unattenzione focalizzata, quindi, per comprenderli in una visione integrata ed integrante, una variabile da considerare è la valutazione del compito che si è portati a svolgere (Eastwood et al., 2012).

19Le attività che implicano il monitoraggio di eventi rari e occasionali dipendono altamente dal sistema esecutivo dellattenzione: esse richiedono unesercitazione conscia dellattenzione su intervalli di tempo prolungati e quindi associati allo sforzo mentale (Eastwood et al., 2012).

20Ad avvalorare questinterpretazione, i risultati di alcuni studi in campo neuroscientifico indicano che lattività all’interno di una regione ventrale della corteccia cingolata posteriore (vPCC), può riflettere lestensione dellattenzione al pensiero generato internamente. Le persone particolarmente capaci di mantenere la propria attenzione sul compito non mostrano oscillazioni nella corteccia cingolata, ciò vuol dire che la loro mente non vaga mentre sono concentrati a svolgere un determinato compito. Questo li rende in realtà meno performanti, perché, impedendo che la propria mente si distragga, ostacolano di conseguenza la propria creatività (Leech et al., 2011).

21La noia è influenzata dalla consapevolezza che il grado di attenzione implicato è inadeguato, informazione che potrebbe essere segnalata dallincremento dello sforzo richiesto per riuscire a portare a termine lattività corrente, o dal fatto che la mente inizi a vagare (Leech et al., 2011).

22GALIMBERTI, U. (2006). Dizionario di psicologia. Torino: UTET, 109.

23London, Schubert e Washburn hanno proposto due studi al fine di colmare le lacune degli studi precedenti sullargomento, cercando di riunire un maggior numero di dati (London et al., 1972).

24Il primo studio confermò che lattività di monitoraggio risulta più noiosa di quella di scrittura creativa; il tempo durante lattività noiosa passa più lentamente, replicando il risultato di studi precedenti; le risposte al test indicano che le attività non hanno indotto significative differenze in rabbia, frustrazione e nervosismo, il che suggerisce che le differenze nei livelli della risposta galvanica della pelle potenziale (GSP) non possono essere afferite a queste emozioni; i livelli di GSP decrescono in modo significativo con il tempo, e che linterazione della variabile noia- interesse con il tempo fisico influisce sul GSP come una funzione dellattività; le risposte soggettive indicano che lattività noiosa ottiene dei livelli più alti di GSP (London et al., 1972).

25La misurazione dellarousal autonomo prevedeva lutilizzo dei livelli di conduttanza della pelle e del battito cardiaco (London et al., 1972).

26I risultati delle ricerche che suggeriscono che la noia sia associata ad un basso livello di arousal, probabilmente hanno fallito nella distinzione tra apatia, basso livello di arousal e noia, alto livello di arousal potenziale (Bench – Lench, 2013).

27La procrastinazione (Vodanovich – Rupp, 1999), il consumo di sigarette (Carton et al., 1994), labuso di alcol (Carlson et al., 2010), la guida pericolosa (Furnham – Saipe, 1993), il gioco dazzardo (Mercer – Eastwood, 2010) e le scarse performance a lavoro (Watt – Hargis, 2009).

28L’ansia (Fahlman et al., 2013; Vodanovich – Sommers, 2000), la paranoia (von Gemmingen et al., 2003), la percezione di avere una vita priva di significato (Fahlman et al., 2009), lalessitimia (Eastwood et al., 2007), la depressione (Goldberg et al., 2011; Mercer-Lynn et al., 2013; Vodanovich – Sommers, 2000), la rabbia intesa come tratto di personalità (Dahlen et al., 2005; Mercer-Lynn et al., 2013), e linsoddisfazione a lavoro (Kass et al., 2001).

29MAGGINI, C. – DALLE LUCHE, R. (2002). Il paradiso e la noia: riflessioni metapsicologiche sulla noia morbosa. Torino: Bollati Boringhieri, 40.

30ROSSI, R. (2016). Noia: i significati della noia. La perdita di senso fra difesa e trasformazione. In Collana Temenos, Geografia delle emozioni (pp. 181-213). Bologna: Casa Editrice Persiani, 184.

31ivi, 57.

32ROSSI, R. (1982). La coppa doro: depressione cronica e nostalgia. In CASSANO, G. B. (a cura di). (1982). La condizione depressiva. Milano: Masson, 275.

33MAGGINI, C. – DALLE LUCHE, R. (2002). Il paradiso e la noia: riflessioni metapsicologiche sulla noia morbosa. Torino: Bollati Boringhieri, 46.

34GREEN, A. (1975). Le temps mort. Nouv. Rev. Psychoanal., 2, 103-110.

35ROSSI, R. (2016). Noia: i significati della noia. La perdita di senso fra difesa e trasformazione. In Collana Temenos, Geografia delle emozioni (pp. 181-213). Bologna: Casa Editrice Persiani, 188.

36MAGGINI, C. – DALLE LUCHE, R. (2002). Il paradiso e la noia: riflessioni metapsicologiche sulla noia morbosa. Torino: Bollati Boringhieri, 64.

37GREENSON, R. R. – KOHUT, H. (1992). Noia e apatia. Torino: Bollati Boringhieri editore, 9.

38ROSSI, R. (2016). Noia: i significati della noia. La perdita di senso fra difesa e trasformazione. In Collana Temenos, Geografia delle emozioni (pp. 181-213). Bologna: Casa Editrice Persiani, 182.

39Se il bambino viene privato dellamore, il suo bisogno primario accanto a quello del cibo, crescerà come un individuo apatico (Greenson – Kohut).

40Il paziente apatico è in grado di evitare una depressione psicotica perché è capace di mantenere nel mondo esterno le deprivazioni e le delusioni che il mondo esterno gli ha affibbiato. Coloro che lo deprivavano di cibo e amore erano oggetti che egli odiava. Non era ambivalente; odiava soltanto, e il suo odio era libero da conflitti perché perfettamente motivatoGREENSON, R. R. – KOHUT, H. (1992). Noia e apatia. Torino: Bollati Boringhieri editore, 46-47.

41CESA-BIANCHI, M. – CRISTINI, C. – GIUSTI E. (2009). La creatività scientifica. Il processo che cambia il mondo. Roma: Sovera Edizioni, 48.

42La possibilità di quantificare le attività o gli eventi collegati alla (de)sincronizzazione dellattività del cervello nell’Elettroencefalogramma multicanale (EEG), e a quello delle tecnologie di neuroimaging, come la Tomografia ad emissione di positroni (PET), la Risonanza magnetica funzionale (fMRI), la SPET cerebrale che valuta il flusso ematico regionale cerebrale (rCBF). Tuttavia, prendendo in considerazione la complessità nelloperativizzazione delle performance creative durante lEEG, la PET o la fMRI, gli studi neuroscientifici, che si pongano lobiettivo di identificare i possibili meccanismi collegati al pensiero creativo, sono rari (Fink et al., 2007).

43Per esempio, per quanto riguarda la fMRI, la domanda principale è: come riuscire a creare delle attività differenti, capaci di isolare le aree del cervello implicate nella cognizione creativa, attraverso la tecnica che paragona gli stati di attività cerebrale che differiscono per una sola caratteristica osservabile (Poldrack, 2000).

44Csikszentmihalyi, per spiegare il concetto di flow, si avvale di un grafico formato da quattro quadranti, ponendo sullordinata la percezione di sfida e sullascissa il livello di abilità coinvolta. Si formano così quattro condizioni (elencate in senso orario): ansia; flow, quando la percezione di sfida è all’altezza del livello di abilità coinvolta, quindi ci si sente sfidati e competenti; noia ed apatia (Pellerey – Grzadziel, 2011).

45CSIKSZENTMIHALY, M. (1996). Creativity. New York: HarperCollins, 6.

46Anche se spesso vengono utilizzati come sinonimi, il pensiero divergente è uno degli aspetti del pensiero laterale (De Bono, 2003).

47CSIKSZENTMIHALY, M. (1996). Creativity. New York: HarperCollins, 3-4.

48ROSSI, R. (2016). Noia: i significati della noia. La perdita di senso fra difesa e trasformazione. In Collana Temenos, Geografia delle emozioni (pp. 181-213). Bologna: Casa Editrice Persiani, 188.

49ivi, 191.

50ibidem, 191.

51Ivi, 192.

52ibidem, 192

53In base alla focalizzazione: le strategie di coping problem-focused si concentrano sullelemento che origina il problema, e si traducono in meccanismi volti alla risoluzione del problema o al suo evitamento; quelle emotion-focused si concentrano sulla riduzione o sullevitamento dellimpatto emotivo causato dallo stressor (Carver – Connor-Smith, 2010). Le strategie focalizzate sul problema risultano correlate a livelli più alti di adattamento (Glidden et al., 2006).

54Comprende: il reactive coping; l’anticipatory e il preventive coping, strategie simili perché precedono una minaccia possibile, imminente per la prima, futura e non prossima per la seconda; proactive coping, strategia che si attiva nel momento in cui i possibili rischi futuri non vengono vissuti come negativi, ma come sfide in grado di promuovere la crescita personale (Schwarzer – Taubert, 2002).

55Simile alla strategia di re-appraisal, cioè di ri-attribuzione del significato e del carico emotivo associato ad una determinata situazione (Pilisuk et al., 1967) e al coping trasformazionale (Miserandino, 2012).

56Un possibile metodo è il “Sì, Adesso, Domani, Grazie (SADG): accettare, lasciando affiorare alla coscienza tutto ciò che si prova e si esperisce nella propria vita in quel periodo (Sì); scegliere cosa fare nel momento presente in cui si provano determinate emozioni, calmandosi, riflettendo, smettendo di rimuginare (Adesso); proiettarsi in una situazione migliore di quella vissuta, programmando le azioni da fare per modificare ciò che non piace (Domani); provare gratitudine almeno verso un istante dellintera giornata in cui ci si è sentiti bene (Grazie). Questo metodo è pensato al fine di darsi un appuntamento con se stessi, per meditare e continuare la propria vita con più consapevolezza (André, 2006).

57RIPAMONTI, C. (2016). Accettazione. In Collana Temenos, Geografia delle emozioni (pp. 19-36). Bologna: Casa Editrice Persiani, 19.

58Termine Junghiano che si riferisce ad un Alter-Ego caratterizzato da tutti gli aspetti di personalità considerati inaccettabili e disfunzionali alladattamento (Monbourquette, 2001).

59RIPAMONTI, C. (2016). Accettazione. In Collana Temenos, Geografia delle emozioni (pp. 19-36). Bologna: Casa Editrice Persiani, 27.

60BARRON, F. (1971). Creatività e libertà della persona. Roma: Casa Editrice Astrolabio, 246.

61RIPAMONTI, C. (2016). Accettazione. In Collana Temenos, Geografia delle emozioni (pp. 19-36). Bologna: Casa Editrice Persiani, 21.

62Aspetto temperamentale proprio della personalità resiliente, composta dalla tendenza ad impegnarsi in attività nella vita quotidiana (committment), con fiducia nelle proprie capacità (control), considerando il cambiamento come una possibilità personale (challenge). La hardiness permette allindividuo di diminuire i livelli di stress percepito nelle situazioni più difficili, vivendole invece come occasioni sfidanti per le proprie potenzialità (Maddi, 2002).

63Anche Leonardo Da Vinci, in unanalisi della sua personalità, sembrava essere un annoiato, infatti veniva descritto come una persona indifferente al bene e al male, caratterizzata dallinattività, con affetti controllati, privo di odio e di amore (Ravazzolo – Balducci, 2006).

64MONTESSORI, M. (1935). Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato alleducazione infantile nelle case dei bambini. Roma: Editore Succ. Di Loescher & C., 23.

65ivi, 366.

66ivi, 22.

67 op. cit.

68Per insegnare lintelligenza creativa e stimolare gli alunni a superare i giudizi altrui e sentirsi liberi di esprimersi, propone alcuni metodi come ad esempio fornire agli studenti un problema già risolto esortandoli a trovare soluzioni alternative egualmente funzionanti o invitarli allanalisi di unopera darte, immaginando i pensieri dellartista, senza influenzarli con le interpretazioni dei critici d’arte (Sternberg, 2005).

69 op. cit.

70Ad esempio proponendo agli studenti dei problemi che hanno più possibilità di risoluzione o coltivando fin dall’età prescolare attività di svago, hobby o interessi che non presuppongano un unico comportamento (Cesa-Bianchi et al., 2009).


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