L’influenza normativa, il bisogno di approvazione e la spinta al conformismo all’interno dei gruppi


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Il fenomeno dell’influenza sociale

Il fenomeno dell’influenza sociale è stato fin dalle origini il principale oggetto di studio della psicologia sociale.

Gordon Allport, uno dei massimi esponenti nel campo della psicologia sociale, ha definito questa disciplina come «il tentativo di comprendere e spiegare come i pensieri, i sentimenti e i comportamenti degli individui siano influenzati dalla presenza, reale, immaginata, o sottintesa, di altri esseri umani» (Allport, 1954a, p.5).

Il processo di influenza sociale è sempre stato presente in ogni aspetto della vita e ognuno di noi risulta essere continuamente fonte e bersaglio di influenza sociale anche quando non ne è pienamente consapevole. L’influenza sociale ha infatti la possibilità di verificarsi in tutte le situazioni in cui sono presenti due “entità sociali” che siano esse due persone, due gruppi, una persona e un gruppo, di cui una è la fonte o agente di influenza e l’altra il bersaglio.

L’influenza sociale può essere accidentale o deliberata a seconda che la fonte sia rispettivamente passiva o attiva e quindi inconsapevole o intenzionale. Quando si parla di influenza sociale accidentale la fonte è passiva, vale a dire non si pone come scopo quello di esercitare l’influenza; nell’influenza deliberata, invece, l’agente di influenza assume un ruolo attivo e intenzionale nell’esercitare una pressione diretta o indiretta sul bersaglio (Mucchi Faina, Pacilli e Pagliaro, 2012).

Le persone possono essere più o meno consapevoli e più o meno disponibili a subire l’influenza e spesso tendono a sottovalutare (Latené e Darley, 1970) o non riconoscere (Asch, 1955) l’influenza che gli altri hanno su di loro.

L’influenza sociale è un fenomeno che riguarda la maggioranza come anche la minoranza. Quando si parla di maggioranza e minoranza non si fa riferimento unicamente alla dimensione numerica della fonte ma anche ad altri aspetti quali le disposizioni, la categoria sociale, il potere, la distintività ed il contesto di gruppo (Mucchi Faina, Pacilli e Pagliaro, 2013).

Secondo quando teorizzato e studiato da Deutsch e Gerard (1955), alla base del fenomeno dell’influenza sociale è possibile rilevare due motivazioni: la prima fa riferimento alla necessità di ridurre l’incertezza assumendo come prove della realtà le informazioni ricavate dagli altri (influenza informativa), la seconda invece vede le persone conformarsi alle opinioni, ai giudizi e agli atteggiamenti degli altri con l’intento di guadagnarne l’approvazione (influenza normativa). La tendenza a conformarsi interviene in particolar modo quando la persona fa parte di un gruppo e reputa importante il giudizio che i membri hanno di lui. Conformarsi consente infatti alla persona di instaurare e mantenere relazioni soddisfacenti con le persone da cui è intenzionato a ottenere approvazione sociale (Hewstone, Stroebe e Jonas, 2015).

È all’interno dei gruppi che la persona è maggiormente esposta al conformismo e quindi a quelle pressioni che spingono la persona ad aderire ad opinioni e comportamenti del gruppo di appartenenza. Un ruolo chiave è quello ricoperto dalle norme, quali regole o standard esplicite e implicite stabilite dal gruppo in grado di esercitare un’influenza diretta sul comportamento dell’individuo. Ne risulta che la persona è più o meno condizionata dalle convinzioni che possiede circa ciò che gli altri credono, fanno e/o approvano (Schultz, Tabanico e Rendón, 2008).

Infatti, non tutti rispondiamo all’influenza sociale normativa e al conformismo allo stesso modo e il grado di suscettibilità che ognuno di noi ha sembra essere influenzato da una serie di variabili situazionali e fattori individuali.

Tra le variabili situazionali si rilevano ad esempio l’osservabilità del comportamento (Fishbein e Ajzen, 1975), la cultura, la fase evolutiva del gruppo e l’unanimità della maggioranza (Mucchi Faina, Pacilli e Pagliaro, 2012). Ad incrementare l’impatto che l’influenza sociale normativa ha sull’individuo è la compresenza di fonte (agente di influenza) e bersaglio; l’appartenere ad una cultura collettivista che promuove il conformismo e disincentiva l’unicità e l’indipendenza; l’essere parte di un gruppo da diverso tempo e infine confrontarsi con una maggioranza unanime che esprime lo stesso giudizio.

Tra i fattori individuali maggiormente influenti si registrano l’età, per cui più si è giovani è più si è suscettibili; la motivazione a fare una buona impressione e ad evitare di destare disapprovazione (stile protettivo della presentazione del sé); l’importanza che si attribuisce al senso di appartenenza, all’essere rispettati, al sentirsi sicuri e all’avere buone relazioni interpersonali (Batra, Homer e Kahle, 2001); avere ottenuto nel test dei tratti della personalità Big Five (McCrae e Costa, 1985) un alto livello di nevroticismo e un basso livello di apertura mentale e coscienziosità (Oyibo e Vassileva, 2019); aver sviluppato un locus of control esterno, avere una bassa autostima e/o un’autostima estrinseca (Laland, 2004; Hoppitt e Laland, 2013) e infine avere un elevato bisogno di approvazione sociale.

Il bisogno di approvazione sociale

Il bisogno di validazioni esterne e più nello specifico i bisogni di stima e quindi di sentirsi riconosciuti e apprezzati dagli altri sono collocati al secondo livello della piramide motivazionale di A. Maslow (1954) tra i bisogni di natura sociale.

Secondo lo psicologo statunitense Wayne W. Dyer (1976) è la nostra cultura ad incentivare il comportamento di ricerca dell’approvazione inducendoci, sin da piccoli, a ricercare conferme e validazioni esterne. Negli anni formativi i bambini hanno bisogno di essere approvati, accettati e riconosciuti ma se crescendo reputano che per pensare ed agire debbano necessariamente ottenere il consenso di uno dei genitori, la ricerca di approvazione può diventare una vera e propria dipendenza. Questa dipendenza, ad ogni modo, conduce il bambino ad agire per compiacere un altro e ostacola lo sviluppo di una sana autostima e autoefficacia e l’uso di un pensiero critico.

L’eccessivo bisogno di approvazione sociale può sconfinare nel campo della psicopatologia. È questo il caso del disturbo narcisistico di personalità, del disturbo di personalità dipendente, del disturbo di personalità evitante e del disturbo di ansia sociale.
Il narcisista covert possiede una grande sensibilità al rifiuto che lo porta a vivere uno stato di paura, vergogna e persistente vigilanza alle opinioni degli altri per cui da un lato cerca ammirazione ed approvazione e, dall’altro, la paura di giudizi sociali negativi lo porta a tentare di evitare la disapprovazione sociale (Neave, Tzemou e Fastoso, 2020).
Il dipendente ha bisogno di flussi continui di sostegno e incoraggiamento per cui tende a fare qualsiasi cosa anche se spiacevole e degradante e a non esprimere disaccordo pur di essere apprezzato e non perdere l’approvazione degli altri (Gazzillo e Lingiardi, 2014).
Nell’evitante invece la paura di essere rifiutati, criticati, respinti e/o umiliati perché autopercepiti come inadeguati o imbarazzanti porta all’evitamento del contatto sociale e interpersonale a meno che la persona non sia convinta di piacere (Gazzillo e Lingiardi, 2014).
Nel disturbo di ansia sociale infine l’individuo teme il giudizio degli altri e presenta un quadro ansioso legato al timore di agire o manifestare sintomi d’ansia umilianti che condurranno al rifiuto da parte degli altri (Gazzillo e Lingiardi, 2014).

Il gruppo come fonte di influenza sociale e conformismo

Il gruppo risulta essere una potente fonte di influenza sociale in quanto le dinamiche che si creano all’interno dei gruppi hanno tra le conseguenze più significative quella di influenzare le opinioni dei membri. A tal proposito, un fenomeno che tende a verificarsi all’interno dei gruppi è quello del conformismo per cui l’individuo tende ad aderire ad opinioni e comportamenti del gruppo di appartenenza, il quale, per mezzo di pressioni sociali, promuove lo sviluppo di una condizione di uniformità e uguaglianza.

I primi studi che analizzarono questo fenomeno furono condotti dallo psicologo polacco Asch (1951; 1956) con l’intenzione di fornire prove che comprovassero che le persone non erano poi così influenzabili come si credeva a quel tempo. Asch riteneva che, se fossero stati proposti stimoli non ambigui, le persone non avrebbero ceduto alle opinioni del gruppo e avrebbero dimostrato la loro indipendenza. Asch decise di proporre come stimoli non ambigui due cartoncini: in uno erano rappresentate tre linee di diversa lunghezza e nell’altro una linea, detta standard o di riferimento, che era della stessa lunghezza di una delle tre linee raffigurate sul primo cartoncino. I partecipanti, studenti universitari di sesso maschile, dovevano svolgere un confronto tra lunghezze e stabilire quali delle tre linee del primo cartoncino avesse la stessa lunghezza di quella standard del secondo cartoncino.

A differenza di quelle che erano le intenzioni di Asch, questi esperimenti dimostrarono la grande suscettibilità delle persone alle risposte fornite degli altri partecipanti (Mucchi Faina, Pacilli e Pagliaro, 2012).

Asch (1987), a partire dalle interviste effettuate ai partecipanti dell’esperimento, aveva evidenziato tre principali ragioni per le quali alcune persone avevano ceduto di fronte alla maggioranza ed erano arrivate a dare delle risposte errate. Una ragione era legata alla deformazione percettiva, per cui alcuni partecipanti avevano realmente percepito le linee in modo diverso. Un’altra ragione era la deformazione del giudizio per cui, di fronte all’indecisione e all’insicurezza, alcuni partecipanti avevano deciso di assumere la posizione della maggioranza per il timore di dissentire apertamente. Infine, a condurre alcuni a conformarsi con la maggioranza, era stato il bisogno di non sembrare diversi e di sentirsi parte del gruppo e non essere esclusi.

Ricerche successive hanno messo in luce che la conformità è da attribuire a tre principali motivazioni (Mucchi Faina, Pacilli e Pagliaro, 2012). La prima è legata al desiderio di aver ragione e fa riferimento al fatto che la persona si adegua alla maggioranza poiché, secondo l’euristica del consenso (Chaiken, 1987), si ipotizza che la maggioranza abbia più probabilità di essere nel giusto e debba quindi aver ragione. Una seconda motivazione riguarda il desiderio di essere accettati, apprezzati e approvati per cui la persona, per tutelare la propria immagine e non apparire diversa o deviante, cede, almeno temporaneamente ed in pubblico, alla posizione della maggioranza. L’ultima motivazione è di carattere affettivo e riguarda il bisogno di appartenenza per cui la persona, per evitare l’esclusione ed il rifiuto da parte del gruppo, si conforma a quest’ultimo. Ne deriva che la tendenza a conformarsi non è tanto data dall’attrazione nei confronti del gruppo quanto dal timore della sua disapprovazione o rifiuto. È al fine di mantenere l’armonia e la coesione all’interno di un gruppo (Cialdini e Goldstein, 2004) e alleviare l’angoscia che la persona si conforma. Infatti, il disallineamento con il gruppo può innescare un aumento dell’attivazione di alcune reti neurali associate al rilevamento dei conflitti che motiva la persona a conformarsi (Berns et al., 2010; Klucharev et al., 2009; Tomlin et al., 2013).

Le competenze per far fronte al bisogno di approvazione sociale e al conformismo

Nella società attuale sempre più impellente è la necessità di contrastare il bisogno di approvazione sociale ed il conformismo. L’elevato bisogno di approvazione da parte degli altri può infatti essere estremamente limitante per la persona che può decidere di dire e fare solo ciò che ritiene possa essere accettato e approvato dagli altri (Karaşar e Baytemir, 2018). Nel compiacere gli altri la persona annulla se stessa e i suoi bisogni e, reprimendo ciò che è e pensa realmente, anticipa ciò che crede verrà approvato e si conforma.

A tal proposito la promozione di una buona autostima, di pensiero critico e di assertività possono identificarsi come difese utili e necessarie al bisogno di continue validazioni esterne e alla tendenza ad uniformarsi agli altri per essere e sentirsi parte del gruppo.

L’autostima corrisponde alla valutazione globale che la persona ha di sé, delle sue qualità e del suo valore. Questa autovalutazione riflette le convinzioni che la persona ha di se stessa e non necessariamente queste rispecchiano la realtà delle cose (Santrock, 2003). Essa è infatti frutto del rapporto tra il sé percepito, vale a dire le qualità e caratteristiche oggettive che la persona possiede ed il sé ideale che invece è costituito da ciò che la persona desidererebbe essere e avere in futuro. Il livello di autostima della persona dipende quindi dalla discrepanza tra questi due sé: maggiore è il divario e minore sarà l’autostima e viceversa minore è il divario e maggiore sarà il grado di autostima (Da Re, 2015).

Una buona autostima è ciò che consente alla persona di avere fiducia in se stessa, nelle sue opinioni e nelle sue capacità. Con una buona autostima è quindi possibile sottrarsi al bisogno di approvazione in quanto, grazie a questa, la persona non necessita di convalide esterne per credere in se stessa. Gli interventi sull’autostima hanno tra gli scopi quelli di ridurre la discrepanza tra il sé ideale ed il sé percepito favorendo il potenziamento delle competenze, promuovere l’elaborazione di autovalutazioni più accurate incentivando compassione e autocompassione (Marshall et.al. 2015) e valutare e lavorare sui fattori di rischio quali ad esempio gli stili genitoriali autoritari e permissivi (Bos, Muris, Mulkens e Schaalma, 2006).

Il pensiero critico, secondo quanto definito da Saadé, Morin e Thomas (2013), è un’abilità cognitiva, facente parte delle life skill, che coinvolge i processi mentali di discernimento, analisi e valutazione (Ibrahim e Samsa, 2009) allo scopo di pervenire alla comprensione e/o formulazione di un giudizio. Il pensiero critico è utile alla persona per analizzare le informazioni in modo oggettivo, discernere la realtà dei fatti da impressioni, pregiudizi e interpretazioni soggettive e valutare criticamente le informazioni a disposizione al fine di formulare un giudizio o prendere una decisione. Prima di conformarsi ciecamente, la persona che riflette criticamente effettua una valutazione che le consente di esprimere un pensiero o prendere una decisione in maniera cosciente e consapevole.

Intervenire in questo ambito significa insegnare in modo esplicito e diretto le abilità di pensiero critico (Martin e Halpern, 2010), fornire opportunità di sviluppo (L. J. Snyder e M. J. Snyder, 2008), esercitarsi in modo deliberato e ricevere feedback mirati circa quanto appreso e messo in pratica (Holmes, Wieman e Bonn, 2015).

L’assertività è poi la competenza di chi sa esprimere e far rispettare il proprio pensiero, i propri bisogni, desideri, diritti e vissuti emotivi anche quando negativi attraverso un tipo di comunicazione diretta, onesta, aperta e chiara. Base della comunicazione assertiva è la buona stima di sé che consente alla persona di riconoscere i propri diritti, avere rispetto di sé e affermare ed esprimere se stessa senza timori.

Bishop (2010) ha sottolineato che l’assertività viene assimilata nel tempo grazie alle esperienze e non è quindi una capacità innata della persona. Questo stile di comunicazione e relazione può essere infatti appreso e applicato grazie ai training di assertività che consentono di trovare il giusto equilibrio tra il rispetto di se stessi, evitando quindi di compiacere gli altri e conformarsi, ed il rispetto verso gli altri, riconoscendo anche i loro diritti e i loro obiettivi.
La persona assertiva non cede al conformismo in quanto significherebbe subordinare se stessi agli altri. I training sull’assertività vedono la persona sperimentarsi nel fare e rifiutare richieste, palesare il proprio disaccordo, fare e ricevere complimenti (Pedrotti, 2008) e cimentarsi in prove comportamentali e giochi di ruolo che hanno lo scopo di supportare la persona nella difesa dei propri diritti e nel rispetto dei diritti altrui (Nnodum, 2001).

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