La valenza della relazione interspecifica

relazione interspecifica

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Il presente articolo propone una riflessione sulla valenza della compagnia del cane e sui possibili benefici ricavabili dalla relazione interspecifica uomo-cane. Attraverso l’approfondimento di alcuni dei potenziali effetti benefici della relazione uomo-cane dal punto di vista dell’uomo, si osserva come, tra le tante variabili presenti nella complessità dell’arco della vita dell’uomo e nella sua quotidianità, un sano legame interspecifico può potenzialmente rappresentare un contributo al benessere della persona a livello psichico, fisico e sociale.

 

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Ad oggi basta guardarsi intorno per notare un aumento delle famiglie che decidono di avere un cane. Nei centri commerciali, nei parchi, nelle strade sono molte le persone che passeggiano in compagnia di un quattrozampe. Sappiamo per certo che accogliere un animale nella propria vita comporta una serie di cambiamenti nell’organizzazione della quotidianità e soprattutto una forte limitazione alla propria libertà: le uscite, le feste, le vacanze ne sono necessariamente condizionate. Nella gestione degli impegni della giornata si deve ritagliare del tempo per accudire in modo opportuno e puntuale l’animale per venire incontro a quelli che sono i suoi bisogni primari, come l’alimentazione e la pulizia. Nonostante l’atmosfera frenetica dei nostri tempi, in cui sembra di non avere mai abbastanza tempo per portare a termine tutti i nostri compiti giornalieri, la percentuale di animali domestici nelle nostre case è sempre più in aumento. È chiaro che devono esserci dei fattori che riescono a compensare gli impegni che l’avere questa responsabilità comporta e che quindi motivano plausibilmente questa scelta.

Negli ultimi 30 anni si è assistito ad una crescita di interesse nei confronti del mondo non-umano anche da parte della stessa comunità scientifica che ha posto attenzione al fenomeno dell’interazione uomo-animale attribuendogli una dignità tale da diventare un vero e proprio oggetto di studio. Recentemente è nata una nuova disciplina scientifica che propone un nuovo modo di pensare la complementarità di uomo e animale: la Zooantropologia (ZA). L’oggetto di studio della ZA sono le caratteristiche dell’interazione uomo-animale ed i contributi che l’uomo può ricevere dalla diversità animale (Marchesini, 2005). Mentre prima l’animale era uno strumento atto ad aiutare l’uomo nella messa in pratica di alcuni lavori, oggi l’animale ha acquisito una vera e propria valenza referenziale. Un esempio pratico di questo è riscontrabile nella diversa visione che oggi si ha nei confronti del cane. Una volta le varie razze erano selezionate in base alla loro utilità: il Pointer, cane da punta, è stato selezionato specificatamente per avere una morfologia tale da facilitare la percezione dell’odore della preda, veniva quindi utilizzato nelle attività di caccia, così come anche razze quali il Bassotto, la cui particolare struttura fisica è stata selezionata per stanare animali come il tasso o la lepre, o ancora razze come i Collie, selezionati perché mantengano un naturale istinto al raduno del bestiame. Poche sono le razze il cui compito era solo l’essere “cane da compagnia”, ma nonostante questo ci accorgiamo che ogni razza ha una sua storia e che la detenzione di un cane era, nella quasi totalità dei casi, associata ad una necessità concreta dell’uomo. Ad oggi la scelta di possedere un cane non è più motivata dalle predisposizioni della razza funzionale per uno specifico lavoro: nella percentuale maggiore dei casi sono le caratteristiche fisiche ed estetiche che indirizzano la scelta dell’animale. L’idea del cane da lavoro, salvo alcuni ambiti cinofili, sta sempre più scemando ed il cane è generalmente visto come un animale da compagnia a prescindere dalle caratteristiche di razza. Assistiamo dunque ad un lento cambiamento del ruolo dell’animale all’interno delle famiglie: mentre prima il concetto di animale era inteso prevalentemente in senso utilitaristico e come proprietà, oggi viene riconosciuto come vero e proprio referente e come un compagno di vita che entra nella sfera dell’intimo e del familiare, dotato di una propria soggettività e verso il quale si hanno delle responsabilità.

Non sempre però le persone hanno piacere di entrare in contatto con un animale. A questo proposito la zooantropologia ha studiato e individuato le potenziali disposizioni che il referente uomo può avere nei confronti dello stimolo animale. Tra queste troviamo (Marchesini, 2005):

  • la zooapatia, cioè una forma di totale disinteresse verso lo stimolo animale, l’animale è percepito come qualcosa di estremamente irriverente;

  • la zoopoiesi, in cui si assiste ad una tendenza a negligere l’autenticità dell’animale, quindi quest’ultimo non è riconosciuto nella sua diversità e nelle sue caratteristiche specie-specifiche;

  • la zooempatia, propria di quelle persone che nutrono un interesse verso l’altro animale sostenuto dall’accettazione della diversità animale e dalla curiosità di conoscerla nel rispetto delle caratteristiche specifiche;

  • la zoomania, in cui l’interesse verso l’animale è talmente alto che la persona investe tutte le proprie energie affettive e/o relazionali verso il partner non umano;

  • la zoofobia, in cui lo stimolo animale è percepito come un potenziale pericolo;

  • la zoointolleranza in cui la persona percepisce le caratteristiche dell’animale come aberranti e intollerabili provando ribrezzo generale verso tutto il non-umano.

Alla base delle diverse disposizioni attraverso cui una persona può avvicinarsi allo stimolo animale sono stati indagati alcuni fattori di interazione che influiscono sul modo di percepire l’animale. Tra questi, gli studi della ZA hanno individuato: fattori innati, o specie-specifici, come ad esempio il comportamento epimeletico, che rappresenta un retaggio della natura dell’essere umano e si definisce come la propensione istintiva a prendersi cura di esseri allo stato di cuccioli o docili animali; fattori educativi, cioè quelle modalità di risposta allo stimolo animale che i genitori trasmettono ai figli; fattori esperienziali, che consistono nelle occasioni che la persona ha avuto di incontrare l’animale ed il vissuto che si porta dentro di queste esperienze; fattori culturali, legati alla trasmissione della rappresentazione dell’animale in termini di usi e costumi, ad esempio in molti paesi dell’Asia Orientale ed Oceania alcune razze canine sono allevate appositamente per la macellazione; fattori patologici, cioè situazioni che possono rafforzare o indurre disposizioni zoofobiche o zoointolleranti, ad esempio patologie che modificano il modo in cui la singola persona interagisce con l’animale, creando presupposti negativi nell’interattività con il referente animale e motivando la persona ad evitare o rifiutare l’incontro interspecifico.

Secondo Marchesini (2005) esistono tre strutture di relazioni previste dalla ZA: la pet-partnership o relazione collaborativa, che si basa sulla capacità dei due partner di operare insieme e richiede una forte intesa (es. unità cinofile antidroga e rispettivi conduttori); la pet-relationship o relazione di incontro-confronto, che è la base delle attività di ZA applicata all’ambito educativo o assistenziale (scuole, centri per anziani, ecc.) e ha il fine di ottenere specifici contributi referenziali; pet-ownership o relazione affiliativa, basata su un processo di adozione con condivisione degli spazi e di intimità. In questo contesto approfondiremo in particolar modo le ultime due.

Volendo indagare i contributi benefici di questa interazione interspecifica, è chiaro che la disposizione della persona nei confronti dello stimolo animale debba essere di carattere zooempatico. L’accettazione e la consapevolezza di avere di fronte a sé un essere non-umano apre la persona alla possibilità di sperimentare nuove disposizioni emozionali e cognitive solitamente poco o solo in parte sollecitate nell’ordinarietà delle relazioni inter-umane. Dal suo canto, riconoscendo l’altro animale come un vero e proprio referente, un’interazione corretta ed equilibrata implica anche che l’animale coinvolto accetti, ricerchi e gradisca l’interazione ravvicinata dell’uomo.

Per quanto riguarda la pet-relationship, sono state individuate diverse dimensioni di relazione (R) che caratterizzano questa interazione. Il referente umano può interfacciarsi allo stimolo animale attraverso il gioco (macroarea ludica di R), attraverso una predisposizione alla conoscenza attenta e interessata dell’alterità animale in cui l’interazione prende la forma di un interscambio conoscitivo (macroarea epistemica di R), attraverso una condivisione emozionale che tende all’interscambio di affetto, fiducia e sostegno reciproco (macroarea affettiva/affiliativa di R), attraverso il puro piacere di vivere l’incontro con il referente animale come momento di “libertà mentale” rispetto i problemi e le preoccupazioni della realtà quotidiana (macroarea edonica di R).

La relazione pet-ownership presenta invece delle caratteristiche di base che differenziano questo tipo di relazione dalle altre interazioni con gli animali. Volendo elencare i più importanti caratteri della pet-ownership, la zooantropologia ha individuato l’intimità, in quanto il rapporto pet-ownership si caratterizza per la continuità relazionale realizzata all’interno di una condivisione stretta dello spazio di vita quotidiano che si traduce in uno stato di intimità tra i due referenti, la reciprocità che rende la pet-ownership una struttura relazionale in co-sviluppo; la progressiva strutturazione intersoggettiva della relazione in cui vi è l’assunzione che dietro alla relazione pet-ownership ci siano due identità soggettive e il pet non sia semplicemente il rappresentante di una determinata specie, ma abbia un nome che lo caratterizza, asimmetricità in quanto c’è un rapporto di diretta dipendenza del pet dal pet-owner ed infine la plasticità, caratteristica che indica il polimorfismo che caratterizza la coppia uomo-animale nella relazione di Pet-ownership.

La Zooantropologia si è interessata allo studio degli aspetti generali della relazione Pet-ownership analizzandola in termini di modalità affiliative. Queste diverse dimensioni di relazioni possono risultare interessanti in quanto danno delle indicazioni su quella che può essere una struttura relazionale interspecifica equilibrata, nonché stabile, produttiva e duratura. Volendo elencare queste modalità affiliative (MA), troviamo (Marchesini, 2005, 387-397):

MA epimeletica che prende in considerazione la tendenza da parte della specie umana di prendersi cura del pet, ad esempio alimentandolo e prendendosi la responsabilità di soddisfare i bisogni primari dell’animale.

– MA ludica che si esplicita sia nel giocare in modo attivo con l’animale, sia nell’osservazione diretta dell’animale mentre gioca.

– MA di attaccamento che secondo Marchesini coinvolge in modo generale tutte le componenti dove il pet-owner vede nel pet la sua “base sicura”, in cui il soggetto trova delle conferme affettive autentiche e disinteressate, sentendosi rassicurato proprio nel suo valore individuale.

MA identitaria in cui la relazione si pone come una opportunità di crescita e di strutturazione del Sé. Ad esempio, nel contesto della vita quotidiana il pet può trasmettere al referente umano una interpretazione diversa della realtà contingente offrendo importanti feedback per leggere/correggere il suo stato emotivo.

MA emozionale che riguarda la capacità del pet di sollecitare nel referente uomo stati emozionali avvertiti come positivi attraverso una «osmosi emozionale». Il pet manifesta infatti nel qui ed ora le sue disposizioni emotive, generalmente incentrate soprattutto sulla gioia e sulla curiosità.

– Ma vicariante rientra in quelle tipologie di affiliazione che non rappresentano un modo opportuno per interfacciarsi all’alterità animale. Tale modalità si manifesta nel momento in cui l’animale viene utilizzato, nel vero senso della parola, come un operatore solipsistico, cioè come una sorta di rifugio o una via vicaria alle interazioni interumane da cui il soggetto si vuole sottrarre.

– MA surrogatoria che caratterizza i rapporti proiettivi e deficitari in termini di reciprocità. Esattamente come la MA vicariante, in questa situazione il referente umano di pone all’alterità animale attraverso una dimensione zoopoietica (come abbiamo precedentemente affermato implica la tendenza a negligere le caratteristiche specie-specifiche dell’animale). In questa modalità la surrogazione avviene o attraverso l’attribuzione all’animale di un valore strumentale, quindi l’animale è visto come un oggetto da mostrare agli altri, oppure come un’arma, o ancora attraverso l’antropomorfizzazione del pet, quindi attraverso una rappresentazione distorta della realtà animale in cui quest’ultimo viene investito di una dimensione relazionale priva di contenuti di diversità, ad esempio nel caso in cui il pet viene esplicitamente trattato come un figlio o un partner nel contesto sociale umano.

Come abbiamo detto in precedenza l’interesse della Zooantropologia è dunque quello di indagare la struttura dell’interazione uomo-animale e studiare i possibili contributi che questa interazione può dare al referente umano. Nel corso dell’ultimo secolo ci sono state diverse ricerche, che citeremo in seguito, circa gli effetti del contatto di un animale, in particolare del cane, sull’uomo. Marchesini afferma che l’animale ha delle caratteristiche particolari che possono potenzialmente indurre l’essere umano in una condizione cosiddetta di «fibrillazione di stato» che favorisce l’apertura dell’individuo stesso verso un cambiamento. Tra queste caratteristiche troviamo il coinvolgimento, cioè la capacità di attrarre l’attenzione e lo stato emozionale del referente umano, di metterli su di sé e di indurre la persona a mettersi in moto ed agire, l’influenza, ovvero la capacità di modificare il profilo della persona e influenzarne il cambiamento attraverso un accreditamento implicito, come conferme affettive, l’immediatezza cioè la capacità di superare le barriere di comunicazione e di interazione dell’essere umano attraverso un linguaggio totalmente privo di parole, la familiarità ossia la capacità di abbassare le tensioni legate all’apparenza sociale permettendo alla persona di poter esprimersi nella sua spontaneità, e la plasticità, cioè la possibilità dell’uomo di sperimentare e assumere diversi ruoli nell’incontro con l’alterità animale (Marchesini, 2005). Per avere una visione più globale e allo stesso tempo schematica dei potenziali effetti benefici dell’interazione interspecifica sull’uomo, dividiamo questi ultimi in benefici fisici, psicologici e sociali, riportando i risultati di numerose ricerche.

Per quanto riguarda i benefici di tipo fisico, interessanti sono i risultati di alcuni studi che riguardano la variazione della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna e dei livelli di cortisolo in alcuni soggetti prima e dopo il contatto con un cane. Ballarini (1995) presenta l’esito di una ricerca condotta da Katcher (1981), Beck (1983) e Baun (1984, 1989), i quali hanno dimostrato che l’accarezzare un animale, o anche la sua semplice presenza, induce un effetto calmante e una riduzione della pressione sanguigna in chi compie l’azione. Una ricerca più recente è stata condotta da Odendaal (2000) e Odendaal e Maintjes (2003), questi studiosi si sono occupati dello studio delle variazioni nei valori di cortisolo ematico in un campione di proprietari di cani mentre accarezzavano il proprio cane, mentre accarezzavano un cane estraneo e durante la lettura tranquilla di un libro. I risultati emersi affermano che l’interazione con il proprio cane ha dato minori livelli di cortisolo ematico, segue l’interazione con un cane sconosciuto e infine la lettura di un libro. Si evince quindi come lo scambio interazionale con il cane può potenzialmente suscitare qualcosa nel referente umano. Non solo, in un’altra ricerca condotta da Cole e colleghi (2007) è stato osservato come il cane può avere un effetto calmante sulle persone. Prendendo in considerazione adulti ospedalizzati con una patologia di insufficienza cardiaca, è stato osservato come, durante le normali visite dei medici in ospedale, i livelli di epinefrina, norepinefrina e cortisolo, di per sé abbastanza alti in conseguenza alla condizione stessa, risultavano inferiori al valore medio in corrispondenza della presenza e dell’interazione dei soggetti con dei cani. Si può dunque dedurre che l’interazione interspecifica con un animale amichevole può influenzare le risposte endocrine e tamponare o ridurre lo stress favorendo sensazioni di calma e rilassatezza (Mugnai, 2014).

Sempre per quanto riguarda la sfera dei potenziali benefici fisici, interessanti sono i risultati di alcune ricerche che hanno indagato il ruolo dell’ossitocina durante l’interazione uomo-animale. L’ossitocina è un nonapeptide il cui rilascio, sia nel torrente circolatorio sia nel cervello, è generalmente causato da una intensa stimolazione sensoriale, ad esempio dalle contrazioni del travaglio, durante l’allattamento o un rapporto sessuale. È stato osservato che una stimolazione sensoriale meno intensa come un contatto affettuoso all’interno di una relazione di fiducia reciproca può dare ugualmente esito al rilascio di ossitocina nel cervello. Le terminazioni nervose ossitocinergiche si proiettano in quelle aree del cervello coinvolte nella regolazione delle interazioni sociali e del senso del benessere. Hadlin e colleghi (2011) hanno condotto una ricerca i cui risultati hanno messo in evidenza come sia negli essere umani sia negli animali un contatto fisico come delle carezze comportava un aumento di ossitocina a livello plasmatico. Inoltre, questi studiosi hanno osservato come l’aumento maggiore si presentava quando i padroni interagivano con il proprio cane rispetto l’interazione con un cane sconosciuto. Secondo Mugnai, i recenti risultati scientifici suggeriscono che gli effetti dell’interazione uomo-animale sono sovrapponibili agli effetti dell’ossitocina: essendo stato appurato che l’ossitocina può potenzialmente dare luogo ad una riduzione dei livelli di cortisolo, nonché ad un abbassamento della pressione sanguigna, si può ipotizzare che l’ossitocina sia quel meccanismo neurobiologico principale all’origine degli effetti dell’interazione uomo-animale (Mugnai, 2014).

Per quanto riguarda i potenziali benefici psicologici, possono essere proposte diverse considerazioni. Il rapporto con il cane ci pone nella condizione di dover “comunicare” nel senso più ancestrale del termine. Come sappiamo, l’animale non è in grado di comprendere o esprimere un linguaggio verbale, per lui le singole parole che utilizziamo non hanno di per sé alcun significato comunicativo e, di conseguenza, ci induce ad entrare in uno flusso comunicativo basato sullo scambio empatico e non verbale e questo esercizio ci permette di acquisire una maggiore sensibilità emotiva. Inoltre, la continuità della relazione interspecifica, soprattutto nel contesto quotidiano, si concretizza in una serie di attività di routine quali le passeggiate, le cure, l’alimentazione, che possono potenzialmente accrescere in chi si occupa dell’animale un senso personale di utilità, autostima e responsabilità, quindi anche di autoefficacia, incrementata soprattutto dal feedback positivo dell’animale e dalle sue conferme affettive e sociali. Per quanto riguarda la dimensione affettiva infatti, i due partner relazionali si sostengono a vicenda interscambiando attenzioni, segnali di fiducia e di affidamento. Ciò crea uno stato di sicurezza emozionale e di riconoscimento come individui soggettivamente speciali e degni di amore e interesse che, avendo attenzione a non cadere in affiliazioni di tipo vicariante, può nutrire il senso di autostima di un essere umano (Marchesini, 2015).

L’intimità che può potenzialmente venire a crearsi tra i due referenti, a patto che di base ci sia una disposizione zooempatica da parte dell’uomo ed un approccio amichevole da parte dell’animale, genera una familiarità tale da far sperimentare all’uomo una relazione diversa dalle più comuni relazioni interumane. Mentre nel dialogo intraspecifico l’uomo può falsificare i suoi sentimenti attraverso l’uso dell’autodescrizione verbale, nella relazione interspecifica l’animale diviene lo specchio dei suoi atteggiamenti e del suo stato emotivo. Il feedback dell’animale non sarà mai contrassegnato da un risentimento e quest’ultimo non serberà rancore per dei conflitti irrisolti. L’animale esprime le proprie emozioni nel qui ed ora, vivendo il presente attraverso emozioni positive, improntate sulla curiosità e sulla spensieratezza. La capacità dell’animale di attirare l’attenzione su di sé e sintonizzarsi sulle emozioni dell’uomo può dare vita ad un contagio emotivo che, come detto in precedenza, a sua volta per «osmosi emozionale» può indurre nella persona l’attivazione di quadri emozionali positivi.

Inoltre, interessante è anche il fatto che l’uomo nella relazione con l’animale può sentirsi libero di esprimere liberamente la propria spontaneità. Questa caratteristica di «accettazione incondizionata» dell’animale è meno presente nelle normali relazioni interumane. Le relazioni umane sono infatti condizionate da dinamiche guidate da norme che definiscono i comportamenti attesi e quelli socialmente non accettabili. Gran parte del comportamento della persona nel contesto della società, quindi delle relazioni con le altre persone, è una risposta a quella che viene descritta come «desiderabilità sociale», cioè a quella condotta che “l’altro da me” si aspetta dal soggetto. (Padon, 2011). Nella relazione interspecifica l’uomo sa che l’animale non si crea delle aspettative sociali nei suoi confronti, di conseguenza il suo comportamento non sarà oggetto di osservazioni, né di valutazioni critiche. Il referente uomo può dunque scrollarsi di dosso il peso delle convenzioni e delle norme sociali sperimentando un senso di accettazione incondizionata e disinteressata in cui può esprimere liberamente la sua naturale spontaneità.

Infine, per quanto riguarda i benefici di tipo sociologico, interessante è il fatto che il cane sia stato definito da alcuni studiosi come Mugford e MrComisky (1975) in termini di “lubrificante sociale”. (cit. in Ballarini, 1995). È stata infatti constatata la capacità del cane di fungere da facilitatore sociale delle interazioni interumane. A questo proposito alla fine del ‘900 Messent ha condotto una ricerca in cui ha osservato sette soggetti e la percentuale di interazioni che questi avevano percorrendo lo stesso percorso nell’Hyde Park di Londra, una volta in compagnia di un cane e una volta senza l’animale. Queste osservazioni hanno permesso di constatare l’incredibile effetto della presenza del cane sulla reazione dei passati. Questi ultimi infatti rivolgevano attenzione al cane, e quindi al padrone, o per interesse personale o in seguito all’interazione tra i rispettivi animali nel caso in cui anche loro erano in possesso di un cane. È stato osservato anche che la conversazione in questi momenti assume generalmente come sfondo l’affettività ed il dialogo è piacevolmente disinteressato, accompagnato da sorrisi e toni tranquilli e divertiti. In questi termini il cane può potenzialmente svolgere un preponderante ruolo di facilitatore delle relazioni sociali interumane. Spesso infatti nelle passeggiate quotidiane si incontrano altri proprietari ed il cane diventa oggetto di interesse e facilita la comunicazione. Inoltre, gli incontri e le frequentazioni che derivano dalla quotidianità favoriscono l’insorgere di relazioni affettive e il formarsi di gruppi sociali, nonché un potenziamento della propria prosocialità (Ballarini, 1995).

Tenendo conto di quanto appena argomentato, è possibile avere una visione generale delle beneficialità potenzialmente insite in una corretta ed equilibrata relazione uomo-cane.

A questo punto possono essere interessanti alcune considerazioni relative alla valenza della referenza animale rispetto le diverse età evolutive dell’uomo.

Per un bambino l’esperienza di interazione con un cane può favorire la promozione delle sue competenze relazionali: come abbiamo detto in precedenza, il cane non ha la capacità di interpretare il linguaggio verbale, di conseguenza per entrare in comunicazione con lui il bambino è sollecitato a mettere in pratica l’abilità di leggere e rispondere al referente attraverso un linguaggio che va al di là della parola, costituito principalmente dal linguaggio del corpo, dalla gestualità e dalle emozioni. Questa interazione dunque può rivelarsi potenzialmente utile per lo sviluppo e l’arricchimento dei meccanismi di relazione e del comportamento sociale, contribuendo a sviluppare nel bambino la capacità di individuare e interpretare correttamente i segnali non verbali coinvolti nelle interazioni sociali umane, nonché la capacità di leggere e sintonizzarsi sulle emozioni dell’altro.

Un’altra competenza sociale fondamentale è l’abilità di comprendere gli stati mentali propri ed altrui, cioè quella che viene definita come «Teoria della mente» (Liverta, Marchetti, 2001). Tale teoria fa riferimento ad un insieme complesso di competenze che permette di attribuire stati interni, quali emozioni, desideri, intenzioni, a se stessi e agli altri. Questa abilità stimola la capacità di interpretare e prevedere il comportamento dell’altro, al fine di acquisire informazioni utili e funzionali per orientare il feedback di risposta più adeguato (Santrock, 2013). L’utilizzo da parte dell’adulto di un lessico psicologico per descrivere ai bambini pensieri ed emozioni indurrebbe nel bambino una tendenza a riflettere e considerare gli stati mentali dell’altro e a valutare come questi possano essere la causa del suo comportamento. I bambini sono generalmente attratti e incuriositi dalla presenza dell’animale. Per questo, uno dei modi attraverso cui la valenza della referenza animale può incidere sullo sviluppo del bambino è il linguaggio di un adulto riferito agli stati mentali dell’animale in situazioni di interazione tra bambino e animale (Macchitella et al., 2011). Questo processo di focalizzazione che il cane suscita nel bambino può rivelarsi anche un incentivo per allenare e mettere in pratica le sue prime forme di comunicazione. Il linguaggio emerge per la prima volta nel bambino accanto ad altri gesti comunicativi. Ad esempio, verso i dodici, tredici mesi i bambini iniziano l’attività di pointing, indicando con il dito un oggetto e guardando alternativamente l’oggetto e l’adulto di riferimento. Ciò rappresenta un importante tappa del percorso evolutivo del bambino. Il cane, che come sappiamo è un importante stimolo che suscita interesse e curiosità, può potenzialmente motivare il bambino ad allenare e sperimentare queste prime forme di comunicazione.

Non solo, per un bambino un cane, anche con la sua sola presenza quotidiana, diviene parte integrante della famiglia. Le attenzioni e le cure che i genitori, in particolare la madre, rivolgono all’animale possono rendere quest’ultimo un oggetto familiare agli occhi del bambino. In questi termini il cane può assumere il ruolo di «oggetto transizionale» che trasmette sicurezza al bambino e lo aiuta a differenziare se stesso dall’altro-da-me.

Un’altra esperienza di relazione con il cane potenzialmente importante per il bambino è il momento ludico. Il gioco rappresenta per il bambino un potente mezzo per conoscere il mondo e comunicare emozioni e bisogni. Non solo, il gioco rappresenta anche un importante fattore di sviluppo che permette al bambino di sperimentare e consolidare nuove competenze, sia cognitive, sia emotive, sia socio-affettive. Attraverso il gioco il bambino inizia a comprendere il mondo che lo circonda, cosa si può fare e cosa no, imparando a comportarsi nel rispetto delle regole (Zaccagnino, 2009). Nella relazione con il cane il bambino può sperimentare le regole del momento ludico condiviso con un essere non-umano. Ad esempio, sotto la supervisione di un adulto, il bambino attraverso il gioco con la palla può sperimentare ciò che si può fare (lanciare la palla al cane, aspettare che la riporti e che la lasci) e cosa non si può fare (togliere la palla dalla bocca del cane, tirare la coda/orecchie al cane). Ancora una volta quindi l’esperienza con il cane, gratificata anche dal feedback positivo del cane stesso, può rivelarsi una palestra per allenare il senso di consapevolezza di sé e del mondo esterno, nonché non incentivo allo sviluppo fisico, cognitivo e sociale.

Interessante è osservare come una sana ed equilibrata relazione interspecifica può essere un importante contributo al benessere della persona nel periodo adolescenziale.

Sappiamo che l’adolescenza è un periodo di grandi cambiamenti che costringono l’individuo ad abbandonare le sicurezze dell’infanzia. Secondo Gambini (2011), l’adolescenza è momento delicato in quanto non solo avvengono diversi cambiamenti da un punto di vista fisico e sociale, ma avviene anche un destrutturazione dell’identità stessa del ragazzo, segnando il passaggio da una identità principalmente formata sul giudizio degli altri significativi ad una identità meno dipendente dall’opinione altrui. L’adolescente si trova nella condizione di ristrutturare la sua personalità e ricercare una condizione psicologica basata sulle proprie capacità, le proprie motivazioni ed i propri valori, così da trovare in sé e non più negli altri, la fonte della propria sicurezza. Come abbiamo già argomentato in precedenza, il cane ha la capacità di dare vita ad una atmosfera calda e familiare, in grado di accogliere il suo referente umano senza che questo si senta in dovere di risponde a delle aspettative specifiche. L’adolescente, la cui disposizione è prettamente zooempatica, può sperimentare se stesso in un terreno nuovo, diverso dalle comuni relazioni interumane le cui dinamiche sono dettate da regole e norme ben precise, mettendo così in gioco la sua spontaneità senza la paura del giudizio. Il feedback che l’adolescente riceve dall’animale è chiaro, autentico e può fungere da specchio per le azioni dell’adolescente. Secondo Ardone e Chiarolanza (2007), tra i bisogni prioritari dell’adolescente si collocano l’autonomia, la competenza ed il bisogno di connessione. L’adolescente ha necessità di sapere che può prendere delle decisioni autonomamente, sperimentando la positività delle proprie scelte, quindi anche la positività del suo agito e delle sue competenze. Inoltre, per l’adolescente sono fondamentali i sentimenti di appartenenza e i legami significativi. Pur facendo attenzione a non cadere nell’isolamento sociale e nella patologia, il cane può rilevarsi un valido promotore della soddisfazione (almeno parziale) di questi bisogni. Ad esempio, per l’adolescente zooempatico il prendersi cura di un cane attraverso l’attenzione della sua salute, della sua igiene, della sua alimentazione può rivelarsi un momento di metacognizione: sono piccoli compiti in cui il ragazzo può sperimentare la propria competenza e le proprie capacità, alimentando anche quello che è il proprio senso di autostima ed autoefficacia. Scegliere cosa fargli mangiare, dove portarlo ad espletare i suoi bisogni, gestire la cura del pelo, gestire il gioco con il cane, sono esempi in cui l’adolescente può fare esperienza della propria autonomia decisionale. Non solo, la cura puntuale e attenta di un cane, nei limiti in cui un ragazzo può occuparsene, rappresenta anche un valido incentivo per lo sviluppo del proprio senso di responsabilità. L’adolescente quindi può sperimentare diversi aspetti di se stesso ed allenare importanti capacità all’interno di un microsistema (relazione uomo-cane) che un giorno potrà essere proiettato in un macrosistema composto da esperienze diverse e più complesse.

Per quanto riguarda la relazione con il cane vissuta dal punto di vista dell’adulto è possibile constatare che l’adulto è colui che si assume la percentuale maggiore di responsabilità nel momento in cui si decide di accogliere un animale in casa. Di conseguenza, l’adulto è anche colui che trascorre la maggior parte del tempo con l’animale. In linea generale possiamo pensare alla relazione adulto-cane come una sintesi di tutti i potenziali benefici della relazione con l’animale. Abbiamo visto come la condivisione del tempo con un cane può stimolare quadri emotivamente positivi nella persona e come la sua presenza può avere un effetto anti-stress sul referente umano. Il cane infatti, nei limiti del rispetto della sue caratteristiche specie-specifiche, può assumere il ruolo di «valvola di sfogo» in una società che allontana sempre di più l’uomo dalla sua natura ancestrale: la natura, la comunicazione emotiva, la libera espressione di se stessi e la spontaneità. Abbiamo visto come i feedback positivi ricevuti dall’animale in risposta alle cure e alle attenzioni da parte dell’uomo, all’interno di un clima intimo e di fiducia reciproca, può avere un effetto terapeutico sull’individuo. Per un adulto, ad esempio, giocare con un cane esprimendo la sua spontaneità può essere un fattore stimolante per “liberare la mente” dai rigidi schemi della società, nonché un mezzo di distrazione dai problemi quotidiani, aumentando perfino gli eventuali momenti di gioia. Inoltre, la responsabilità della cura di un cane e la puntualità che questa richiede può rivelarsi una palestra per le proprie abilità e competenze di cargiver in vista di un futuro figlio.

Riguardo la valenza dell’animale in relazione ad un individuo anziano, sappiamo che, oltre i cambiamenti fisici e fisiologici che questa fase evolutiva comporta, l’invecchiamento implica una profonda modificazione sul piano sociale e una trasformazione e rinegoziazione dell’immagine di sé. Ciò che caratterizza in modo peculiare questo periodo è quello di essere l’ultimo, lo stadio finale dell’esistenza. L’invecchiamento è un processo di graduale avvicinamento alla fine della vita in cui la persona rileva delle carenze graduali sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista cognitivo. In alcuni casi a questo si può aggiungere un senso di solitudine e di inutilità e può accadere che ci si lasci andare a stati depressivi. I disturbi psicologici dell’anziano fanno spesso parte di un quadro complesso in cui tali disturbi si intrecciano con elementi di origine socio-ambientale. Relativamente alle possibilità della singola situazione, la presenza di un cane può essere di supporto per la persona anziana, sia perché può diminuire la sensazioni di essere soli, sia perché può stimolare l’anziano a mettere in pratica le sue capacità di caregiver, migliorando quindi il proprio senso di autoefficacia e di utilità. Come già detto in precedenza, il cane è in grado di stimolare quadri emozionali avvertiti come positivi per la persona, dunque la sua presenza per un anziano può comportare un miglioramento dell’umore, nonché di occasioni di incontro e condivisione (Marchesini, 2015).

Volendo osservare più da vicino la potenziale valenza dell’incontro uomo-cane, possiamo considerare due interventi i cui destinatari sono persone con problemi di tipo sociale, psicologico e affettivo.

Il primo interessante intervento trova il suo contesto nelle carceri ed è relativo ad una nuova prospettiva di umanizzazione della pena dei detenuti. Spesso infatti lo sconto della pena è generalmente associato ad una punizione esemplare per far sì che la persona si astenga dal commettere un altro reato per non incorrere in una ulteriore penalizzazione. Per i detenuti che si trovano in una situazione di particolare durezza esistenziale e solitudine affettiva, come quella di un carcere, la presenza di un animale può rivelarsi molto importante. Nell’ottica della rieducazione, del recupero e della promozione del reinserimento sociale, essi possono contribuire ad umanizzare la pena, evocando nei detenuti risorse spesso disconosciute dagli altri come da loro stessi. Come abbiamo già visto in precedenza, la presenza di un pet può essere un antidoto alla solitudine, può accrescere l’autostima, responsabilizzare, inoltre favorisce la capacità di osservazione, promuove l’affettività e può stimolare l’umano nell’autoregolazione delle emozioni. Un comportamento come quello del prendersi cura di esseri bisognosi diventa, per chi è recluso, un’occasione di riscatto, un’esperienza relazionale significativa che può stimolare le doti empatiche del detenuto. Per tanto, permettere alle persone recluse di occuparsi di un animale evitando la pena aggiuntiva della privazione del vitale contatto intimo e affettivo con un altro referente, può rivelarsi un potente strumento in grado di arginare la demotivazione radicale che spesso con facilità si instaura in carcere (Manzoni, 2009).

Infine, l’ultimo intervento che ritengo interessante citare riguarda la valenza della referenza animale nel contesto universitario. Tutti ben conosciamo gli effetti dello studio universitario: lo studente è continuamente messo alla prova attraverso esami, prove scritte ed orali, preparazione di tesi, e sappiamo quanto queste situazioni possono essere causa di tensione e stress per l’individuo. Spesso lo stress può incidere negativamente anche sui risultati degli esami, poiché l’ansia e la tensione a volte raggiungono livelli tali da inficiare sulla concentrazione e sull’attenzione dello studente. In Scozia è stato promosso un progetto per diminuire lo stress da esami: nella Aberdeen University, per attutire l’ansia, gli stati emotivi negativi, la tensione, è stata allestita una così detta puppy room, cioè una stanza in cui gli studenti posso passare del tempo accarezzando e giocando con dei cuccioli di cane di svariate razze. L’entusiasmo coinvolgente dei cuccioli funge da potenziale e forte anti-stress, in virtù delle caratteristiche precedentemente esposte, che aiuta i ragazzi a rilassarsi e allentare la tensione accumulata prima degli esami, il tutto nel rispetto anche del benessere dei cuccioli stessi che sono seguiti e salvaguardati da figure professionali. L’affetto incondizionato e travolgente dei cuccioli invade di positività la sfera emotiva degli studenti, i quali possono sentirsi immediatamente sollevati, ritrovare un equilibrio psico-fisico soddisfacente, sentirsi divertiti e di buonumore (www.thenationalstudent.com, 2013).

Conclusioni

Alla luce di quanto descritto, si può constatare l’esistenza di un potenziale referenziale insito nel referente animale. L’incontro tra due esseri diversi, quali l’uomo ed il cane, può dare vita ad uno scambio empatico in cui l’uomo può sperimentare l’autenticità di una interazione interspecifica completamente disinteressata. Come precedentemente sottolineato, ciò può avvenire nel momento in cui i presupposti siano la consapevolezza di avere di fronte a sé un essere diverso dalla propria specie (disposizione zooempatica) e laddove tale incontro sia motivato da una reciproca curiosità ed interesse.

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SITOGRAFIA:

http://www.thenationalstudent.com/Student/2013-04-04/Puppy_room_to_relieve_exam_stress_at_University_of_Aberdeen.html

 


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