Estensione del paradigma in psicosomatica: studio di un caso

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Premessa

Questo articolo condensa le mie esperienze nel campo dell’osservazione e della cura del movimento, del comportamento e della personalità umane. Nel solco dei maestri che hanno alimentato la mia visione dei fenomeni umani, ho cercato di scattare una fotografia che ne ampliasse la visione. Sarò sempre grato alla professione di fisioterapista che mi ha permesso di orientare la mia personale lettura del corpo, della patologia e della salute secondo una prospettiva olistica, consentendomi di alimentare la curiosità verso una ricerca di una maggiore comprensione dei fenomeni che vado osservando nella pratica clinica di psicoterapeuta.

Prima di procedere nell’illustrazione di questo caso clinico è necessaria una precisazione: gli argomenti che seguono sono un’estrapolazione, un fotogramma di un complesso molto più esteso, pertanto in questa sede si tratteranno aspetti parziali che possano orientare nella direzione dell’interpretazione del caso in questione, pur cercando di ricondurre questi elementi ad una visione sistemica della fisiologia, della salute e della sua promozione. Il termine prevenzione oggigiorno è soggetto a numerose distorsioni, letture parziali e strumentalizzazioni, pertanto parlare di promozione della salute in luogo di prevenzione della malattia sembra più appropriato ed eviterà di confondere piani e letture.

Quanto verrà presentato è un primo studio in medicina psicosomatica che ha lo scopo di mostrare come il piano psicologico in cui si sviluppa la sofferenza della persona sia una concausa della sintomatologia, delle sue scelte e dei suoi comportamenti e in tal senso risulti molto adeso al piano fenomenologico fisico, anzi ne rappresenta il complemento naturale. Di conseguenza sono portato a pensare che gli elementi che contribuiscono a determinare una condizione complessa, come può essere quella che ritroviamo nei disturbi psicosomatici, ma non solo in questi, si componga di aspetti più nascosti, che hanno a che fare con il suono, con fenomeni di risonanza chimico-fisica, anche molto sottile, tra corpo e ambiente, con elementi vibrazionali legati all’ambiente stesso in cui siamo immersi, espandendo la lettura alla possibilità dell’esistenza di differenti domini fenomenologici. La contiguità, che è possibile scorgere dalle considerazioni esposte nello studio, rende facile circoscrivere la definizione di “mente incarnata” (embodied mind), per cui risulta difficile pensare che “risolto” tale dominio “le cose finiscano qui”. Per esempio, dall’osservazione emergono aspetti coattivi che travalicano “la determinazione inconscia del comportamento”, o perlomeno “dislocano” l’inconscio da un piano mentale ad uno fisico, inscrivendosi nella fisiologia dei tessuti connettivi. A questo livello di funzionamento la complessità psiconeuroendocrinoimmunologica (PNEI) deve fare riferimento al comportamento fisico-chimico dell’acqua e, in tal senso, aprirsi allo studio di fenomeni forse ancora non ben conosciuti ma di cui si comincia ad intravedere il potenziale esplicativo, come per esempio i fenomeni legati alla teoria dei campi quantistici e alla elettrodinamica quantistica (1). Alla luce di queste considerazioni preliminari si potrebbe aprire un’ulteriore riflessione rispetto alla artificiosa classificazione dei disturbi psicosomatici, riflessione già avviata dalle discipline PNEI. Allora questi aspetti ulteriori mi autorizzano a guardare in una direzione in cui gli elementi in studio possano promuovere ed estendere la formazione di nuovi paradigmi, già da tempo in opera, che integrino quelli tradizionali mutandoli e aggiornandoli, oppure sovvertendoli, ma in ogni caso aprendosi alla possibilità, attraverso un esercizio scientifico libero da legacci di interesse, di estendere la conoscenza dei fenomeni che ci proponiamo di studiare.

La voce nascosta

Piero (il nome è di fantasia per ovvi motivi di privacy) mi contattò qualche anno addietro perché soffriva di un problema alla schiena. Essendo stato mio paziente presso lo studio di fisioterapia dove esercitavo in passato, pensò di avvalersi nuovamente del mio consulto e di tornare a visita per risolvere una nuova recrudescenza dei vecchi problemi. Durante il contatto telefonico accennò in modo generico ad uno stato di tensione senza riuscire a darmi un quadro chiaro dei sintomi. Quando lo rividi, non era cambiato molto: al tempo aveva 25 anni, molto tonico, robusto e atletico. Lo invitai a sedersi prima della visita per spiegare meglio i sintomi di cui soffriva in quel momento.

Inizialmente il suo racconto fu impreciso, parlava di una tensione generale che non si riduceva nemmeno con il riposo, ma riferiva di non sentire dolore al momento della visita.

L’insorgenza delle algie — evento che accadeva normalmente quando era stanco, sovraccarico o dopo periodi intensi di lavoro — si concentrava insistentemente in un punto preciso tra il collo e la scapola sinistra. Il ragionamento psicologico-clinico, comunemente noto come analisi della domanda, permette di avanzare un primo dubbio, innanzitutto su quale sia il vero bisogno di Piero, dal momento che il suo non è un dolore costante ma soltanto occasionale, abbastanza controllato o controllabile con una semplice aspirina, come lui stesso riferisce in quel momento. Per quale motivo allora ha chiesto una visita? Ha chiesto un consulto fisioterapico o un consulto psicologico?

Un aspetto di Piero cattura da subito la mia attenzione: è la sua voce. Profonda, baritonale, quasi liricamente impostata; la prosodia è lenta e misurata, il volto è poco espressivo, così come la sua risata, sempre controllata, quasi sorniona, mai sopra le righe, non va mai oltre il terzo sogghigno (3). Tuttavia possiede una caratteristica fortemente dissonante: è spesso nasalizzata. Questo significa che l’aria necessaria a produrre il suono è spinta con forza verso la cavità nasale, diremmo “sparata” in alto, mettendo così in vibrazione la base cranica, punto in cui risuona la sua voce. I motivi di questa caratteristica verranno illustrati oltre, quando si prenderà in considerazione la funzione respiratoria nella produzione del fenomeno vocale.

Piero rimase seduto per quasi tutta l’ora in una posizione abbastanza fissa, con le mani in grembo, gesticolando raramente. Dava l’impressione di un attore teatrale impegnato nel recitare un testo, o un mezzobusto di un telegiornale, sicuro di sé, estremamente controllato. Nel procedere del colloquio, non sembrava intenzionato a stendersi sul lettino per la visita, anzi corredava la descrizione del quadro clinico attuale con la storia dei sintomi psichici di cui aveva sofferto in passato. Il racconto rimase tuttavia frammentato e vago, ma rivelò problemi anche di una certa gravità, pur senza entrare nei particolari (aveva pur sempre richiesto un consulto fisioterapico), che riferì di aver affrontato durante la prima adolescenza presso alcuni psicoterapeuti, con una discreta efficacia.

Al momento della visita continuava ad avvertire questa forte tensione che si accompagnava alla necessità di tenersi costantemente impegnato in qualcosa, spesso freneticamente. Lamentava inoltre di avvertire un dolore retrosternale, al centro del petto, in alto all’altezza del cuore.

Il suo bisogno dissimulato, ormai era chiaro, svelava la ricerca di un dialogo. Celava forse il timore, oppure non ne era consapevole, che il suo problema nascondesse un bisogno ulteriore rispetto alla cura manuale? Sospettava già da allora che all’origine dei suoi dolori vi fosse un problema non solo fisico? L’analisi della sua domanda e il racconto di pregresse esperienze di psicoterapia sembravano dirigere facilmente la valutazione in questa direzione. I sintomi fisici di cui riferiva orientavano, tuttavia, ad una interpretazione più ampia dei suoi problemi. In conclusione, nel tempo dato non riuscii a farlo stendere sul lettino e visitarlo per il motivo per cui era giunto a visita.

Il fenomeno vocale

Si può considerare il dolore retrosternale come un sintomo generico, non facile da classificare, che può scatenare talvolta, soprattutto quando è insistente, preoccupazione e allarme. Dal punto di vista clinico descrive diverse condizioni di natura somatica: lo possiamo trovare certamente in alcuni disturbi cardiaci come le aritmie o le insufficienze coronariche e ancora in altri quadri di tipo cardiocircolatorio che dovrebbero segnalare un allarme di affaticamento o di cattivo funzionamento del cuore (ovviamente, quando è insistente sarebbe bene richiedere un urgente consulto medico-specialistico). Nel caso di Piero le visite specialistiche ed esami precedenti avevano escluso problemi di origine cardiaca e data la sua giovane età non pensai di consigliare ulteriori approfondimenti diagnostici presso un cardiologo, tuttavia questo sintomo risulta importante per la definizione del caso.

Ma torniamo alla sua voce così profonda, non prima di una brevissima ma necessaria premessa anatomica.

 

L’apparato fonatorio (Fig.1) è un sistema anatomico complesso e altamente specializzato, a tal punto che in natura solo la specie umana ha sviluppato un linguaggio talmente ricco e articolato, capace di costruire il pensiero, l’immaginazione e il canto e di definire il mondo che ci circonda attraverso significati simbolici.

Le corde vocali sono propaggini membranose che si situano a ridosso della linea sagittale del corpo, intimamente adesi alla muscolatura sottostante (muscoli vocali), come due margini quasi paralleli che vibrano sotto la spinta dell’aria. Il grado di tensione muscolare ha la funzione di avvicinarle più o meno alla linea mediana, fino a farle collabire, tale tensione produce suoni di diversa altezza o frequenza. La produzione del suono è garantita dalla capacità delle corde vocali di avvicinarsi tra loro in direzione centrale: più le corde vocali sono vicine più il suono emesso sarà acuto.

Il fenomeno vocale è quindi prodotto per il concorso di tre fattori:

1) la forza muscolare, in particolare del muscolo diaframma, che comprime l’aria dei polmoni

2) il flusso aereo che incontra in uscita le corde vocali

3) la vibrazione delle corde vocali stesse, che producono il suono.

La particolarità delle strutture su cui si basa il suono umano può giustificare l’affermazione popolare che paragona la voce ad uno strumento musicale cordofono, di cui le corde vocali rappresentano il corpo vibrante e la laringe una parte della cassa di risonanza. I muscoli vocali o tiroaritenoidei (Fig. 2), sono così denominati perché si inseriscono sulle rispettive cartilagini, tiroide e aritenoidee, di cui la prima, singola e mediale, funge da punto fisso e le seconde, pari e simmetriche, ruotano su sé stesse, come le chiavette di una chitarra, modificando così la tensione dei margini membranosi e di conseguenza l’altezza dei suoni. La figura sotto illustra l’apparato appena descritto, di cui i muscoli vocali sono soltanto una coppia del complesso sistema muscolare che dà funzionamento alla laringe e ai movimenti delle corde vocali.

Il concorso alla produzione del suono e alle sue caratteristiche proviene innanzitutto dalle strutture di risonanza costituite dal complesso cartilagineo della laringe, della trachea e dal trasferimento di tensione che proviene dai muscoli immediatamente vicini; altri organi di risonanza, a livello del capo, sono rappresentati dalle cavità ossee del volto.

A conclusione di questo breve raccordo anatomo-funzionale sulla fisiologia dell’apparato vocale, diventa necessario introdurre un’estensione del campo in cui intendiamo leggere il processo della voce di Piero e delle sue particolarità. A questo scopo, nella seconda parte dell’articolo, verrà introdotto il concetto di miofascia.

La fascia: entità complessa e sconosciuta

Nel titolo del paragrafo vi è una piccola imprecisione, poiché le più recenti acquisizioni sulla fisiologia della fascia sono sconosciute all’anatomia classica ma sono invece conosciute in maniera approfondita da molti terapeuti del movimento. È certamente ignorata dagli psicologi, che invero partecipano ad una formazione di base che tralascia, loro malgrado, i campi della biologia, dell’anatomia e della fisiologia, non certo per propria attitudine ma per la limitatezza dei programmi ministeriali. Queste brevi note non assolvono alla necessità di approfondire quello che mi piace definire come il luogo fisico della mente e nemmeno pretendono di esaurire l’argomento, tracciano soltanto alcune relazioni indicando un universo complesso e interrelato; chi volesse approfondire può consultare la breve bibliografia in appendice.

I muscoli, di cui le corde vocali sono il margine, appartengono funzionalmente ad un più vasto complesso chiamato miofascia, la cui parte collagene e fibrosa viene comunemente detta fascia (8). In letteratura si danno diverse classificazioni e interpretazioni biologiche e anatomo-funzionali della fascia, dalle quali potrebbero derivare letture diverse dell’organizzazione dei fenomeni del movimento e, più in generale, della meccano-biologia.

Se ne riportano due: la prima descrive la fascia in senso anatomico come un link strutturale, in grado di coinvolgere e stimolare fenomeni biologici, su base meccanica, fino ai sistemi proteici più fondamentali in chiave epigenetica. Con il termina fascia, quindi, si definiscono […] i tessuti collagene fibrosi che sono parte di un ampio sistema di trasmissione di forze tensionali del corpo” (9). (pag. 14).

La sua composizione istologica, principalmente determinata dai processi metabolici che avvengono all’interno della Matrice Extracellulare (MEC), presenta fibre collagene, sostanza amorfa (gel acquoso e viscoso contenente glicosaminoglicani, proteoglicani e glicoproteine) e acqua, i quali, insieme, sono alla base di funzioni fondamentali per le più complesse funzioni dell’organismo. La fascia quindi è ubiquitaria, avvolge tutto, ogni struttura, dalle più grandi fino ai più piccoli filamenti venosi e nervosi, fino alle più piccole cellule e proprio per questa sua disseminazione infinitesima è alla base di numerosi processi di trasporto endocrino e immunitario (1).

Secondo la definizione di Guimberteau e Armstrong (2015) la fascia in senso funzionale risulta essere come una rete fibrillare continua tensionale interna al corpo, che si estende dalla superficie della pelle al nucleo della cellula. Questa struttura viene descritta come un network globale mobile, adattabile, frattale e irregolare; che costituisce l’architettura strutturale di base del corpo umano (5).

Le due definizioni non sono in contraddizione, inoltre secondo quella di Guimberteau e Armstrong, la fascia presenta una struttura del tutto particolare definita come un sistema capillare (rete fibrillare ubiquitaria) denominato MCVAS (Sistema multimicro-vacuolare collagenico assorbente). Questa struttura visibile anche ad occhio nudo in certe sue localizzazioni, si presenta come un film caratterizzato dalla presenza di numerosissimi vacuoli pneumatici, i quali si modificano e si adattano al movimento delle strutture entro le quali si infiltrano e che rivestono, senza dimenticare la dimensione infinitesimale che può raggiungere. Da non dimenticare nemmeno il suo carattere di continuità in tutto l’organismo: in sostanza la MCVAS accompagna strutturalmente, cineticamente e biochimicamente tutti i numerosi processi meccano-cellulari e metabolici dell’organismo. Ma l’aspetto più rilevante di questa struttura infiltrante è la sua esclusiva presenza nel corpo vivo, il cadavere infatti ne è sprovvisto (ibidem). In tal senso l’affermazione che l’acqua è la base della vita estende il suo significato ad elemento non solo vitale in senso chimico, bensì all’evidenza che la vita stessa e il movimento si esprimono in base alla qualità dinamica e “vitalistica” dell’acqua, qualità in movimento e non presente nel corpo morto. L’associazione più suggestiva che riesco ad evocare di fronte ad un tale prodigio della natura, accosta l’acqua ad un’anima, proprio in virtù di questa sua presenza “animata” e vitalizzante soltanto nel corpo vivo.

La matematica su cui si basa la lettura dei fenomeni biologici dei tessuti, in particolare il collagene, si appoggia su funzioni complesse come la geometria geodesica, sferica e iperbolica, la matematica frattale, la sequenza di Fibonacci e la sezione aurea (1). Le diverse funzioni dell’acqua all’interno dell’organismo e le sue configurazioni frattali all’interno del collagene, tra cui la MCVAS, e delle cellule, presentano caratteristiche sbalorditive e poco conosciute. La sua capacità di assorbire vibrazioni meccaniche su una dimensione macroscopica, elettrostatiche e, più in generale, elettromagnetiche nelle dimensioni dei campi elettromagnetici, conferisce alla fascia salute o perturbazione, in funzione della dimensione e del comportamento delle forze fisiche e in relazione alla capacità dell’acqua di assorbirle. Data la complessità dell’acqua — la sua natura ubiquitaria nell’organismo, le particolarità del suo comportamento tutt’altro che uniforme, sia in senso chimico che strutturale, che vediamo essere legate alle qualità del collagene e le numerose implicazioni che tali fattori determinano, per esempio gli effetti di trasduzione meccano-biologici tra MEC e citoscheletro — ci si propone di trattare l’argomento in ulteriori e più dettagliati contributi.

Da come si può capire da queste brevi generalità, l’architettura mio-fasciale rappresenta un sistema olistico ipercomplesso e interconnesso funzionalmente tra tutte le dimensioni dell’organismo. Per quanto riguarda i differenti modelli teorici di catena muscolare, si è scelto in questa sede di utilizzarne uno classico, che ben si adatta all’osservazione che viene proposta (modello di Struyf-Denis), pur certi che rimane aperta la possibilità di criticare le relazioni che vengono di seguito identificate, precisarle, approfondirle o addirittura smentirle.

La complessità della biologia fasciale e delle relazioni che intrattiene con il sistema delle catene muscolari giustifica le relazioni funzionali reciproche di una catena nei suoi vari distretti e di una catena rispetto all’altra; allo stesso modo queste relazioni biologico-kinesiologiche coinvolgono contemporaneamente tutto il sistema miofasciale e, in sostanza, l’intero organismo; pertanto l’analisi che segue risulta essere un artificio riduzionistico poiché ne isola una parte rispetto al tutto. Sarà limitata a descrivere soltanto la relazione tra substrato e psicofisiologia del segno, inteso quest’ultimo come fenomeno non ancora clinico. Non verranno quindi trattate, in un primo tempo, le compensazioni che potrebbero derivarsi su tutta la catena miofasciale a cui appartiene l’apparato fonatorio, ma solo quelle necessarie a comprendere lo sviluppo del quadro psicologico.

La tenda in cui viviamo

La fascia è parte dell’apparato mesenchimale e, come si è già detto, è ubiquitaria. In tal modo la fascia viene considerata un’unica struttura dotata di continuità anatomo-funzionale e contribuisce a diverse e importanti funzioni, se ne riportano alcune:

a) innanzitutto ha una funzione di sostegno

b) in secondo luogo determina forma e funzione del sistema osteomuscolare, ovvero la sua anatomia e il suo movimento

c) nondimeno contribuisce a raffinare la sinergia dei movimenti ottimizzando il consumo energetico (2) (1).

d) è sede di importanti e fondamentali processi immunitari (fig. 3)

Tradizionalmente, una delle prime funzioni individuate dagli studiosi della fascia, ha riguardato il suo comportamento meccanico. La fascia, infatti, raggruppa funzionalmente gruppi muscolari in lunghe catene o unità funzionali e, in questo senso, stabilisce relazioni di movimento tra muscoli anche molto distanti tra loro, per esempio, muscoli del piede e muscoli del viso.

Tutte queste unità funzionali si “stratificano” nel corpo, dalle più interne alle più esterne e possiedono funzioni statico-dinamiche peculiari in base alle quali, un continuo gioco reciproco di tensione, compressione e ritorno elastico, conferisce alla struttura complessiva la qualità della tensegrità, ovvero la capacità di redistribuzione più economica delle forze, da cui deriva la caratteristica di riutilizzare queste stesse forze nella produzione di ulteriore energia cinetica (6), che in condizione di salute e fisiologico equilibrio miofasciale potremmo così definire energia cinetica “rinnovabile”.

Potremmo paragonare questa stratificazione del sistema miofasciale — utilizzando e modificando una metafora ideata da Ida Rolf — alle vecchie tendine canadesi che, come è noto, possiedono una “stanza” interna e una copertura esterna (figg. 4 e 5). Nella metafora di Rolf la copertura è considerata l’aponeurosi che avvolge il muscolo, ovvero la parte fibrosa della miofascia, mentre la stanza interna rappresenta la massa muscolare che vi è racchiusa.

La metafora che verrà utilizzata in questa sede identifica, invece, la stanza interna (in bianco nella figura 4) nelle catene muscolari più profonde, mentre la copertura (in nero) rappresenta le catene più superficiali. Per gli scopi di questo studio sarà più utile considerare le due strutture come catene muscolari invece che rappresentanti del rapporto tra fascia e muscolo.

La voce di Piero suggerisce che vi sia una distonia tra le tensioni dei vari strati: la muscolatura esterna è forte, tonica e ipertrofica (il telo nero della tenda) rispetto alla muscolatura interna (la stanza interna in bianco) e questo lo si deduce dall’effetto timbrico, che è sintomo di un allentamento della catena muscolare su cui si inseriscono le corde vocali. È come se la tenda di Piero (il corpo intero) si reggesse soltanto per l’effetto dei tiranti esterni, mentre la stanza interna, le catene muscolari interne, sembra essersi afflosciata per motivi ancora sconosciuti, a questo punto dell’osservazione.

Ma in che modo la voce può suggerire questa ipotesi? Il timbro, di qualità baritonale, è caratterizzato dal probabile allentamento delle corde vocali e della catena muscolare di cui fanno parte; ma al tempo stesso non è accompagnato da una sufficiente mobilità del muscolo diaframma, intrappolato dall’eccessiva tensione della muscolatura addominale che conferisce alla sua voce la caratteristica della nasalizzazione. Infatti lo sforzo necessario ad emettere il suono, “spara” a intermittenza flussi d’aria verso l’alto nel tentativo di superare la barriera rappresentata dall’eccessiva tensione dello strato muscolare esterno, che causa l’elevata e costante pressione positiva intraddominale. Questa distonia produce una dissonanza del registro vocale e solleva il quesito sul meccanismo che traduce la funzionalità strutturale psiconeuromuscolare in disagio psicologico ed emotivo. Alle origini della teoria bioenergetica Wilhelm Reich e Alexander Lowen hanno definito questi fenomeni con il nome di “corazza muscolare”.

Questioni di cuore

Comincia a farsi strada quindi l’ipotesi che il timbro vocale di Piero sia sintomo di una scarsa tensione delle catene miofasciali più profonde, oppure di una cattiva distribuzione del tono muscolare lungo queste, tra cui quelle che coinvolgono le corde vocali. Perché allora la sua muscolatura esterna è così dura, mentre quella interna è così ipotonica? E questo cosa ha a che vedere con il dolore che presenta allo sterno?

Per capire quest’ultima distribuzione del tono è necessario comprendere l’intimo collegamento che si stabilisce tra varie strutture anatomiche di questa parte dello strato profondo (la stanza interna della tendina canadese): stiamo parlando, in questo caso, della relazione tra muscoli fonatori, il diaframma (grande muscolo della respirazione) e il cuore (grande muscolo delle emozioni). Il cuore, infatti ha un ruolo diretto nell’influenzare le caratteristiche della voce, come già evidenziato dalla Medicina Tradizionale Cinese, giustificato dal punto di vista meccanico dai complessi collegamenti legamentosi tra l’organo e le strutture vicine (Figg. 6 e 7), tra cui il collo e la gola, ed è proprio qui che l’elemento psichico e l’elemento meccanico si compenetrano. 

Ora immaginiamo il cuore come “un ragno al centro della sua ragnatela”, dal cui centro si dipartono vari “fili” in diverse direzioni. Semplificando ed escludendo dall’osservazione le numerose strutture presenti nel mediastino, potremmo comunque ipotizzare che il dolore sternale possa essere dato in buona misura da un’eccessiva tensione esercitata dai legamenti sterno-pericardici, che dalla faccia anteriore del pericardio (la fascia fibrosa che avvolge il muscolo cardiaco, appartenente alla più ampia fascia viscerale) si dirigono verso l’alto e verso il basso sulla faccia sternale interna (vedi fig.7). Mentre il dolore tra collo e spalla (di cui nel frattempo non ci eravamo dimenticati) è verosimilmente provocato da un’eccessiva tensione esercitata dal legamento vertebro-pericardico, una grossa fascia fibrosa che, a partenza dal diaframma, costeggia il pericardio, si protende verso l’alto confluendo infine nella fascia (aponeurosi) delle vertebre cervicali.

Non dobbiamo pensare a questi dolori come il risultato di azioni di tensioni muscolari dirette, ricordiamo infatti che i legamenti non possiedono fibre contrattili ma solo connettive, seppur dotate di una certa elasticità, possiedono dunque la caratteristica di potersi accorciare o allungare limitatamente nel tempo, se immobilizzate nel primo caso o se stimolate da una trazione ripetuta nel secondo. La stessa sorte è riservata alla fascia connettivale-fibrosa. Dobbiamo pertanto considerare questi sintomi algogeni come il risultato di azioni indirette, mediate dal movimento involontario dei muscoli che partecipano alla catena muscolare, tra cui risulta essere molto importante il muscolo cardiaco, che esercita un’azione costante e ritmica, che potrebbe a sua volta essere perturbata nella sua dinamica da stressor e adattamenti dettati dal Sistema Nervoso Autonomo (SNA), come ben spiegato dalla Teoria Polivagale (Porges 2001) (7).

L’anatomia della fascia è complessa e affascinante e per chi volesse approfondirla si rimanda a testi specialistici citati in bibliografia, ma si deve ricordare ancora una volta che le fasce fibrose del corpo sono in realtà un’unica fascia connettiva continua e interconnessa e contenente tutte le strutture del corpo umano, che descrive anatomicamente e funzionalmente proprio l’espressione più semplice e diretta dell’unità psicosomatica che in tante direzioni viene teorizzata.

Il cuore per mezzo della sua fascia fibrosa (pericardio) ha una forte adesione inferiore al grosso legamento freno-pericardico che lo rende solidale al diaframma e ai suoi movimenti, quindi ai movimenti del centro frenico in particolare, la parte fibrosa del diaframma, che presenta un comportamento meccanico peculiare per il quale si rimanda a testi specialistici (vedi fig. 6 e 7), al tempo stesso l’apparato fasciale interno, denominato fascia viscerale, avvolge in continuità tutte le strutture mediane e viscerali del corpo: a partenza dalla base del cranio, si protende sulle vertebre cervicali, verso il basso ad avvolgere il mediastino, quindi il cuore, attraversa il diaframma con l’aorta e l’esofago e infine avvolge i visceri addominali, fino a delimitare il pavimento pelvico.

Che cosa ha a che fare quindi il cuore con la voce che Piero ha costruito negli anni? Con l’andamento meccanico del suo respiro? Con la tensione muscolare e con i sintomi psichici a cui si collega? La continuità anatomo-funzionale della fascia potrebbe essere alla base della risposta, degli adattamenti timbrici e del loro colorito affettivo. Succede a tutti che in momenti in cui si è emozionati si “attorciglino” le corde vocali, per esempio mentre si parla in pubblico per la prima volta; oppure di subire un repentino e inspiegabile calo della voce poco prima di un esame o prima di una dichiarazione d’amore? Si può ipotizzare che l’emozione governi il timbro, l’altezza, il volume e la fluidità del nostro parlare attraverso un meccanismo psico-neuro-muscolo-fasciale complesso e raffinato, che verrà definito meglio durante la composizione dell’architettura dei problemi di Piero.

Verso un orizzonte integrato

A questo punto dell’osservazione, il primo tassello necessario ad un inquadramento del caso comincia a delinearsi. La lettura del corpo rivela i suoi primi indizi; procedendo su questa strada e in successivi incontri sarà necessario completarla sulla base dell’osservazione del movimento, della eventuale somministrazione di test psicodiagnostici rivolti allo studio della personalità e del colloquio clinico, che è il vero collante tra tutti questi tasselli del mosaico personale di Piero.

Più procede il confronto più emerge il sospetto che i sintomi psichici si siano soltanto “spostati”, attraverso un forte controllo muscolare delle parti più superficiali del corpo, ovvero dalla muscolatura scheletrica volontaria, verso strati più profondi, all’incrocio tra muscolatura volontaria e involontaria, lasciando a sentinella la rigidità della muscolatura esterna e il dolore somatico. Ricordiamo che il cuore è un muscolo involontario, mentre i muscoli laringei sono muscoli prevalentemente volontari, sebbene sottoposti ad elevato automatismo; il diaframma, a sua volta, è un muscolo volontario che funziona sotto una predominante attivazione “automatica”. La rigidità muscolare potrebbe svolgere, in questo caso, la funzione di sostenere meccanismi di difesa psichici come la rimozione, l’isolamento dell’affetto e la negazione: i primi due meccanismi, attraverso l’irrigidimento degli strati muscolari, potrebbero desensibilizzare la superficie del corpo e la pelle, impedendo a Piero di percepire liberamente emozioni e sensazioni; il secondo si erge in opposizione, azione svolta dal cuore e dall’iperattività, a qualsiasi coinvolgimento negli affetti, che diversamente potrebbero emergere e farsi sentire attraverso un’attività di decantazione del tempo vissuto e attraverso i contatti fisici ed emotivi con gli altri. Una eccessiva cerimoniosità e la compulsione ad una gratitudine inautentica, rappresentano la formazione reattiva dell’opposizione, dissimulata seppur riconosciuta e pur sempre agita, da parte di Piero, per esempio con leggere ma continue violazioni del setting. Queste difese evitano, tutte insieme, di vedere e sentire la propria sofferenza psicologica e raggiungere la spiegazione sulle cause (alexitimia). A sentinella di questi bastioni difensivi psicologici, come si è detto, rimane il dolore somatico.

Nel momento in cui l’osservazione incontra questa prima distonia tra strati superficiali e strati profondi, dove i secondi presentano un comportamento opposto ai primi, risulta abbastanza chiaro che la forte tensione muscolare esterna permette a Piero di sopportare forti stati di ansietà e opporre un’immagine di sé affabile e seduttiva, che si appoggia sul meccanismo della formazione reattiva di cui si è accennato pocanzi e che funge da barriera psicologica nei confronti del mondo esterno al suo corpo. In tal senso non è difficile intuire che la sua “posa” quasi teatrale enfatizza una parte difensiva dell’Io. La posa, tuttavia, richiede il prezzo del persistente blocco respiratorio, della cattiva distribuzione del tono muscolare e di una sinergica alterazione della funzione miofasciale-connettivale generale.

Seguendo il ragionamento fin qui fatto siamo condotti a considerare le possibili implicazioni di tale architettura psicosomatica sulla personalità di Piero domandandoci in che modo la struttura difensiva miofasciale abbia attaccato e disequilibrato la formazione della personalità. Va concesso, in questo caso, al termine “struttura di personalità” l’isomorfismo tridimensionale tra dinamica psicologica di adattamento, sostegno centrale dell’unità psicosomatica e strutture osteo-muscolari, coordinate e contenute dal collagene fasciale. Si deve ipotizzare allora che le stesse strutture psicologiche di sostegno subiranno aggressioni e disfunzioni isomorfiche alla mancanza di sostegno fisico-meccanico centrale. La storia dei traumi psicologici dell’infanzia e lo sviluppo di patologie organiche, come si vedrà, procede per mezzo di un tempismo preciso.

L’ipotesi risiede nel fatto che, allo stesso modo degli adattamenti inconsci del complesso psico-neuro-muscolo-fasciale, la personalità stessa si travesta appoggiandosi su questa apparenza di forza esterna, ma soffrendo in realtà aspetti di forte strain (sforzo-conflitto) nel rapporto tra interno ed esterno, che con il tempo potrebbero portare a debolezza, ipotonia anche degli strati più superficiali della muscolatura, stanchezza e, dopo l’ansia, a momenti di calo del tono dell’umore, qualora la muscolatura esterna incrini il suo controllo o apra delle falle, per esempio attraverso il dolore somatico o disfunzioni.

Lo squilibrio così evidente nel timbro e nell’altezza della voce impedisce alla vera espressione vocale di emergere, essendo questa obbligata dal controllo attivo, per quanto inconscio, a sottostare ad una rigidità misurata, iperattiva, limitante e ingannevolmente flemmatica. Ovviamente tutto ciò ha un costo elevatissimo in termini di carico allostatico e di consumo energetico.

È stata necessaria quasi tutta l’ora di colloquio perché Piero si rilassasse leggermente al livello dello strato miofasciale più esterno, trasferendo in tal modo una piccola quota di energia alle catene interne, e questo gli ha permesso di acquistare tono e sinergia portandolo ad emettere una vocalità un po’ più vicina alla sua frequenza naturale, certamente non quella del baritono, bensì quella del tenore.

Riepilogo

Ricomponiamo il quadro:

  1. 1. forte tensione esterna prevalentemente addominale e della catena muscolare corrispondente (Anteriore — mediale, fig. 8).

  2. 2. Bassa tensione interna, tuttavia disseminata: forte tensione diaframmatica, ridotti movimenti toracici, forte tensione alle strutture muscolari e fibrose di collo e sterno (dolore) e delle catena muscolare corrispondente (Anteriore — posteriore, fig. 9).

3. Scarsa sinergia cardioventilatoria, dove per questa si intende l’azione sinergica che il movimento del diaframma compie sulle fasi muscolari della pompa cardiaca.

4. Risultato: allentamento della tensione muscolare laringea a causa dell’architettura mifasciale e legamenentosa globale che produce, dolori e comportamenti caratteristici, quali il dolore retrosternale e cervicale e risponde alla necessità di adottare una difesa psicologica, emotiva e comportamentale che possiamo genericamente definire di tipo ansioso.

 

Manca un ultimo importante tassello che verrà chiarito nelle pagine che seguono e risponde alla seguente domanda: se l’attività delle catene muscolari più superficiali è tendenzialmente in eccesso e ostacola la funzione ventilatoria diaframmatica, secondo quale risposta fisiologica e psicologica la laringe produce una voce baritonale, espressione di ipotonia del comparto neuromuscolare vocale? Avrei risposto volentieri al quesito se Piero me ne avesse dato il tempo, ma pur riconoscendosi nella parziale lettura, che in un solo incontro eravamo riusciti a ricostruire, gli impegni di studio non gli permisero di affrontare un ulteriore percorso psicoterapeutico.

Tre anni dopo

Piero ritorna dopo circa tre anni, mi chiede un colloquio, questa volta direttamente psicologico. Nel tempo che mi separa dall’appuntamento si formano in me inevitabili previsioni e congetture su quale tipo di sviluppo avrebbe potuto assumere il quadro che avevo già tracciato. Innanzitutto si poteva presumere che quanto osservato ad un livello segmentario miofasciale (cuore e voce) avrebbe potuto manifestare i suoi effetti su scala più estesa. In effetti le osservazioni successive, che qui riporto, hanno confermato l’ipotesi. Se in un primo momento si è parlato della possibilità che l’asse portante dell’organismo, sulla base della tensione eccessiva della corazza muscolare esterna, avrebbe potuto indebolirsi fino a manifestare effetti, ecco che la previsione ha mostrato una sua coerenza.

Al colloquio Piero riporta problemi gastroenterici esorditi da circa un anno, che si manifestano come aerofagia, blocchi digestivi (“come se il cibo rimanesse bloccato”), per i quali si è rivolto per due volte al Pronto Soccorso; borborigmi, colite, scariche diarroiche improvvise e dolore addominale. Il medico formula tre diagnosi: Allergia crociata ad alcuni alimenti; Sindrome dell’Intestino Irritabile (SII); Stato ansioso reattivo con note ipocondriache. Dalle prove allergiche viene evidenziata allergia agli acari e alle graminacee, mentre le allergie alimentari non escludevano cibi di largo uso, eccezion fatta per i grani, le farine più comuni e i latticini, e questo avrebbe consentito a Piero un’alimentazione abbastanza ricca.

Riferisce che questa sintomatologia ha avuto inizio in prossimità del termine del corso di studi, frequentato fuori sede, quando sarebbe dovuto tornare alla sua città di origine in una situazione familiare caratterizzata dalla recente separazione dei genitori. Oltre a questo si sarebbe dovuto inoltre allontanare fisicamente dalla fidanzata, con la quale si frequentavano da un paio di anni, seppur felice di tornare nella sua città. Emergono i primi elementi di conflitto.

I sintomi gli procurano forte disagio, limitazioni, angoscia e interferenze significative nella vita sociale. La relazione tra i sintomi e l’asse centrale dell’organismo può essere apprezzata soltanto se distogliamo l’attenzione dall’apparato osseo e rinunciamo a considerare la colonna vertebrale come struttura di sostegno passivo, avocando questa funzione alle strutture fasciali viscerali di addome e torace, in reciproca relazione pressoria e meccanica, le quali esercitano la loro azione sul mantenimento della stazione eretta, attraverso la tensione delle fasce sierose che le racchiudono (fig.10).

Lo specialista prescrisse una cura farmacologica che comprendeva 10 farmaci diversi tra antiallergici per il trattamento dell’asma; farmaci antiulcera e antireflusso; lactobacillus; Levocetirizina dicloridrato, un principio antiallergico e antistaminico; budesonide, un corticosteroide indicato soprattutto per il Morbo di Chron agli stadi iniziali; due nutraceutici per il trattamento della SII; un antiallergico intestinale; una benzodiazepina e, per concludere, un lassativo.

Oltre all’impressione che tale prescrizione fosse eccessiva saltano all’occhio alcune curiosità, per esempio la compresenza di farmaci lassativi e astringenti, forse giustificati da sintomi come coprostasi e diarrea; come anche la compresenza di farmaci per il trattamento dell’asma e dei disturbi enterici; in sostanza per ogni sintomo un farmaco. Nessuna domanda sulle cause. In sostanza a tre diagnosi la cura risponde con tre o più cure farmacologiche. Tuttavia, in maniera del tutto fortuita il protocollo inciampa in un’associazione: la relazione tra sintomi polmonari e sintomi intestinali, pur non possedendo le chiavi per scorgerla e interpretarla.

Se volgiamo l’attenzione alla Medicina Tradizionale Cinese possiamo scoprire come questo legame sia preciso e come possa spiegare l’associazione dei sintomi di Piero. La diagnosi medica appronta un’aggressione al sintomo che desta preoccupazione per gli effetti citotossici che potrebbe indurre, oltretutto in assenza di positività a tutti gli esami di laboratorio, un recente ecocardiogramma ha ribadito l’assenza di problemi al cuore. Inoltre non risolve la flogosi mucosale che sembra essere diffusa dal cavo orale fino alle ultime vie intestinali.

L’anamnesi patologica remota rivela altri elementi di interesse. All’età di 4 anni Piero viene ricoverato per ipertransaminasiemia; sempre all’età di 4 anni contrae un’enterite da Campilobacter jejeuni; nuovamente; all’età di 7 anni contrae la salmonellosi; in seguito…benessere, recita il referto medico.

Tuttavia questa sequenza di affezioni potrebbe aver stabilito una vulnerabilità mucosale che spiegherebbe l’estensione e la continuità delle interazioni tra fascia e connettivo, su tutto il percorso che abbiamo già identificato e che verrà precisato meglio nel seguito.

Anamnesi psicologica

Accettato il contratto terapeutico e il setting, iniziamo le sedute. Piero rivela di aver avuto in passato, durante l’adolescenza, fantasie ossessive a sfondo masochistico che, come anticipato, aveva affidato alle cure di due interventi psicoterapeutici. Nessuno dei due fu abbastanza approfondito, ma risultarono comunque sufficienti a rassicurarlo e a permettergli di dimenticarsi del problema, effetto che ha determinato, a mio avviso, lo spostamento dei sintomi ad un livello ulteriore di profondità. Sia a seguito di questi due tentativi terapeutici purtroppo brevi, sia della rassicurazione e del relativo acquietamento sintomatologico, il ragazzo si sentì sicuro di procedere nel suo percorso di vita. Al tempo stesso non vennero portati a sufficiente discussione elementi come l’iperattività, l’ossessione per il corpo magro e iperatletico e l’adesione ad un modello stereotipico di “uomo da copertina”, che tutt’ora ha forte presa su di lui.

Nell’evoluzione del suo carattere le ossessioni erano migrate dalla colpa al corpo, che nella sua prestanza e rigidità avrebbe potuto sostenere il peso di tale preoccupazione rimossa. L’elemento edonico risolveva in un sol colpo la necessità egosintonica, allontanando il problema della colpa e delle fantasie masochistiche. Tuttavia il tributo necessario a tale rimozione, necessariamente elevato, consisteva nella pietrificazione del corpo in un modello ideale, seppure in contrasto con l’elevata vitalità e attività, ulteriore elemento di conflitto (implosione), che avrebbe espresso durante tutto il ciclo universitario, durante il quale si è impegnato in studio e lavoro serale con notevole efficacia prestazionale ed enorme dispendio energetico.

Anche la vita amorosa, dopo intensi slanci iniziali, ha stentato a ritrovare motivazione e calore. Ha da sempre avuto di sé un’idea di onnipotenza, convalidata dalla cura e dalla ricerca di un fisico scultoreo, al tempo stesso ogni difficoltà di relazione o di vita scatena in lui la paura di avere una qualche malattia, per cui intraprende ricerche ossessive sul web e formula congetture pessimistiche. Ad oggi Piero dice che deve occupare freneticamente tutto il tempo che ha a disposizione. Il sonno non è continuo, si sveglia anticipatamente per urinare (faticando poi a riaddormentarsi) e dice di trarre molta energia dall’ascolto in cuffia di musica hard rock ad alto volume.

Sembra, quindi, che nel momento della prima scelta vera di vita, il sistema che abbiamo tracciato finora sia crollato sotto la spinta dello sforzo e delle caratteristiche psicosociali del suo ambiente, contrassegnato dalla separazione dei genitori e dall’abbandono della ragazza, ma soprattutto ha rinforzato il meccanismo di rimozione alla base di questa architettura. La scelta si è condensata tra il rimanere fuorisede e continuare la relazione con la ragazza oppure ritornare presso la casa paterna mettendola a rischio, ma godendo, al tempo stesso, del proprio ambiente familiare e sociale. La seconda ha preso il sopravvento, scatenando la sintomatologia gastrointestinale.

Ulteriori elementi e sviluppi diagnostici

Avevo ipotizzato che la parte interna della tenda avrebbe collassato, sulla base del meccanismo respiratorio. Alla sintomatologia si aggiungono ricorrenti riniti e infiammazioni delle mucose nasali, che come abbiamo visto risalgono già alla prima infanzia e che oggi vengono giustificate su base allergica. Rispetto a queste ha l’idea che dipendano da una deviazione del setto nasale, che risolverebbe sottoponendosi ad un intervento chirurgico per aggiustare i turbinati. Al tempo stesso afferma che durante un breve soggiorno in una località di mare il fastidio e le infiammazioni alle mucose erano scomparse. Riferisce di un lungo periodo tra i 14 e i 18 anni in cui non ha risentito di problemi alle mucose, fino ad un esordio allergico proprio a quest’età, con lacrimazione e riniti ricorrenti. Si può scorgere un parallelismo tra rimozione dei sintomi psichici e remissione della sintomatologia respiratoria, potremmo ipotizzare infatti che la concomitanza con i pregressi interventi psicoterapeutici abbia favorito la scomparsa apparente dei sintomi respiratori. Lo spostamento, di cui avevamo ipotizzato la dinamica in precedenza, ripresenta ciclicamente quadri clinici sempre di maggior gravità e a livelli di profondità successivamente più impegnativi, sempre in momenti di grandi cambiamenti nel ciclo di vita. Nel caso delle allergie è il sistema immunitario che ha dato segnale ad un livello di organizzazione più complesso e profondo, verso la fine delle scuole superiori, mentre nel caso della polmonite o di una infezione, la capacità organizzativa della risposta è ancora in grado di circoscrivere gli effetti di una risposta ad un patogeno da parte di un organo, localizzando e limitando, in un certo senso, l’interessamento dell’organismo al solo organo.

A questo punto per poter comprendere i sintomi dobbiamo esplorare il seguito della catena miofasciale, per come si estende verso il basso, formulando una seconda ipotesi generale: il collasso della parte interna della tenda e le sue ripercussioni sulla fascia viscerale hanno determinato le disfunzioni gastroenteriche ed è alla base dei sintomi rinofaringei, sulla base di una flogosi mucosale diffusa in continuità con la fascia viscerale. Il meccanismo sul quale si è verosimilmente definita tale sintomatologia potrebbe nutrirsi, in una sorta di circolo vizioso, di alcuni fattori:

  1. della risposta fasciale alla rigidità muscolare esterna e al pattern respiratorio inefficiente,

  2. della risposta ansiosa,

  3. della ricerca ossessiva di cure risolutrici e della delega, che suscita la iatrogenesi,

  4. ma anche della mancanza di comunicazione tra corporeità e risposta ansiosa.

Per poter comprendere meglio le relazioni tracciate nella prima parte di questa analisi consistenti nella dissonanza tra timbro baritonale e eccessiva tensione muscolare in alcune catene muscolari, si deve introdurre un ampliamento dell’osservazione, ricordando ancora una volta che si sta operando una riduzione del campo della risposta di adattamento allo stress, che è sempre globale su tutte le dimensioni fisiopatologiche dell’organismo.

Per quanto riguarda il timbro vocale l’ipotesi si appoggia sul fatto che la sinergia tra catene muscolari, in particolare tra l’Anteriore–Mediale (fig. 8) e l’Anteriore–Posteriore (fig. 9), possa determinare ipomobilità diaframmatica, costrizione cardiaca e tensione eccessiva dei muscoli cervicali, in stretta contiguità con i muscoli laringei e rinofaringei. Su questo pattern cronico si stabilisce l’adozione di un comportamento ipermisurato, caratterizzato da seduzione, che si appoggia su un timbro vocale di bassa frequenza e sull’allentamento selettivo delle corde vocali. L’adozione cronica di un pattern respiratorio, che potremmo definire costrittivo, può essere causa delle conseguenze sintomatologiche descritte da Piero. La limitazione della meccanica respiratoria, oltre ad una riduzione di tensione della parte intima della catena Anteriore–Mediale (ricordiamo la metafora della tenda canadese), può produrre ristagni di materiale batterico e virale nelle alte vie respiratorie provocando i disturbi ricorrenti della mucosa nasale e le difficoltà respiratorie, come anche una difficoltosa peristalsi intestinale, innanzitutto su base meccanica. Oltre a ciò la continuità miofasciale tra fascia pericardica e peritoneo, con il suo portato infiammatorio, autorizza a pensare alla concatenazione sintomatologica tra sintomi osteomuscolari, come la cervicalgia, i sintomi intestinali e il circuito dell’ansia, quest’ultimo sulla base di un errato meccanismo interpretativo dei sintomi. Infine, alla base dei sintomi intestinali si potrebbe intravedere un meccanismo infiammatorio di contiguità, tra fascia dell’ileopsoas e intestino (fig. 9).

Il diagramma in figura 11 esemplifica il circuito patogenetico che è stato possibile trarre dalla valutazione della storia clinica e del quadro ricostruito insieme a Piero. Al contempo, seguendo i principi della Medicina Tradizionale Cinese è possibile tracciare il diagramma che illustra le due leggi funzionali principali della fisiologia dell’organismo (4).

Identifichiamo, nella direzione, esterna l’origine e la riproduzione (legge della produzione) della disfunzione, secondo un rapporto fenomenologico di alimentazione diretta di un passaggio rispetto al successivo, che da un certo punto della vita ha assunto una circolarità che ne confonde l’origine; mentre nel diagramma interno identifichiamo il controllo, ovvero l’inibizione che ogni elemento, divenuto patologico, esercita sul suo diretto. In tal modo risulta chiaro che il blocco respiratorio (a), il quale potrebbe instaurarsi in fasi molto precoci dello sviluppo, peraltro identificabili sia nell’anamnesi che nella narrazione, influenzi la rigidità miofasciale (b); proprio questa, a causa della sua qualità costrittiva, suscita l’angoscia (c), come evidenziato nella prima parte del caso, in cui l’angor si era presentato come il sintomo principale che lo aveva portato a visita; così l’angor, inteso come segnale di stress fasciale interno e dell’organo cardiaco, può aver influenzato lentamente il “collasso” miofasciale interno (d), che al punto in cui siamo oggi si è esteso alle sierose peritoneali, le quali condizionano direttamente attraverso la fascia interna dell’ileopsoas, la funzionalità del colon; infine la ricerca spasmodica di una soluzione medica e farmacologica, esteriorizza il locus of control del problema ed evita di situare percettivamente e psicologicamente tale circolarità (e), rinforzando nuovamente i sintomi e il blocco respiratorio, attraverso lo sviluppo d’ansia di malattia e perpetuando il circuito a oltranza.

Il diagramma interno (legge del controllo), dove il controllo deve essere inteso come inibizione, evidenzia come ogni passaggio riproduttivo sia in grado di tenere sotto scacco, in altri termini diremo “contiene”, il suo diretto interessato in un equilibrio tuttavia patologico, che per mantenersi necessita di spostare crescenti quote di investimento sul corpo, sia psicologicamente sia energeticamente, sottraendole alla consapevolezza, fino a che il sistema regge ovvero fino a che si manifesta uno dei sintomi all’interno del circuito. In questo caso il sintomo può essere respiratorio, intestinale o psicologico, o tutti insieme. La base psicologica di questo circuito è la rimozione e procede da tempi remoti secondo alcune peculiarità:

  1. Il blocco respiratorio inibisce la percezione dell’angoscia (rimozione della percezione dell’angustia del respiro)

  2. L’inibizione dell’angoscia determina lo spostamento del locus of control all’esterno (iatrogenesi, sulla base della rimozione che il problema sia interno)

  3. La iatrogenesi inibisce livelli insopportabili di rigidità muscolare (sulla base dell’effetto dei farmaci ansiolitici e della assunzione di farmaci in generale, ma ancor prima sulla base dell’atteggiamento di delega o dei “sistemi di conforto” e riparazione del sé che ha escogitato nel corso dello sviluppo dello stile di attaccamento)

  4. La rigidità muscolare delle catene esterne (comunque parossistica) compensa il “collasso” del sistema miofasciale interno, che non essendo più in grado di fornire un sostegno dinamico basato sui volumi del tronco, sopperisce completamente alla tenuta della struttura su un equilibrio tuttavia rigido e poco adattabile. Questo adattamento modifica il ruolo dinamico della colonna vertebrale, che soffre da quando è molto piccolo e anche i diversi fenomeni meccano-biologici a carico dei tessuti connettivo e muscolare, con la conseguenza di sviluppare dolore e disfunzioni respiratorie-gastro-intestinali.

  5. Infine il collasso del sistema miofasciale interno inibisce la possibilità di espandere la respirazione sulla base della retrazione e infiammazione cronica, che ha influenza diretta sulla mobilità respiratoria, perpetuando il circolo vizioso del controllo.

Conclusioni

In questa analisi si è cercato di mostrare l’architettura funzionale, dinamica e progressiva della genesi di un problema psicologico, in termini quindi volutamente generali. La scarsa definizione psicodiagnostica ha soddisfatto alcuni criteri: il primo riguarda l’intenzione di tratteggiare una psicogenesi sistemica, ove l’aspetto somatico non è né base né effetto bensì consustanziale; il secondo riguarda l’intenzione di de-diagnosticare, nel senso che una tale configurazione avrebbe potuto portare ad esiti molto differenti, a seconda delle esperienze, delle traiettorie di sviluppo, delle figure di sostegno nel campo familiare ed esterno, delle circostanze in cui confluivano gli accidenti, gli adattamenti e la stessa sorte, senza che queste alternative configurino una diagnosi precisa e irreversibile, che implicherebbe la supremazia di un dominio, come accade nell’approccio terapeutico seguito dalla cura farmacologica, che esclude lo psichico, ma al tempo stesso lo afferma contraddittoriamente nella prescrizione dell’ansiolitico e comunque lo separa funzionalmente dall’aspetto somatico. In tal modo si include la persona nella categoria diagnostica, per quanto indefinita e ampia, della nevrosi o dell’isteria. Avallando la generalizzazione diagnostica medica si sottrae la persona alla possibilità di considerare il suo soffrire un problema di tipo esistenziale e morale, lo si priva della possibilità di sentire il suo funzionamento e scoprire le sue difese, di conoscere il suo corpo e i suoi adattamenti e lo si consegna nelle mani di una psichiatria e di una medicina miope, quando non proprio nelle mani della chirurgia, allontanandolo dalla scoperta della sua sofferenza (10).

Gli sviluppi tematici che da questa analisi possono fiorire sono diversi: il primo riguarda la relazione tra sistema miofasciale, immunità e salute psicologica; il secondo riguarda il percorso terapeutico che può seguire da una tale lettura psicodiagnostica e il terzo, più teoretico, riguarda la definizione tra configurazioni psiconeuroimmunoendocrine e adattamenti psicologici difensivi, qualora fosse possibile delinearli.

Spero, con questa analisi, di aver dato un piccolo contributo alla spinta che da più parti viene apprezzata e auspicata, che è quella di superare la medicina del sintomo a favore di una medicina delle cause, le più inclusive e sistemiche che la capacità del pensare scientifico possa immaginare, una medicina che prevenga e non rincorra persecutoriamente i segni isolati dei fenomeni che incontra e che ineffabilmente non riesce a ricondurre all’interno della loro complessità strutturale. Questo è l’augurio: abbracciare campi di complessità via via più ampi e disarmare una medicina ostile all’uomo, riportandola alle sue origini etiche più vere e profonde.


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