SINDROME DI ASPERGER: CARATTERISTICHE, NOVITÀ DIAGNOSTICHE E DIFFERENZE CON L’AUTISMO.


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Il seguente articolo si propone di presentare e descrivere la Sindrome di Asperger, le sue caratteristiche, la sua incidenza e le sue differenze con l’autismo ad alto e basso funzionamento. L’obiettivo è quello di stimolare e trasmettere conoscenze riguardo a tale sindrome, approfondire i suoi aspetti più complessi ed eterogenei che rendono anche la sua diagnosi complessa e ben lontana dalla concezione che si ha dell’autismo, riflettendo sulle innumerevoli sfumature con le quali tale condizione possa assumere.

Definizione

La definizione di Sindrome di Asperger trova le sue radici nell’Austria degli anni ‘40, epoca in cui uno psichiatra, il dott. Hans Asperger stava conducendo uno studio su un gruppo di bambini e bambine con importanti livelli di disadattamento presso il Reparto di pedagogia curativa della Clinica pediatrica dell’Università di Vienna; è un’epoca in cui la diversità di quei bambini poteva essere considerata un problema nei paesi del Terzo Reich. Il dott. Hans in seguito a sue attente analisi rispetto anche alla diversità in cui si manifestavano tali comportamenti, definì tale quadro clinico come “psicopatie autistiche” (Czech, 5, 2019). In realtà, solo nel 1981 venne utilizzata la designazione di Asperger Syndrome per definire un quadro dell’autismo molto più complesso e lontano dai criteri diagnostici a cui ci si riferiva nella pratica clinica. La psichiatra inglese Lorna Wing, infatti, evidenziò (115, 1981) come alcuni suoi pazienti avessero caratteristiche affini con i bambini dello psichiatra viennese e non rientrassero nei criteri diagnostici riferiti all’autismo presentati e definiti da Kanner. Fu proprio grazie a tale articolo che si popolarizzò tale definizione, la disparità e le numerose denotazioni dell’autismo, suscitando l’interesse di psichiatri e psicologi per le osservazioni di Hans Asperger, fino a quel periodo accantonate. Fu proprio grazie alla testimonianza clinica della Wing che si parla di individui con un “high” livello di intelligenza, di abilità in alcune aree di interesse (per es. scienze o matematica): si menziona, dunque, la presenza di una forma di autismo ad alto funzionamento. Dopo un decennio, nel 1991, la ricercatrice Uta Frith traduce e pubblica gli articoli di Hans Asperger, tale designazione continua la sua scalata e ad insediarsi nelle osservazioni cliniche. Sono gli anni ’93 e ’94, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Associazione Americana di Psichiatria includono nelle loro pubblicazioni la Sindrome di Asperger, la quale, con l’avvento del DSM-IV, rientra ufficialmente nei Disturbi pervasivi dello Sviluppo.

Designazione clinica attuale.

Con l’avvento del DSM-5 vi sono stati importanti cambiamenti rispetto alle definizioni di autismo e di disturbi; in primo luogo si è fatto a meno delle sottocategorie diagnostiche di “disturbo pervasivo dello sviluppo” sostituendole con quello di “disturbo dello spettro autistico”. L’aspetto centrale di tale novità sta nel riconoscere il valore dimensionale di tale nozione e, soprattutto che i diversi sottogruppi dei disturbi pervasivi dello sviluppo non possono essere differenziati tra loro in modo assoluto ed attendibile (Lai et al., 2, 2013). Infatti a sottolineare l’abbandono dello sguardo categoriale è stata proprio l’eliminazione dei vari sottotipi di autismo quali: il disturbo pervasivo dello sviluppo NAS, disturbo disintegrativo, sindrome di Rett ed infine anche la stessa sindrome di Asperger, la quale attualmente nel manuale rientra nel disturbo dello spettro autistico ma con un livello di gravità differente.

Per Sindrome di Asperger si intende un grave disturbo dello sviluppo caratterizzato da difficoltà importanti nell’interazione sociali e da schemi limitati ed inusuali di interessi e di comportamento ma non presenta compromissione intellettiva e linguistica.

Di seguito vengono riportati i criteri diagnostici del DSM-5 rispetto al disturbo dello spettro autistico:

Criteri diagnostici per il disturbo dello spettro autistico secondo il DSM-5 (57-58, 2013)

A. Difficoltà persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti, come manifestato dai seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato (gli esempi sono esplicativi, non esaustivi):

1. Difficoltà della reciprocità socio-emotiva, che vanno, per esempio, da un approccio sociale anomalo e dal fallimento della normale reciprocità della conversazione, a una ridotta condivisione di interessi, emozioni o sentimenti; all’incapacità di dare inizio o di rispondere a interazioni sociali.

2. Difficoltà dei comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l’interazione sociale, che vanno, per esempio, dalla comunicazione verbale e non verbale scarsamente integrata; ad anomalie del contatto oculare e del linguaggio del corpo o difficoltà della comprensione e dell’uso dei gesti; a una totale mancanza di espressività facciale e comunicazione non verbale.

3. Difficoltà dello sviluppo, della gestione e della comprensione delle relazioni, che vanno per esempio, dalle difficoltà di adattare il comportamento per adeguarsi ai diversi contesti sociali; alle difficoltà di condividere il gioco di immaginazione o di fare amicizia; all’assenza di interesse verso i coetanei.

Specificare la gravità attuale:

Il livello di gravità si basa sulla compromissione della comunicazione sociale e sui pattern di comportamento ristretti, ripetitivi (vedi Tabella 2)

B Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi, come manifestato da almeno due dei seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato (gli esempi sono esplicativi, non esaustivi, si veda il testo):

1. Movimenti, uso degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi (per es. stereotipie motorie semplici, mettere in fila i giocattoli o capovolgere oggetti, ecolalia, frasi idiosincratiche).

2. Insistenza nella sameness (immodificabilità), aderenza alla routine priva di flessibilità o rituali di comportamento verbale e non verbale (per es. estremo disagio davanti a piccoli cambiamenti, difficoltà nelle fasi di transizione, schemi di pensiero rigidi, saluti rituali, necessità di percorrere la stessa strada o mangiare lo stesso cibo ogni giorno).

3. Interessi molto limitati, fissi che sono anomali per intensità o profondità (per es., forte attaccamento o preoccupazione nei confronti di oggetti insoliti, interessi eccessivamente circoscritti o perseverativi).

4. Iper – o ipoattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell’ambiente (per es. apparente indifferenza a dolore/temperatura, reazione di avversione nei confronti di suoni o consistenze tattili specifici, annusare o toccare oggetti in modo eccessivo, essere affascinati da luci o da movimenti).

Specificare la gravità attuale:

Il livello di gravità si basa sulla compromissione della comunicazione sociale e sui pattern di comportamento ristretti, ripetitivi (vedi Tabella 2).

C I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo (ma possono non manifestarsi pienamente prima che le esigenze sociali eccedano le capacità limitate, o possono essere mascherati da strategie apprese in età successiva).

D I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

E. Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) o da ritardo globale dello sviluppo. La disabilità intellettiva e il disturbo dello spettro autistico spesso sono presenti in concomitanza: per porre diagnosi di comorbilità di disturbo dello spettro autistico e di disabilità intellettiva. Il livello di comunicazione sociale deve essere inferiore rispetto a quanto atteso per il livello di sviluppo generale

Dunque la novità che presenta il nuovo manuale diagnostico, a parte quelle sopra citate rispetto ai sottotipi di autismo, concerne il passaggio da 3 dimensioni diagnostiche a 2 (infatti al principio la dimensione sociale e comunicativa non erano accorpate in una sola voce) e l’introduzione di un’ulteriore tabella che verrà riportata qui di seguito, la quale evidenzia come vi siano diversi livelli di compromissione ai quali corrispondono chiaramente diverse e molteplici risorse dell’individuo; dunque ad ogni livello il clinico elaborerà un tipo di intervento e supporto differente e specifico, contando dell’eterogeneità e dei molteplici volti che un quadro clinico può racchiudere al suo interno. A tal proposito il DSM chiarisce che il livello di gravità non dovrebbe essere impiegato per erogare servizi e l’idoneità dell’individuo ad accedervi, in quanto è sempre importante definire gli obiettivi individuali del soggetto.

TABELLA 2 Livelli di gravità del disturbo dello spettro autistico (DSM-5, APA, 60, 2013)

Livello di gravità

Comunicazione sociale

Comportamenti ristretti, ripetitivi

Livello 3

E’ necessario un supporto molto significativo”

Gravi difficoltà delle abilità di comunicazione sociale verbale e non causano gravi compromissioni del funzionamento, avvio molto limitato delle interazioni sociali e reazioni minime alle aperture sociali da parte di altri. Per esempio, una persona con un eloquio caratterizzato da poche parole comprensibili, che raramente avvia interazioni sociali e, quando lo fa, mette in atto approcci insoliti solo per soddisfare esigenze e risponde solo ad approcci sociali molto diretti

Inflessibilità di comportamento, estrema difficoltà nell’affrontare il cambiamento, o altri comportamenti ristretti/ripetitivi interferiscono in modo marcato con tutte le aree del funzionamento. Grande disagio/difficoltà nel modificare l’oggetto dell’attenzione o l’azione.

Livello 2

E’ necessario un supporto significativo”

Difficoltà marcate delle abilità di comunicazione sociale verbale e non; compromissioni sociali visibili anche in presenza di un supporto; avvio limitato delle interazioni sociali; reazioni ridotte o anomale alle aperture sociali da parte di altri. Per esempio, una persona che parla usando frasi semplici, la cui interazione è limitata a interessi ristretti e particolari e che presenta una comunicazione non verbale decisamente strana.

Inflessibilità di comportamento, difficoltà nell’affrontare i cambiamenti o altri comportamenti ristretti/ripetitivi sono sufficientemente frequenti da essere evidenti a un osservatore casuale e interferiscono con il funzionamento in diversi contesti. Disagio/difficoltà nel modificare l’oggetto dell’attenzione o l’azione.

Livello 1

E’ necessario un supporto”

In assenza di un supporto, le difficoltà della comunicazione sociale causano notevoli compromissioni. Difficoltà ad avviare le interazioni sociali e chiari esempi di risposte atipiche infruttuose alle aperture sociali da parte di altri. L’individuo può mostrare un interesse ridotto per le interazioni sociali. Per es. una persona che è in grado di formulare frasi complete o si impegna nella comunicazione, ma fallisce nella conversazione bidirezionale con gli altri, e i cui tentativi di fare amicizia sono strani e in genere senza successo.

L’inflessibilità di comportamento causa interferenze significative con il funzionamento in uno o più contesti. Difficoltà nel passare da un’attività all’altra. I problemi nell’organizzazione e nella pianificazione ostacolano l’indipendenza.

In linea generale si individua la Sindrome di Asperger all’interno del livello 1 di gravità.

Altri novità importanti sono l’introduzione dell’aspetto sensoriale (iper-iporeattività agli stimoli sensoriali), di variabili qualitative legate all’età di insorgenza, l’inserimento di nuove categorie per la diagnosi differenziale (sindrome di Rett, disturbo del linguaggio, ecc) e, infine, l’introduzione di specifiche. Queste ultime sono state ideate per descrivere e racchiudere tutte le informazioni utili e rilevanti per la diagnosi e sono:

  • Funzionamento intellettivo (con o senza ritardo mentale);

  • Funzionamento linguistico;

  • Associazione con condizione medica, genetica o ambientale conosciuta;

  • Associazione con altra condizione del neurosviluppo, mentale o comportamentale;

  • Associazione con catatonia.

Anche se la nuova edizione del DSM ha avuto come obiettivo quello di limitare la visione categoriale dei disturbi e coglierne i livelli di gravità, alcuni nodi critici non sono stati debellati. Infatti, tra le varie implicazioni più dirette per la clinica dello sviluppo sorte con l’avvento del DSM-5, vi sono alcune che coinvolgono direttamente la diagnosi di disturbo dello spettro autistico. Il concetto di “gravità”, infatti, era già comunque presente nella precedente edizione (si veda per es. nella diagnosi di ritardo mentale). L’attuale edizione sembra abbia ulteriormente sviluppato tale concetto (come suggerisce il caso tra Aperger e autismo) evidenziando in modo sottile il fatto che ogni disturbo possa essere presente anche in forma lieve e che non ci sia soluzione di continuità tra tipicità e disturbo (Ammaniti et. al., 298, 2015). Nella psicopatologia dello sviluppo tale nuovo approccio potrebbe ridurre la medicalizzazione dei quadri meno definiti, a basso impatto disfunzionale, ma nel caso dello spettro autistico, in realtà, vi è il rischio di “sovradiagnosi” in quanto l’inclusione anche di forme lievi all’interno della stessa categoria diagnostica, è chiaro, possa incidere sul numero di casi diagnosticati.

In realtà, tale cambiamento nella diagnosi suggerisce un restringimento dei criteri diagnostici legato allo spettro autistico. Tale aspetto potrebbe determinare un mancato riconoscimento di circa il 75% delle persone con Sindrome di Asperger (Soldateschi et al, 2016, 46).

Sostanziali differenze tra autismo e Sindrome di Asperger

In linea generale l’autismo viene considerato in due forme distinte: ad alto funzionamento o a basso funzionamento. La Sindrome di Asperger rientra nel primo rango. A tal proposito vi sono studi differenti che confermano o meno questa valutazione, nel senso che autismo ad alto funzionamento e Asperger sono considerati due fenotipi distinti. Infatti un gruppo di ricercatori della Yale University ha evidenziato come gli Asperger e bambini con autismo ad alto funzionamento avessero profili neuropsicologici diversi (Klin et al., 1129, 1995). Altri studi i, invece, sempre tramite valutazioni diagnostiche, non hanno individuato profili distinti (Ozonoff et al., 38, 2000). Nella pratica clinica le due definizioni sono utilizzate in modo interscambiabile anche se il clinico deve tenere in considerazione che in alcuni paesi la designazione che utilizza nella diagnosi comporta o meno, l’accesso ad alcuni servizi e supporti; infatti alcuni servizi come il supporto scolastico o l’indennità statale viene assicurata solo in caso di diagnosi di autismo e non per quella di Sindrome di Asperger. Evidenziato ciò, è utile fare dunque una distinzione più chiara e specifica tra Sindrome di Asperger (e/o autismo ad alto funzionamento) e autismo a basso funzionamento. Sicuramente un criterio importante che li contraddistingue è il quoziente intellettivo; infatti i soggetti con autismo classico tendono ad avere un QI sotto la norma, mentre nell’autismo lieve hanno un’intelligenza nella norma o superiore (QI>85) (Baio et al.,7, 2018). Altri criteri che incidono sul definire i due profili sono un ritardo nel linguaggio nell’autismo a bassa funzionalità che si evince sia nella produzione sia nella comprensione linguistica. Tra Asperger e autismo classico anche tra le anomalie linguistiche vi sono delle sostanziali differenze; nei primi, infatti sarà più difficile riscontrare ecolalie, ma sono più frequenti l’utilizzo di un tono di voce monotono, pedante, robotico o infantile e l’uso frequente di frasi o citazioni di film e libri, i quali a loro modo possono essere contestualizzati (Moscone, Vagni, 2019, 47). Le stereotipie ed i comportamenti ripetitivi sono più frequenti nell’autismo classico, così come vi è una differenza negli interessi ristretti che nel basso funzionamento sono più di tipo sensoriale, mentre nell’autismo lieve i soggetti maturano la passione per alcune materie scolastiche (per es. quelle scientifiche o per la storia), raggiungendo anche picchi di “genialità” in quel preciso campo. Sicuramente un aspetto centrale che indica l’eterogeneità dei due profili è il livello di socializzazione: nei soggetti a basso funzionamento vi è una prevalente mancanza di iniziativa, mentre negli Asperger e negli autismi lievi i soggetti riescono ad avviare un’interazione ma presentano una difficoltà nel gestire quelle più complesse. Infine anche nella comorbilità con altre condizioni vi sono delle distinzioni. Nell’autismo classico vi può essere anche una diagnosi di epilessia, ritardo mentale e disturbo del linguaggio; negli Asperger o negli autismi lievi, invece può essere diagnosticato anche un disturbo d’ansia, ADHD, depressione o un disturbo bipolare (Soldateschi et al. 2016, 47).

Incidenza dello Spettro Autistico sulla popolazione

Secondo uno studio statistico condotto dal Centers of Desease Control and Prevention (Laio et al., 2018) riguardo l’incidenza dell’autismo negli USA, 1 bambino su 59 ha una diagnosi di ASD. Tale studio raccoglie e compara i dati raccolti dal 2000 al 2014 e la prevalenza registrata va da 6.7 a 16.8 su 1000 bambini (con età intorno agli 8 anni); ciò significa che vi è stato un incremento approssimativo del 150%. Riguardo più propriamente la Sindrome di Asperger, tenendo in considerazione gli individui che presentano forme di autismo lievi e dunque con un’intelligenza nella norma o superiore, è più complesso farne una stima. Vi è l’opinione che vengano diagnosticati solo il 50% dei bambini con Sindrome di Asperger; coloro che sono in grado di nascondere le proprie difficoltà, presentano strategie adattive ed evitano di finire sotto il vaglio di valutazioni diagnostiche oppure se sottoposti ad esse, possono confondere il clinico e direzionarlo verso altre diagnosi (Moscone, Vagni, 2019, 49).

Per quanto riguarda i dati in Italia, la situazione è completamente diversa, in quanto non esistono dati epidemiologici nazionali rispetto all’autismo nello specifico. Un unico dato fornitoci dall’ISTAT tra il 2016/2017 riguarda la percentuale di alunni con disabilità registrati nelle scuole italiane, che sono rispettivamente del 3% sul totale dei bambini iscritti nella scuola primaria e del 4% per quanto riguarda la scuola secondaria di primo grado, circa tremila in più rispetto all’anno precedente.

Sicuramente tali dati sono molto significativi ed evidenziano quanto l’incidenza della disabilità (sia in senso generale sia propriamente dell’autismo) stia con il tempo aumentando. Vi sono molteplici e discordanti spiegazioni rispetto a tale incremento. Ne riportiamo alcuni per stimolare una riflessione circa gli innumerevoli cambiamenti che avvengono nella popolazione rispetto alla prevalenza della disabilità.

Un primo aspetto condiviso dai clinici riguarda senz’altro i numerosi cambiamenti e miglioramenti nel processo diagnostico. Già precedentemente con il commento ai cambiamenti riportati dalla nuova edizione del DSM, si è evidenziato come, appunto, includendo anche le forme lievi, si possa incorrere nella possibilità di un aumento del numero dei casi diagnosticati, legati ad un’espansione dei criteri. In realtà uno studio finalizzato alla valutazione dell’impatto del DSM-5 sulla prevalenza dell’autismo, in cui i casi diagnosticati con il vecchio manuale venivano poi rivalutati con quello nuovo, si è evidenziato (Maenner et al., 7, 2014) che in realtà vi è una diminuzione dei casi di spettro autistico rispetto alla valutazione precedente. Ciò potrebbe suggerire che l’incidenza dell’autismo aumenta a prescindere dagli importanti cambiamenti dei criteri diagnostici e che altri fattori incidono sicuramente sui dati precedentemente riportati.

Altro elemento su cui è bene soffermarsi riguarda anche i mutamenti a livello socio-economico. Sicuramente vi è una maggiore sensibilità ed una maggiore informazione a livello sociale delle problematiche e questioni legate alla disabilità, che si ricollegano inevitabilmente anche a molteplici cambiamenti legislativi. Dunque vi è una maggior attenzione anche alle questioni sanitarie. Nelle zone in cui vi è una maggior disponibilità e facilità di accesso ai servizi, è possibile che vengano individuati più rapidamente i soggetti affetti, aumentando dunque la prevalenza dello stesso disturbo (Soldateschi, 2016, 11).

Analizziamo adesso un altro fattore che potrebbe incidere, anche solo in parte, alla prevalenza attuale dell’ASD, ossia lo spostamento di alcune diagnosi a quella di autismo. Nello specifico si fa riferimento alle diagnosi di Disturbo di Linguaggio e quella di Ritardo Mentale le quali attualmente convergono in diagnosi di autismo. In uno studio condotto dall’Università di Oxford, vennero rivalutati (Bishop, 2008, 341-343) 38 individui tra i 15 ed i 31 anni che da bambini avevano ricevuto una diagnosi di disturbo del linguaggio o disturbo pragmatico del linguaggio con strumenti quali l’ADI-R e l’ADOS. In linea generale il 34% con DL risultò rientrare nello spettro con entrambe le valutazioni diagnostiche (altri individui rientravano solo con l’ADI o solo con ADOS), mentre invece, il 55% con precedente diagnosi di DPL risultò affetto da disturbo autistico. Esso rivela, dunque, come tale configurazione sia un possibile campanello d’allarme per la presenza di una condizione di autismo.

Infine può essere utile ed importante evidenziare ulteriori aspetti (meno clinici sicuramente) che in parte potrebbero dare degli spunti di riflessione sulla prevalenza tanto dell’autismo, quanto della disabilità in senso generale.

Negli ultimi decenni si sta assistendo a un cambiamento sempre più radicato ed evidente delle famiglie e delle sue caratteristiche. Al di là delle numerose tipologie di famiglia che possiamo incontrare, si è assistito ad un importante calo delle nascite e, soprattutto, ad una sempre più crescente età media in cui si diventa madri. Gli ultimi dati ISTAT (2019), infatti, rivelano che le donne italiane rinviano l’esperienza riproduttiva verso età sempre più avanzate; l’età media al parto è di 32,0 anni.

Sicuramente l’importante crisi economica del paese, ma anche le nuove caratteristiche della famiglia postmoderna, in cui si prolunga il tempo di permanenza nel nucleo familiare, il tasso di disoccupazione giovanile, i sempre più ampi tempi di formazione universitaria e professionale sono fattori importanti che possono influenzare tali dati. Alcuni studi e clinici (Bearman et. al, 2010, 336; Sandin, 2015, 4-6) hanno sottolineato quanto l’età dei genitori possa incidere sulla prevalenza dell’ASD. Più i genitori sono avanti con l’età, più sembra aumentare il rischio che si sviluppi un disturbo dello spettro autistico. È chiaro che non si possa parlare di “cause” che implicano l’insorgenza della condizione, ma di fattori ambientali e non che possono aiutare a comprendere tale incremento nell’incidenza sulla popolazione e che possono avviare ipotesi e forme di analisi. Ritornando alla Sindrome di Asperger è bene fare un’ulteriore riflessione; come anche accennato precedentemente, l’Asperger è un fenotipo sotto-diagnosticato e dunque non è facile indicare la sua prevalenza, perciò come non pensare che non vi sia il peso dell’ereditarietà dei geni autistici attualmente nella popolazione? Nella mia seppur breve esperienza clinica e avendo a che fare con bambini ed adulti con Sindrome di Asperger, ho rilevato affinità con un genitore nella manifestazione di tratti autistici (sameness, difficoltà nella reciprocità sia comunicativa che socio-emotiva). È bene chiarire come tale considerazione sia lontana da fondamenti o certezze empiriche, ma sicuramente tali riflessioni ed osservazioni possono essere utili per comprendere quanto sia complesso, ricco e variegato il mondo dell’autismo, anche se il criterio DNA rappresenta ancora un aspetto in via di approfondimenti. Una certezza che ha il clinico è che, alla strenua del concetto di disturbo o di condizione mentale e medica, ogni individuo ha una storia a sé, biologica e non, che consegna la sua manifestazione alle sfumature della neurobiodiversità.

Riferimenti bibliografici

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