Uno studio preliminare sulle capacità empatiche, cognitive ed affettive nei pazienti con esiti di Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA)


scarica l'articolo

La grave cerebrolesione acquisita (GCA) viene definita come un danno cerebrale, di origine traumatica o di altra natura, tale da determinare nell’evoluzione clinica una condizione di coma, in genere di durata superiore alle 24 ore, e/o menomazioni sensomotorie, cognitive e comportamentali che comportano disabilità grave (Linee guida del Ministero della Sanità per le attività di riabilitazione – Provvedimento 7 maggio 1998 approvato dalla Conferenza Stato Regioni).

La gravità del coma nella fase acuta, dopo trauma cranio-encefalico (TCE), è universalmente valutata attraverso la classificazione della Glasgow Coma Scale (GCS) (Teasdale, Jennett, 1974), quando il punteggio risulta essere uguale o inferiore a 8. Il TCE è classificato invece come moderato o lieve per punteggi, rispettivamente, compresi tra 9 e 12, o tra 13 e 15.

La grave cerebrolesione acquisita (GCA) è un danno cerebrale non di natura degenerativa o congenita ma causato da una forza fisica esterna che può portare ad una diminuzione o alterazione dello stato di coscienza. Esso colpisce prevalentemente soggetti nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 35 anni ed è responsabile di circa il 50% di tutte le morti traumatiche e del 2% di tutti i decessi. Le cause dei traumi cranici gravi possono essere:

  • Incidenti stradali (48%);

  • Cadute accidentali e incidenti domestici (25%);

  • Attività sportive (10%);

  • Incidenti sul lavoro (8%);

  • Aggressioni (4%);

  • Altro (5%).

In base al meccanismo d’impatto il trauma cranico può essere suddiviso in tre tipi:

  • Contro una superficie piana;

  • Contro una piccola superficie aguzza;

  • Da compressione (compreso tra due superfici piane).

Il danno conseguente a trauma cranico può essere suddiviso in danno cerebrale primario e secondario:

Il danno cerebrale primario viene definito come il danno che avviene al momento del trauma. Le lesioni espansive cerebrali post-traumatiche, come gli ematomi epidurali, sottodurali o intracerebrali iniziano già a svilupparsi al momento dell’impatto e vanno dunque considerate nell’ambito del danno primario, anche se determinano, almeno in parte, danni secondari. Il danno primario include le lesioni dovute direttamente agli effetti primari del trauma, come ad esempio le fratture del cranio, le contusioni, le lacerazioni e il danno diffuso della sostanza bianca, ma anche gli ematomi epidurali, subdurali e l’edema cerebrale (Adams et al., 1989).

Il danno cerebrale secondario invece si sviluppa nei minuti, ore o giorni successivi al trauma ed include: l’ipossia, lo shock, l’ipertensione intracranica, l’edema cerebrale e i disturbi del flusso cerebrale (Pitts et al., 1990). I danni secondari possono essere o di natura neurologica (ischemia, emorragia, edema, infiammazione o infezione del sistema nervoso centrale, SNC), oppure di tipo sistemico (iperglicemia, malnutrizione, ipertensione, ipotensione, ipossia, infezioni). Circa il 45% dei pazienti in coma post-traumatico mostrano un deterioramento del disturbo di coscienza causato da danni secondari. Molti autori hanno dimostrato un’elevata incidenza di ischemia cerebrale, fino al 91% dei casi che decedono dopo trauma cranico (Robertson et al., 1987, Graham et al., 1989; Levin et al., 1990). Un’ischemia cerebrale post-traumatica può essere conseguente a vari fattori, quali l’ipertensione intracranica, le lesioni di principali vasi intracranici, il vasospasmo e l’ipotensione (Levin et al., 1990). Nell’ambito invece dei danni sistemici, l’ipossiemia, l’ipotensione e l’ipercapnia si sono dimostrate significativamente associate ad un outcome sfavorevole nel trauma cranico (Overgaard et al., 1981; Graham et al., 1989).

In ragione dunque delle diverse cause di insorgenza del coma, così come delle differenti possibili evoluzioni del quadro clinico, i dati epidemiologici sull’incidenza del coma, ad oggi, sono purtroppo molto scarsi. Tuttavia, è noto che il TCE grave, in genere secondario ad incidenti stradali, rappresenta la prima causa di disabilità nei giovani tra i 15 e i 35 anni, ossia il range di età più produttivo e con maggiore aspettativa di vita (Formisano et al., 2001).

    1. I disordini dello stato di coscienza

La condizione di coma alla quale giungono i pazienti con traumi cranici gravi, include la triade clinica di occhi chiusi, non risposta a comandi semplici e incapacità di espressione verbale comprensibile (Jennett, 1998). Il coma è stato anche definito come una completa disfunzione del “sistema di vigilanza” con assenza dell’apertura spontanea degli occhi in pazienti che non sono in grado di essere risvegliati anche con stimolazione sensoriale vigorosa (Posner, Plum, 2007). Il coma è spesso solo uno dei sintomi clinici di deterioramento neurologico, che generalmente è associato alla sindrome disautonomica vegetativa, all’insufficienza respiratoria e alla depressione immunologica, specialmente durante i disturbi della coscienza gravi e prolungati (Formisano et al., 1998; Zeman, 2004). Nella storia naturale della persistenza del coma, i pazienti riescono a recuperare la vigilanza (aprendo gli occhi) al massimo dopo 3-4 settimane, con recupero della coscienza (risveglio), con un parziale recupero della coscienza (Stato di Minima Coscienza) o in assenza di coscienza (Stato Vegetativo).

Lo Stato Vegetativo (SV) è una condizione successiva al coma, in cui il paziente recupera la vigilanza (apertura degli occhi) ma non la coscienza, ovvero l’abilità di eseguire ordini semplici. Il paziente, infatti, è incapace di interagire con l’ambiente circostante, nonostante l’apertura degli occhi e il recupero del ciclo sonno-veglia. L’evoluzione in stato vegetativo persistente, fortunatamente, riguarda solamente il 2% dei gravi traumi cranici. Il termine “persistente” viene utilizzato quando lo SV è considerato reversibile, mentre viene usato il termine “permanente” quando lo SV è ritenuto verosimilmente irreversibile. In generale, l’intervallo di tempo per definire lo SV “permanente” è di un anno per i casi traumatici e 3-6 mesi per l’ipossia e i casi non traumatici.

Lo Stato di Minima Coscienza (SMC), definito “stato minimamente responsivo” (Giacino, 1991), fa riferimento a quegli specifici pazienti che sono capaci di obbedire ad ordini semplici, e quindi che sono capaci di interagire con l’ambiente esterno, ma in modo incostante e fluttuante (Giacino, 2004). Pazienti in stato di minima coscienza (SMC), infatti, dimostrano alcuni segni comportamentali di coscienza, ma non in maniera frequente (Giacino, 2002; Giacino, 2004); lo stato di minima coscienza è, comunque, distinto dallo stato vegetativo per il parziale mantenimento della coscienza (Giacino, 1997). Recentemente lo SMC è stato classificato come Stato di Minima Coscienza “Minus” o “Plus”. Il primo caso si riferisce alla situazione nella quale il paziente recupera la capacità di fissazione visiva e di seguire con lo sguardo oppure quando è in grado di localizzare stimolazioni nocicettive o di manifestare reazioni emotive contestuali. Lo Stato di Minima Coscienza “Plus”, invece, consiste nella condizione in cui il paziente riesce ad eseguire ordini semplici, delle volte a verbalizzare o ad utilizzare in maniera funzionale gli oggetti, pur rimanendo incapace di mostrare una comunicazione funzionale (Exit-MCS) (Bruno et al., 2011).

Infine è possibile riscontrare la sindrome di Locked-in (SLI; chiuso-dentro o sindrome da chiavistello). Questa è una condizione apparentemente simile allo Stato Vegetativo in quanto è caratterizzata dalla presenza di mutismo, quadriplegia e paralisi di bocca, labbra e lingua, tuttavia se ne differenzia per il fatto che i pazienti con SLI sono pienamente consapevoli di sé stessi e dell’ambiente circostante. La SLI si distingue quindi dallo SV per l’integrità della coscienza, per la possibilità di comunicare mediante movimenti dello sguardo verso l’alto e/o la chiusura delle palpebre e per l’attività elettroencefalografica generalmente normale (Posner, Plum, 2007).

Le GCA e le sue conseguenze

I segni neurologici focali presenti dopo grave trauma cranio-encefalico possono variare di molto a seconda della sede, dell’estensione e della molteplicità delle lesioni. I deficit conseguenti alla grave cerebrolesione acquisita possono essere di varia natura, da quelli fisici/motori a quelli cognitivi ed emotivo/comportamentali. Risulta a questo proposito di fondamentale importanza un’adeguata valutazione di tali disturbi per poter inquadrare l’intervento riabilitativo più idoneo al paziente.

La persona con GCA si trova a vivere un nuovo ed improvviso “trauma”, determinato dall’evento cerebrale che è la causa di compromissioni a vari livelli concorrenti alla definizione e costruzione del sé. I livelli principali sono relativi a:

Livello corporeo, relativo alle menomazioni neurosensoriali: disturbi della visione, dell’olfatto, dell’udito e del gusto associati a disturbi motori di vario tipo.

Livello cognitivo, in quanto le principali menomazioni coinvolgono i circuiti sottocorticali e corticali (nei traumi cranici in modo particolare i circuiti fronto-temporali), con la conseguente compromissione delle funzioni attentive ed esecutive, mnestiche, di ragionamento e problem-solving, linguistiche, percettive e visuo-spaziali.

Livello affettivo, relativo al cambiamento nella componente emotiva che può palesarsi in comportamenti inadeguati per “difetto” (l’inerzia, l’apatia e l’abulia) o per “eccesso” (ad esempio, l’irritabilità, l’aggressività e la disinibizione), cui si associa frequentemente la mancanza di consapevolezza dei disturbi cognitivi e/o comportamentali e/o motori (anosognosia) o indifferenza emotiva (anosodiaforia) o disturbi della percezione, regolazione ed espressione emotiva (alessitimia) fino all’ottundimento affettivo (apatia emotiva). Altre persone reagiscono invece alle loro disabilità, con tono dell’umore depresso e/o con forti stati d’ansia di difficile gestione.

Livello comportamentale, inerente alle condotte anomale dovute a tutti i disturbi suddetti a livello cognitivo, affettivo e corporeo, che queste persone mostrano a livello relazionale. La capacità di esperire le reazioni emotive alle espressioni manifestate dagli altri (empatia emotiva) appare compromessa in pazienti che hanno subito un trauma cranico (Wood, Williams, 2008; Williams, Wood, 2009). Tuttavia il danno cerebrale può produrre anche un grave deficit nell’assumere il punto di vista di un’altra persona (empatia cognitiva) (Wells et al., 2005; Bivona et al, 2014).

Per quanto riguarda i deficit neuromotori, invece, l’emiplegia facio-brachiale, con relativo risparmio dell’arto inferiore, sembra secondaria a lesioni corticali laterali, mentre per le lesioni sottotentoriali, le contusioni cerebellari mediane sono responsabili di un’atassia del tronco e quelle degli emisferi cerebellari determinano tremore (Mendelow, 1990). Riguardo ai deficit neurosensoriali, uno dei pochi che studiò tali deficit fu Kline (1984), il quale ha riscontrato un’incidenza di riduzione dell’acuità visiva nel 5% circa dei pazienti con esiti di trauma cranio-encefalico, con danno del nervo ottico nello 0.5-1.5% di tutti i traumatizzati cranio-encefalici. Studi neuropatologici hanno infatti evidenziato lesioni primarie e secondarie a livello del nervo ottico, con degenerazione assonale anche in caso di apparente integrità macroscopica del nervo (Savino et al., 1980).

Deficit Neuropsicologici

La valutazione neuropsicologica del paziente traumatizzato cranico grave assume estrema importanza, se si sottolinea il fatto che i deficit cognitivi e comportamentali post-traumatici hanno dimostrato di essere più persistenti e più disabilitanti dei deficit motori nella maggior parte dei traumatizzati cranici gravi (Jennet, 1996). Tale valutazione include solitamente scale generali, come ad esempio la WAIS, e test più specifici, che indagano le diverse funzioni cognitive superiori. I più noti esiti della GCA si riscontrano in deficit nell’attenzione divisa (svolgimento di più compiti contemporaneamente), nell’attenzione selettiva (capacità di concentrarsi su un unico stimolo in presenza di distrattori) e nell’attenzione sostenuta (capacità di rimanere concentrati su uno stimolo per un lungo periodo di tempo). Un altro degli ambiti maggiormente soggetti a compromissione funzionale è quello relativo alle funzioni metacognitive, dette funzioni “esecutive”, ovvero di quelle capacità che implicano la volontà, la pianificazione, l’attuazione di strategie organizzative per la risoluzione dei problemi, l’autocontrollo e l’autoconsapevolezza (Zettin, Rago 1995). Si tratta di funzioni controllate dai lobi frontali, ovvero la sede anatomica più frequentemente soggetta a lesione organica in seguito a trauma cranio-encefalico. Attualmente la sindrome prefrontale è descritta come una condizione patologica, causata da varie lesioni del lobo frontale (di natura traumatica, vascolare, etc.) e caratterizzata da disinibizione, impulsività, mancanza di iniziativa, ridotta flessibilità, ridotta capacità di organizzazione, incapacità a pianificare programmi per il futuro, risposte inappropriate alle situazioni sociali, e difficoltà nell’esecuzione dei comportamenti complessi. Si possono associare anche modificazioni del tono emozionale, che possono essere caratterizzate da una diminuita reazione emotiva, da un’aumentata labilità emozionale o ancora da una deficitaria regolazione delle proprie espressioni emotive. Sono stati descritti inoltre segni di perseverazione, deficit di attenzione sostenuta e selettiva, incoerenza comportamentale.

Possibili alterazioni si possono riscontrare anche nella sfera linguistica, spesso caratterizzata da disturbi afasici di produzione/comprensione del linguaggio, confabulazioni, pensieri tangenziali (Van Zomeren et al., 1990) e difficoltà di pragmatica della comunicazione, che consiste nella capacità di “dare appropriatezza a costrutti sintatticamente ben definiti e semanticamente dotati di astratte condizioni di verità” (Gazdar, Mellish,1989, 147).

In generale è possibile trovare, in questo tipo di pazienti, un quadro diagnostico con evidente rallentamento di tutte le funzioni cognitive, il che implica, tra l’altro, tempi di reazioni più lunghi a tutti gli stimoli. La sfera emotiva può essere caratterizzata da disinibizione, aggressività, rabbia, inerzia, apatia. Per quanto riguarda i disturbi della personalità comunemente riscontrabili come secondari al Trauma Cranico, secondo uno studio condotto da Bellomo e collaboratori (2004), vedremo invece più avanti che la diagnosi più ricorrente è quella di disturbo post-traumatico da stress e a seguire i disturbi d’ansia e psicotici. La variabilità del quadro clinico dipende ovviamente dal tipo di lesione e dalla capacità di reazione del soggetto all’evento traumatico, in base alle sue risorse psicologiche e alla presenza di fattori protettivi, endogeni e/o ambientali.

Deficit Neuropsichiatrici

Già nel 1868, Harlow riportò la descrizione delle modificazioni comportamentali conseguenti ad un esteso danno frontale di un paziente il quale, durante un incidente sul lavoro, fu colpito da una sbarra di ferro che penetrò nella parte inferiore del cervello lesionando le regioni orbito-mediali di entrambi i lobi frontali. Prima di questo trauma il paziente era stato descritto come un uomo efficiente; successivamente fu descritto come incostante, capriccioso, volubile, irriverente, incline alle più pesanti oscenità, intollerante delle costrizioni o dei consigli, ostinato.

Numerosi altri studi clinici hanno descritto e documentato disturbi del comportamento in pazienti con lesioni bilaterali o unilaterali molto estese del lobo frontale (Eslinger, Damasio, 1985).

In molti casi è stata descritta una riduzione dell’attività spontanea e dell’eloquio, in altri casi invece, con lesioni del lobo frontale, sono state descritte, fin dai primi studi, apatia, perdita di iniziativa e riduzione dell’efficienza lavorativa, o al contrario, iperattività ed incapacità di inibire le risposte impulsive ed emotive, infantilismo, scurrilità, euforia fatua (Goldstein, 1939; Luria, 1969; Parker, 1996). Per questi motivi, nel corso del tempo, il termine di “sindrome prefrontale” è divenuto il contenitore di vari e polimorfi disordini comportamentali. Generalmente il paziente con lesioni frontali è descritto come disinibito, con facilità agli scherzi, con atteggiamenti di spavalderia, di umore variabile, generalmente euforico, con mancanza di preoccupazioni o con preoccupazioni eccessive, con egocentrismo o ostinatezza.

Inoltre si verificano frequentemente una riduzione dell’iniziativa, della spontaneità, dell’efficienza lavorativa, della mimica facciale, dell’espressività e mancanza di insight. Può dominare l’apatia, l’indifferenza, la distraibilità, la trascuratezza nell’abbigliamento, l’intolleranza, la bulimia, la sonnolenza fino alla letargia. Allo stesso modo, essi evidenziarono anche che le lesioni della corteccia fronto-orbitaria determinavano più facilmente cambiamenti della personalità di tipo “pseudo-psicopatico”, caratterizzati da euforia, irrequietezza, disinibizione sessuale, puerilità, comportamenti sociali inappropriati e scarso interesse verso gli altri.

Non è raro comunque trovare delle combinazioni dei due tipi di personalità appena descritti, soprattutto se l’estensione della lesione è marcata. Le lesioni della corteccia frontale mediale, soprattutto quelle che interessano la regione dorsale (giro cingolato e area supplementare motoria), possono dare luogo ad un quadro di importante rallentamento psicomotorio ed abulia, nel corso del quale il paziente risponde solamente quando gli vengono rivolte domande dirette (Damasio, 2003)

Lesioni frontali ventro-mediali (e specialmente quelle che si estendono ad interessare la corteccia limbica e le strutture diencefaliche) sono associate a grave deficit della memoria, comportamenti socialmente inappropriati, disorientamento, modificazioni della coscienza, apatia e aggressività incontrollata (Luria, 1969). Mentre le lesioni dorso-laterali sono associate a deficit cognitivi più evidenti, le lesioni confinate alle regioni frontali orbitaria e mediale possono invece risparmiare molti aspetti del funzionamento cognitivo.

Sembrerebbe inoltre che i fattori premorbosi della personalità, le situazioni, le contingenze, i rinforzi ambientali giochino un ruolo di una certa importanza nel determinare il quadro clinico della “personalità frontale”.

LA SOCIAL COGNITION

Gli esseri umani sono animali sociali che in circostanze normali cercano gratificazioni nelle relazioni sociali, per l’apprendimento adattivo e per le soddisfazioni psicologiche. Per raggiungere questo importante obiettivo, dobbiamo essere equipaggiati di processi cognitivi e rispettivi meccanismi neurali che promuovono entrambe le competenze ed il successo nell’interazione e nella comunicazione con le altre persone.

Nell’ambito della psicologia e delle neuroscienze cognitive, questi processi sono classificati sotto il costrutto chiamato cognizione sociale che, come è stato inizialmente definito, è l’operazione alla base delle interazioni sociali, tra cui la capacità umana di percepire le intenzioni e le disposizioni altrui (Brother et al, 1990). Comprendere i desideri, le credenze e gli stati d’animo dell’altro infatti implica capacità fondamentali ai fini dell’adattamento sociale di un individuo e tali capacità ci consentono di rispondere con prontezza alle richieste dell’altro, di predirne il comportamento e anticiparne le intenzioni.

Con il termine Social Cognition (SC) si intendono dunque quell’insieme di abilità che consentono all’individuo di comprendere il comportamento altrui e di agire adeguatamente nel contesto sociale. La SC è considerata un costrutto caratterizzato da vari aspetti: il riconoscimento delle emozioni, la Teoria della Mente (ToM), e l’empatia (Adolphs, 2001; Beer, Ochsner, 2006; Beer et al., 2006). Pur nella loro intrinseca eterogeneità interna, le neuroscienze sociali sono profondamente radicate nello studio delle basi neurali di quelle capacità che, nella letteratura psico-sociale, sono tipicamente definite empatia e mentalizzazione. Cioè, rispettivamente, la capacità di comprendere gli stati affettivi e gli stati cognitivi altrui, e più in generale di entrare in sintonia con essi per poter così pianificare il comportamento coerentemente con i propri obiettivi, ma anche con norme sociali e morali tipiche di un dato contesto. Questa dicotomia si fonda sull’ipotesi secondo cui, nell’interazione con altri individui, componenti almeno parzialmente distinte dell’abilità empatica ci consentono di comprendere i loro stati affettivi (inclusi stati fisiologici complessi come il dolore) rispetto a stati cognitivi quali pensieri, credenze e intenzioni (Singer, 2006). Frith e Frith (2010) ritengono che all’interno del funzionamento della cognizione sociale possa essere applicata una differenziazione tra i processi definiti “hot” ed i processi definiti “cold”, corrispondenti rispettivamente ad un sistema di rispecchiamento e ad un sistema di mentalizzazione. Più precisamente, il sistema di mentalizzazione, spesso chiamato Cold Social Cognition, consente all’individuo di avere una ToM (teoria della mente), cioè di assumere la prospettiva dell’altro razionalmente, mentalizzando i suoi pensieri, desideri e credenze. Tale processo consente dunque di assumere la prospettiva dell’altro attraverso la “lettura” dei suoi stati mentali e la deduzione dei suoi desideri e credenze applicando principi generali di ragionamento.

Il sistema di rispecchiamento invece, chiamato Hot Social Cognition, ci consentirebbe di comprendere le emozioni di un’altra persona e di empatizzare con esse attraverso un meccanismo di risonanza emotiva. Si riferisce dunque all’abilità di condividere gli stati emotivi dell’altro attraverso la risonanza (o contagio) emozionale.

La social cognition non consiste, dunque, solo nel pensare ai contenuti della mente di un altro, ma il nostro cervello sembra aver sviluppato un meccanismo funzionale di base che ci permette di avere un insight esperienziale nella mente dell’altro (Gallese et al., 2004).

Qualunque tipo di esperienza che si possa propriamente dire di empatia, rappresenta anche il risultato di una fondamentale disponibilità ad assumere il punto di vista dell’altro e ad immedesimarsi nel suo vissuto, senza resistenze o difese di sorta.

La caratteristica più evoluta dell’empatia è infatti quella del saper condividere in modo vicario le emozioni di un altro, pur avendo contemporaneamente chiaro che si tratta di emozioni separate dalle proprie, e anzi spesso anche molto diverse dalle proprie.

Il filone cognitivo dell’empatia si basa sul coinvolgimento, nell’espressione empatica, della comprensione delle sensazioni degli altri. Queste teorie si riferiscono anche a processi cognitivi quali il “role taking”, la “perspective taking”, la capacità di focalizzare l’attenzione sulla prospettiva di un’altra persona, o il “decentramento” inteso come una risposta non egocentrica (Piaget, 1932).

Come hanno particolarmente evidenziato gli studi di matrice piagetiana, sul piano dello sviluppo cognitivo la capacità di perspective taking (“capacità di assumere la prospettiva dell’altro”) si fonda proprio sul declino dell’egocentrismo infantile e sul progressivo sviluppo delle capacità di decentramento, che mettono il bambino in grado di rappresentarsi la propria prospettiva soggettiva da cui l’altro costruisce e considera la propria realtà. La capacità di assumere la prospettiva dell’altro ci permette dunque di superare il nostro abituale egocentrismo, di adattare i nostri comportamenti alle aspettative degli altri, e quindi rendere soddisfacenti le relazioni interpersonali (O’Brien et al., 2013).

L’importanza che questa capacità riveste nei processi di condivisione empatica risulta evidente qualora si consideri che tutte le forme più evolute e differenziate di empatia presuppongono la capacità di rendersi conto che gli altri hanno prospettive diverse da cui guardare alla realtà e modi del tutto peculiari di formarsi giudizi ed opinioni, pur in presenza dello stesso contesto situazionale.

Strayer (2004) parla a questo riguardo di rappresentazione del vissuto dell’altro. L’autrice si riferisce alla capacità di rappresentarsi gli stati interni dell’altra persona, svincolandoli sempre più dagli eventi cui sono correlati, e rendendosi sempre più conto che questi stati interni possono essere radicalmente diversi da quelli che il soggetto ha provato in situazioni simili.

I due filoni che caratterizzano l’empatia si possono dunque riassumere in:

  • Abilità di riconoscere e discriminare correttamente gli stati affettivi dell’altro (componente affettiva);

    • Abilità di assumere il ruolo e la prospettiva dell’altro (componente cognitiva).

Quindi, ricapitolando, mentre per ToM (teoria della mente) ci si riferisce all’attribuzione di stati mentali come desideri, intenzioni e credenze sugli altri, l’empatia è stata descritta invece come la capacità di dedurre e condividere le esperienze emotive di un altro.

Le relazioni tra ToM ed empatia rimangono controverse e ancora da determinare. Alcuni autori propongono un modello teorico che postula la possibilità di processi condivisi tra questi due costrutti psicologici. In questo modello ci sono componenti sia cognitive che emotive di empatia (Davis, 1994; Spinella, 2005). La componente cognitiva di empatia è simile alla ToM, mentre la componente emotiva comporta una reazione affettiva.

L’empatia

Nella letteratura delle scienze sociali la comparsa della parola “empatia” corrisponde all’introduzione, da parte di Theodore Lipps (1903), della parola tedesca einfuhlung. Questo termine fu utilizzato precedentemente nella seconda metà del XIX secolo in riferimento al “godimento estetico” e si può tradurre letteralmente con l’espressione “sentire dentro”. Sin dagli anni Trenta, negli studi di psicologia sociale e della personalità, si è manifestato un profondo interesse per il costrutto dell’empatia. Già nel 1937 infatti Allport, in un suo studio (1937), ha evidenziato la tendenza caratteristica dell’essere umano all’imitazione motoria delle posture e delle espressioni facciali degli altri e successivamente, anche Murphy (1947), ha sostenuto che l’osservatore, dopo aver appreso lo stato mentale di un’altra persona ed il suo vissuto personale, sia in grado di vivere e dunque di esprimere anche a livello motorio le stesse emozioni dell’altro.

Ciò che accomuna gli studi clinici a quelli sociali e della personalità è, dunque, una concezione fondamentalmente affettiva dell’empatia. Tale concezione va invece smorzandosi a partire dagli anni Sessanta, periodo in cui peraltro si diffonde lo studio dell’empatia anche nell’ambito della psicologia dello sviluppo (Wispè, 1987). Nel corso del XX secolo il concetto di empatia è stato considerato da punti di vista molto differenti tra loro; alcuni di essi si sono focalizzati sul contagio emotivo e sull’imitazione motoria automatica, altri sugli aspetti sociali, altri ancora sulla condivisione affettiva.

Bisogna innanzitutto dire che l’empatia è senza alcun dubbio un’abilità fondamentale per l’essere umano in quanto illustra la sua natura di “animale sociale” che agisce in funzione di una risposta degli altri. Questo tipo di abilità permette di sintonizzarsi con i pensieri e le sensazioni dell’altro, di comprenderne le intenzioni, di predirne il comportamento e di provare un’emozione in risposta all’emozione altrui (Baron-Cohen, Wheelwright, 2004). La capacità di capire gli altri ed esperire le loro emozioni, dimostra quindi la “natura sociale” degli esseri umani e, in quanto animali sociali, virtualmente, tutte le loro azioni (inclusi i loro pensieri e i loro desideri), si verificano in funzione di una risposta proveniente degli altri.

Come si può dunque capire, il concetto di empatia è molto difficile da definire e, data la complessità di questo costrutto, solo un approccio multidisciplinare può aiutarci a comprendere i meccanismi di elaborazione delle informazioni che danno luogo a questo fenomeno così soggettivo.

Fassino (2009) evidenzia come nell’attivazione dell’empatia si realizzino due tipi di processamenti delle emozioni:

  • Un processamento delle emozioni dal basso verso l’alto, nell’esperienza di condivisione delle emozioni altrui;

  • Un processamento delle emozioni dall’alto verso il basso, attraverso il controllo delle funzioni esecutive, che permette di regolare e modulare l’esperienza di condivisione.

Questo processamento “a due vie” sottolinea ancora una volta la natura duplice dell’empatia, che coinvolge sia il sistema cognitivo che quello affettivo.

L’empatia nell’ambito delle GCA

L’evidenza clinica dimostra che una delle conseguenze più frequenti della GCA è proprio una marcata riduzione della capacità empatica (Elsass, Kinsella, 1987; Grattan e Eslinger, 1989). Spesso tale tipo di trauma è legato a lesioni alle regioni prefrontali e alle loro connessioni con le regioni limbiche e posteriori, che potenzialmente colpiscono la complessa interazione tra i più alti processi cognitivi e la percezione emozionale. In seguito a ciò, recentemente è stato riportato che la capacità di esperire le reazioni emotive alle espressioni manifestate dagli altri (empatia emotiva), come valutato tramite la scala BEES (Balanced Emotional Empathy Scale, Mehrabian, 2000), risulta compromessa (Williams e Wood, 2009; Wood e Williams, 2008). É stato anche valutato tramite questionari self-report che il danno cerebrale comporta una forte incapacità ad assumere il punto di vista di un’altra persona (empatia cognitiva) (Grattan, Eslinger, 1989; Wells et al., 2005). L’impoverimento di queste due capacità non sorprende dato che sono entrambe associate alle strutture cerebrali più suscettibili al danno cerebrale: il giro frontale inferiore (empatia emotiva) (Nummenmaa, et al., 2008; Schulte-Rüther et al., 2007; Shamay-Tsoory et al., 2009) e la corteccia prefrontale ventromediale (empatia cognitiva) (Nummenmaa et al., 2008; Shamay-Tsoory et al., 2009). In generale, possiamo affermare che una grave lesione cerebrale traumatica porta a danni multifocali in tutto il cervello, e la maggior parte delle volte tali danni sono concentrati nella superficie frontale ventrale e temporale (Gentry et al., 1988). Tra i sintomi più frequentemente riportati nella sindrome frontale, l’appiattimento affettivo è solitamente considerato responsabile delle difficoltà relazionali e più in generale della disabilità sociale del paziente con esiti di grave TCE e GCA. È risaputo inoltre che queste lesioni provocano importanti cambiamenti nel comportamento sociale; in particolare viene notata una diminuzione dell’empatia tale per cui la presenza di difficoltà empatiche in seguito a GCA è stata accettata da diversi e recenti studi, anche se la ricerca a riguardo è ancora molto esigua.

Un aspetto molto critico dell’empatia è sicuramente la responsività emozionale rispetto ai sentimenti di un’altra persona. Fin dalla tenera età, la risposta normativa riguarda il sentire ciò che un’altra persona sta provando, ad esempio felicità quando qualcuno è visibilmente felice. Tale sensibilità accrescente per la visualizzazione dell’emozione di qualcuno è stata denominata “empatia emozionale” (Mehrabian, Epstein, 1972). La letteratura in campo psicologico infatti, a tale riguardo, suggerisce che la reattività emotiva è un imperativo componente del processo di empatia (Nummenmaa et al, 2008; Shamay-Tsoory et al, 2009).

Ovviamente esiste un’evidenza empirica per quanto riguarda la mimica facciale, in quanto la letteratura ha dimostrato che anche solo l’osservazione dell’espressione emotiva nel viso di un altro individuo causa un’analoga attività nell’osservatore. Questo processo di imitazione comportamentale o di “mimica facciale” è solitamente misurato attraverso l’utilizzo dell’elettromiografia (EMG), attraverso la registrazione dell’attività dello zigomatico maggiore (guancia), e della corrugazione dei sopraccigli.

Inoltre, studi recenti di neuro-immagine (Schulte-Rüther et al, 2007; Nummenmaa et al, 2008; Shamay-Tsoory et al, 2009) hanno supposto l’esistenza di un sistema di neuroni specchio (che è principalmente responsabile dell’imitazione dell’azione, tra cui anche l’imitazione emotiva) (Rizzolatti, Craighero, 2004) situato nel lobulo parietale inferiore e nel giro frontale inferiore come parte del network dell’empatia emozionale.

Quindi partendo dal presupposto che la reattività emozionale sia una componente importante per il processo empatico, vi è ragione di credere che la difficoltà di elaborazione emotiva, come ad esempio l’incapacità di rispondere fisiologicamente alla visione dell’emozione sul viso di un’altra persona, può essere attribuibile alla variazione di empatia emozionale in seguito al grave trauma cranio-encefalico. È stato inoltre dimostrato anche che negli individui con trauma cranio-encefalico, il riconoscimento dell’emozione nel parlato delle altre persone e nelle loro espressioni facciali è alterato, (McDonald, Flanagan, 2004; Milders et al., 2008) e alcuni autori hanno riportato essere compromessa la stessa funzione empatica in seguito a lesioni cerebrali (Eslinger, 1998; Shamay- Tsoory et al., 2003).

La capacità di comprendere il sarcasmo infatti dipende da una sequenza orchestrata con cura di abilità cognitive legate a specifiche zone del cervello. La mente ha infatti la capacità di collocare nel contesto giusto le parole “pungenti”. Affinché il sarcasmo vada a segno, gli ascoltatori devono comprendere le intenzioni di chi parla nel contesto della situazione (Shamay-Tsoory et al., 2005). Per far ciò è necessario un tipo di pensiero sociale sofisticato, ovvero la comprensione del fatto che persone, essendo diverse tra loro, pensano anche in modo diverso. La ginnastica mentale richiesta da parte di chi ascolta una frase sarcastica richiede infatti lo sviluppo della teoria della mente, e dunque della capacità di andare oltre il significato letterale delle parole e capire ciò che sta pensando la persona che si ha di fronte.

La Teoria della Mente

Tra le varie abilità di cognizione sociale, particolarmente essenziale per l’adattamento sociale e per le interazioni è la capacità di “mentalizzare”, cioè il riuscire a leggere gli stati mentali degli altri (Frith, Frith, 2006), che a sua volta consente l’attribuzione di stati cognitivi ed affettivi di sé e degli altri. È questa consapevolezza che permette di rilevare le intenzioni e gli stati mentali interni del sé e degli altri durante le interazioni sociali (Baron-Cohen, Leslie, Frith, 1985; Pousa et al., 2008). In altre parole la mentalizzazione è la capacità di rappresentare la prospettiva psicologica dell’altra persona in modo che si possano prevedere i comportamenti degli altri (Amodio, Frith, 2006).

Questo importante e particolare aspetto dell’intelligenza sociale è quello che viene chiamato, dagli psicologi dello sviluppo, teoria della mente (Theory of Mind, ToM) (Wellman, 1990).

La definizione più usata delle ToM è la capacità di fare inferenze riguardo agli stati mentali degli altri, come le intenzioni, i sentimenti, le credenze o il focalizzare l’attenzione. Questa abilità è stata spesso trattata nella letteratura della psicologia dello sviluppo come una funzione a sé stante, separabile dalle altre abilità generali cognitive come le funzioni esecutive e l’intelligenza generale (Wellman, 1990).

Anche la teoria della mente può essere suddivisa in due componenti: cognitiva ed affettiva. Mentre la teoria della mente cognitiva si riferisce alla nostra capacità di fare inferenze sulle credenze delle altre persone, la teoria della mente affettiva si riferisce alle inferenze che si possono fare rispetto alle emozioni degli altri.

Sono stati formulati diversi modelli teorici per spiegare i meccanismi alla base della ToM, tra questi, due sono quelli maggiormente citati in letteratura: il modello della cosiddetta Theory Theory e quello della cosiddetta Simulation theory.

Secondo il primo modello, quello della Theory Theory (Churchland, 1991; Carruthers, Smith, 1996), l’essere umano sarebbe in grado di comprendere lo stato mentale dell’altro attraverso un processo molto simile a quello derivante dall’applicazione di una teoria scientifica a dati osservabili. In particolare, alle informazioni presenti nel contesto della relazione interpersonale, la persona applicherebbe dei principi generali a questa noti (ad esempio: regole condivise all’interno della cultura di appartenenza), per formulare delle ipotesi su come l’altro valuterà una determinata situazione. L’applicazione di “principi generali” (ad esempio: “le persone cercano ciò che desiderano”) consente di giungere ad una previsione dei comportamenti dell’altro. Sarebbe, in sintesi, un processo molto simile a quello applicato da un fisico il quale ricorre a neuroni e quark per spiegare i fenomeni naturali (Churchland, 1991; Carruthers, Smith, 1996).

Secondo il modello della Simulation Theory (Davies, Stone, 1995; Shanton, Goldman, 2010), invece, la ToM si svilupperebbe grazie a processi simulativi basati sulle “autoriflessioni” per “mettersi nei panni dell’altro” (ad esempio: immaginando come ci si sentirebbe indossando nella posizione dell’altro). È un processo attraverso il quale, replicando e modellando su di sé l’esperienza (mentale) dell’altro, la persona diverrebbe in grado di visualizzarne lo stato mentale e di formulare previsioni sul suo comportamento.

Riassumendo, le differenze sostanziali tra i due modelli riguardano principalmente il ruolo dei processi cognitivi nelle capacità di ToM. All’interno del modello Theory Theory, questi processi sarebbero implicati in misura preponderante, con particolare riferimento alle capacità di astrazione e alla memoria di lavoro. Secondo i sostenitori della Simulation Theory, invece, le funzioni cognitive sarebbero implicate in misura minore, mentre un ruolo di rilievo sarebbe rivestito dalla capacità di modellare su di sé l’esperienza dell’altro (Gallese, Goldman, 1998; Gallese, 2013).

La ToM nell’ambito delle GCA

Nei pazienti con esiti di GCA, i disturbi di ToM sono frequenti e possono influenzare la qualità delle relazioni interpersonali del paziente stesso così come la qualità di vita del familiare coinvolto nell’assistenza. Le conseguenze neuropsicologiche della GCA (disturbi di attenzione, di memoria, delle funzioni esecutive e di elaborazione delle informazioni) sono fortemente correlate ad un scarso esito sociale. Studi precedenti hanno riportato una dissociazione tra menomazione del comportamento sociale e prestazioni relativamente conservate in compiti tradizionali che indagano le abilità cognitive (Eslinger, Damasio, 1985). Molte ricerche a questo riguardo si sono soffermate su un aspetto dell’intelligenza sociale, che è appunto la cosiddetta “teoria della mente” (ToM). Come già detto varie volte sopra, la ToM è un processo cognitivo che si riferisce alla capacità di fare inferenze riguardo gli “stati mentali” altrui (convinzioni, intenzioni e desideri) e si utilizzano per comprendere e prevedere il comportamento degli altri.

Studi di neuro-immagine su soggetti sani hanno riportato che la prestazione ad attività di ToM è supportata da un sistema ampiamente distribuito che coinvolge i lobi frontali e temporali (Siegal, Varley, 2002; Vollm et al., 2006). Questo potrebbe spiegare perché giudizi che implicano la ToM sono stati trovati essere alterati nei pazienti con lesioni focali frontali (Stuss et al., 2001). Poiché queste regioni sono frequentemente danneggiate nel trauma cranio-encefalico, è normale quindi prevedere conseguenti deficit nella ToM. Molti studi hanno fornito prove convincenti di un deficit nella capacità di inferire gli stati mentali altrui in pazienti con trauma cranio-encefalico grave.

Secondo alcuni ricercatori il deficit di ToM in queste persone sarebbe attribuibile ad un disturbo più generale delle capacità empatiche conseguente alle alterazioni neuro-comportamentali (Grattan, Eslinger, 1989; Bivona et al., 2014).

Alcuni studi hanno rilevato l’esistenza di una correlazione significativa tra prestazioni a test per la valutazione della memoria di lavoro, della flessibilità cognitiva, della velocità di processazione cognitiva e della capacità di inibizione e le prestazioni a prove di ToM (Bibby, McDonald, 2005; Havet-Thomassin et al., 2006; Henry et al., 2006; Milders et al., 2006; Turkstra et al., 2008; Channon, Crawford, 2010).

Nei pazienti post-comatosi con grave cerebrolesione acquisita, ogni aspetto della cognizione può essere variamente compromesso in base alla sede, alla dimensione e alla profondità della lesione cerebrale. Come detto già precedentemente, e come emerge dagli studi presi in considerazione, i deficit attentivi ed esecutivi sono molto comuni in questi pazienti, così come lo sono le alterazioni della memoria e del linguaggio, caratterizzate, queste ultime, dalla difficoltà del paziente di comunicare in modo socialmente adeguato (McDonald, Flanagan, 2004). Si possono riscontrare, infatti, difficoltà di ragionamento che interferiscono con la capacità di assumere strategie comportamentali vantaggiose per sé e per gli altri, impedendo la risoluzione di problemi anche relativamente semplici nella vita quotidiana.

LA RICERCA

Obiettivi e ipotesi

Gli obiettivi di questo studio sono molteplici:

  1. Valutare le capacità empatiche, a livello cognitivo, quindi di Teoria della Mente, ed affettivo, nel paziente con esiti di GCA: si ipotizza una diminuzione delle abilità empatiche affettive (Wood, Williams, 2008) e cognitive (Wells et al., 2005);

  2. Valutare la possibile correlazione tra le variabili emotive (social cognition e alessitimia) e la qualità della vita dei caregivers. Si ipotizza che la qualità della vita dei familiari sia tanto più compromessa quanto maggiore è la compromissione emotiva dei pazienti.

  3. Valutare la possibile correlazione tra capacità empatiche e variabili neuropsicologiche (funzioni esecutive, memoria a breve e a lungo termine verbale): si ipotizza una correlazione fra i punteggi di empatia cognitiva e quelli ai test che valutano la flessibilità cognitiva (Grattan et al. 1994, Shamay-Tsoory et al. 2003).

Il campione

Per il presente studio sono stati arruolati 3 gruppi di soggetti, composti rispettivamente da un gruppo sperimentale (GS) composto da 13 pazienti con esiti di GCA di entrambi i sessi, ricoverati in regime di DH (Day Hospital) in trattamento attuale o pregresso presso la Fondazione Santa Lucia di Roma, 13 loro caregiver (Gruppo Caregiver) e 13 soggetti sani, senza storia di GCA, paragonabili per età, sesso e livello di scolarità al gruppo sperimentale (Gruppo di Controllo, GC).

Gruppo Sperimentale

Sono stati inclusi nel gruppo sperimentale 13 pazienti di entrambi i sessi con esiti di GCA selezionati tra coloro che non sono più a regime di ricovero ordinario (Day Hospital, ambulatoriale o domiciliati) presso l’Unità Post-Coma della Fondazione Santa Lucia di Roma secondo alcuni criteri di inclusione e di esclusione.

Criteri di inclusione:

  • Età: compresa tra i 18 e i 60 anni;

  • Scolarità: ≥ 8 anni;

  • Durata del coma: ≥ 24h;

  • GCS: ≤ 8;

  • Distanza dall’evento acuto: ≥ 6 mesi

  • Dimissione da almeno 6 mesi dal reparto di riabilitazione

Criteri di esclusione:

Non sono stati inclusi nel gruppo sperimentale i pazienti con le seguenti caratteristiche:

  • Storia di GCA precedente l’evento morboso;

  • Storia di disturbi dell’apprendimento;

  • Disabilità neuropsicologiche che ostacolassero la possibilità di esprimere un consenso informato alla partecipazione allo studio;

  • Afasia o qualsiasi disturbo neurologico che potesse compromettere l’abilità a compilare i questionari;

  • Anamnesi positiva per patologie neurologiche o psichiatriche precedenti al TCE o abuso di alcool o tossico-dipendenza;

  • Marcati disturbi visivi o visuo-percettivi.

Sono stati dunque valutati 13 pazienti di entrambi i sessi, con età media di 37,5 (d.s. = 15,5 anni) e una scolarità media di 12,8 anni (d.s. = 3,3 anni). La media dell’intervallo di tempo (in giorni) intercorso dall’evento morboso alla data della valutazione (cronicità) era di 267,2 giorni, ovvero 8 mesi e 27 giorni (d.s. = 138,2). Tutti i pazienti avevano subito un grave trauma cranico con un valore medio di tempo trascorso per eseguire i primi comandi (TFC-time follow commands equivalente alla durata del coma e/o dello stato vegetativo) di 16,7 giorni. Il TFC è infatti un mezzo per valutare la durata della coscienza compromessa a seguito di lesioni cerebrali traumatiche ed è stato definito l’intervallo di tempo, in giorni, che intercorre tra l’insorgenza del coma fino al momento in cui il paziente non solo apre gli occhi, ma è soprattutto in grado di eseguire semplici comandi. La ricerca dimostra che questa misura può essere uno dei migliori predittori del risultato clinico a seguito di lesioni cerebrali traumatiche, oltre e al di là del tempo, alle risposte motorizzate localizzate e ad altri mezzi per valutare la durata dell’incoscienza.

Gruppo caregiver

Sono stati inclusi nello studio anche i 13 caregiver di ognuno dei 13 pazienti (familiare o persona convivente con il paziente, che al colloquio anamnestico abbia dimostrato di avere una adeguata conoscenza del paziente) al fine di valutare la consapevolezza delle proprie capacità empatiche da parte del paziente e verificare, tramite una scala indiretta i disturbi psico-comportamentali insorti in seguito al trauma cranico.

Criteri di inclusione:

  • Ruolo di caregiver di un paziente con esiti di GCA;

  • Età: compresa tra i 18 e i 60 anni;

  • Scolarità: ≥ 8 anni;

  • Capacità (valutata clinicamente da parte di uno psicologo clinico) di essere sottoposti ad un’intervista o di compilare questionari di autovalutazione;

  • Disponibilità del consenso informato.

  • Criteri di esclusione:

  • Storia di GCA, disturbi neurologici e/o psichiatrici;

  • Abuso di alcol;

  • Uso di sostanze stupefacenti

Gruppo di controllo

Sono stati inclusi nel gruppo di controllo, 13 soggetti normali (senza storia di GCA) equiparabili per caratteristiche sociodemografiche ai pazienti del gruppo sperimentale e senza storia di patologie neurologiche e psichiatriche degne di nota (vedi criteri di esclusione) al fine di avere dei punteggi di empatia di riferimento da confrontare con quelli ottenuti dal gruppo sperimentale.

Criteri di inclusione:

  • Capacità (valutata clinicamente da parte di uno psicologo clinico) di essere sottoposti ad un’intervista o di compilare questionari di autovalutazione;

  • Disponibilità del consenso informato.

  • Criteri di esclusione

  • Storia di GCA, disturbi neurologici e/o psichiatrici;

  • Abuso di alcol;

  • Uso di sostanze stupefacenti.

Gli strumenti

Ai soggetti inclusi nello studio sono stati somministrati gli strumenti elencati di seguito, che prevedono un tempo di somministrazione globale di circa 90 minuti nel caso dei pazienti del gruppo sperimentale, di circa 60 minuti per il gruppo caregiver e di circa 30 minuti per i soggetti del gruppo di controllo. Nel caso di riferita stanchezza o facile faticabilità da parte del paziente nel corso delle prove, la somministrazione è stata distribuita in 2 o più sessioni (per non arrecare alcuno stress al soggetto esaminato).

Dati già disponibili sul paziente e utilizzabili per lo studio

Molte informazioni circa i pazienti, vengono ricavate dai dati rilevati dalle valutazioni cliniche e neuropsicologiche svolte di routine dall’equipe di riferimento del paziente e già presenti in cartella clinica. Trattandosi di dati già disponibili, non è dunque previsto alcun dispendio di tempo per il paziente o per il suo caregiver.

Dati Clinico-Funzionali del paziente:

  • Data del trauma;

  • Durata del disturbo di coscienza;

  • Punteggio GCS (Glasgow Coma Scale);

  • Punteggio Glasgow Outcome Scale-Extended (GOS-E) (Wilson, 1998);

  • Punteggio Disability Rating Scale (DRS) (Rappaport, 1982);

  • Punteggio Levels of Cognitive Functioning (LCF) (Hagen et al., 2005)

Dati neuropsicologici:

  • Attenzione visiva: Trail Making Test (TMT). È un test neuropsicologico di attenzione visiva e cambiamento di compito. Tale test consiste nel collegare 25 target consecutivi su un foglio di carta o sullo schermo di un computer. Il test è composto da due versioni: A e B. Nel TMT-A i 25 target sono numeri (1,2,3, ecc.); mentre nel TMT-B i target sono sia numeri che lettere ed il soggetto deve alternarli in ordine crescente (1, A, 2, B, ecc.). Il compito del soggetto è di collegare con una linea gli stimoli target nel minor tempo possibile. La performance si misura tenendo conto del tempo impiegato dal soggetto per completare il compito. Nella valutazione delle funzioni esecutive, invece, viene considerato come indicativa la differenza tra i tempi della parte B e quelli della parte A (TMT-BA)

  • Funzioni esecutive: punteggi al Winsconsin Card Sorting Test (W.C.S.T., Heaton et al., 1993). È una misura tra le più complete, in grado di valutare più componenti multiple delle funzioni esecutive come il ragionamento astratto, la capacità di problem solving, le abilità di modificare strategie in risposta ai feedback provenienti dall’esterno così come la rigidità cognitiva, evidenziabile nella perseverazione. In particolare, in questo test, sono proprio le risposte perseverative (indice di rigidità o scarsa flessibilità mentale) a rappresentare un’eccellente misura dei deficit delle funzioni esecutive (Greve et al, 2002).

  • Memoria immediata uditivo-verbale e working memory: punteggio al Digit Span diretto e inverso (Orsini, 2003). Il test è infatti composto da due differenti test: 1) digit forward (ripetizione di cifre in avanti) che valuta la memoria immediata uditivo-verbale; 2) digit backward (ripetizione a rovescio) che valuta la working memory. Il test consiste in coppie di sequenze numeriche che l’esaminatore legge aggiungendo di volta in volta una cifra finché il soggetto fallisce una coppia di sequenze oppure ripete correttamente l’ultima sequenza composta da nove numeri. Il range per il digit forward è di 6 + o − 1: lo span di 6 o più è considerato nei limiti normali, uno span di 5 può essere ai margini dei limiti normali, uno span di 4 è considerato borderline, e 3 è deficitario.

  • Working memory: Test di Corsi diretto e inverso (De Renzi, Nichelli, 1975; Spinnler, Tognoni, 1987). È un test di misurazione dello “span” di memoria visuo-spaziale, cioè della quantità di informazioni visuo-spaziali che si riescono a trattenere nella memoria a breve termine

Dati da rilevare sul paziente e sui soggetti di controllo sani:

Alcuni test che sono stati somministrati in questa ricerca sperimentale, sono stati gli stessi sia per il gruppo sperimentale che per il gruppo di controllo. Di seguito vengono descritti tali test in base all’area valutata.

Auto-consapevolezza:

Questa area viene valutata attraverso la somministrazione della Patient Competency Rating Scale (Prigatano et al., 1986), per rilevare il livello di consapevolezza del paziente, sulla base del punteggio discrepante rispetto alla stessa valutazione svolta dal suo caregiver.

La PCRS è un questionario ad auto-somministrazione sviluppato per l’assessment dei deficit di consapevolezza del paziente con esiti di GCA nella fase post-acuta. La PCRS è costituita da una versione per il paziente ed una versione per il familiare. Ogni questionario è costituito da 32 item che valutano le competenze del paziente in diverse aree che comprendono (Leathem et al., 1998):

– Le attività della vita quotidiana;

– Il funzionamento cognitivo;

– Le funzioni interpersonali;

– La regolazione emotiva

Il punteggio per ogni item si attribuisce in base alla risposta che viene data e che va da “no, non riesco” (punteggio = 1) a “si riesco, senza problemi” (punteggio = 5). Il livello di compromissione della consapevolezza si ottiene sottraendo il punteggio ottenuto dal caregiver da quello del paziente (Fleming et al., 1996). Il confronto tra la stima del paziente e la stima del familiare permette di valutare quanto realistica è la valutazione del paziente relativamente alle proprie limitazioni funzionali. Una discrepanza corrispondente ad un punteggio < 10 equivale all’assenza di disturbo; un punteggio compreso tra 10 e 19 equivale a disturbo lieve; un punteggio tra 20 e 34 equivale ad un disturbo moderato; un punteggio > 35 equivale ad un disturbo grave. Il decremento dei disturbi di consapevolezza del sé, misurati tramite la PCRS correlano significativamente con la gravità del danno cerebrale (Prigatano et al., 1998), con la quantità di lesioni intracraniche (Prigatano et al., 1990) e con il di stress emotivo del paziente (Malec et al., 1990).

Empatia e Teoria della Mente:

Per quanto riguarda l’empatia vengono somministrati due questionari di autovalutazione (self-report): la BEES e l’IRI.

La Balanced Emotional Empathy Scale (BEESVERSIONE PAZIENTE/CONTROLLO) (Mehrabian, 2000), composto da 30-item che misurano la capacitàdi un individuo di entrare in empatia con le esperienze emotive altrui. La scala è stata sviluppata da Albert Mehrabian (1996) per rilevare il grado di tendenza empatica, cioè la tendenza a farsi coinvolgere e a vivere vicariamente le emozioni altrui. È composta da 30 item: Quindici item sono costruiti in modo tale che una posizione di “accordo” ad essi da parte del partecipante sia espressione di un grado elevato di empatia emozionale (formulati in senso positivo). I restanti 15 item sono formulati in senso negativo: tale tecnica di bilanciamento ha lo scopo di controllare gli effetti indesiderati di acquiescenza e della desiderabilità sociale. La differenza con altri strumenti che misurano l’empatia (come ad esempio l’IRI) risiede nel valutare in modo specifico la condivisione affettiva, di considerare situazioni con valenza positiva e negativa, e di controllare i bias descritti in precedenza. La scala è stata tradotta nella lingua italiana (Meneghini, Sartori, Cunico, 2006): rispetto alla versione originale, la scala di risposta è stata ridotta a 7 livelli (da -3 a +3) rispetto ai 9 della versione inglese. Tali livelli esprimono il grado di accordo/disaccordo utilizzando la seguente scala numerica: -3=completamente in disaccordo, -2=molto in disaccordo, 1=abbastanza in disaccordo, 0=né d’accordo né in disaccordo, +1=abbastanza d’accordo, +2molto d’accordo, +3=completamente d’accordo.

L’Interpersonal Reactivity Index (IRIVERSIONE PAZIENTE/CONTROLLO) (Davis, 1983) è invece un’altra scala che misura l’empatia cognitiva ed emotiva (versione italiana a cura di Bonino et al., 1998). È un questionario che misura la disposizione empatica in alcune aree di comportamento, basandosi sull’assunto che la capacità di empatia, piuttosto che un costrutto unitario, sia un insieme di dimensioni distinte, correlate fra loro in modo da costituire un sistema interdipendente; a tal proposito fornisce due tipi separati di valutazione: un indice della capacità cognitiva e di perspective taking del soggetto ed un indice della sua reattività emozionale. Il questionario si compone di 28 item, presentati sotto forma di affermazioni articolate in quattro sottoscale, ognuna delle quali composta da sette item, rispetto alle quali il soggetto deve dichiarare il suo grado di accordo o di disaccordo avendo a disposizione cinque possibilità: da 0 (“mai vero”) a 4 (“sempre vero”). I quattro fattori principali messi in luce dalle procedure statistiche sono chiamati da Davis (1980): 1) Fantasy Scale (Fantasia-Empatia), saturato da item relativi alla propensione ad identificarsi con personaggi fittizi della letteratura del cinema o del teatro; 2) Perspective Taking, i cui item sondano la capacità di adottare il punto di vista altrui; 3) Empathic Concern (Considerazione Empatica), i cui item valutano la tendenza dei soggetti a provare compassione, preoccupazione e calore nei confronti di altre persone che vivono esperienze spiacevoli; 4) Personal Distress (Disagio Personale), saturato da item che fanno riferimento ai casi in cui l’essere spettatori di esperienze spiacevoli che accadono ad altri provoca un senso di sconforto e di ansietà nei soggetti stessi. Rispetto al modello multidimensionale, la scala di Fantasia-Empatia di Davis prende in esame la capacità di immaginarsi in situazioni fittizie; essa focalizza, pertanto, un meccanismo che può essere ritenuto un prerequisito o un antecedente del “role taking sociale”. La scala di “Perspective Taking” esplora il processo che consente al soggetto di guardare le cose dalla prospettiva degli altri e non soltanto l’accuratezza di giudizio o la percezione interpersonale. La scala di considerazione Empatica si riferisce a quelle che vengono designate come conseguenze affettive del processo cognitivo. Gli item, infatti, analizzano la disponibilità ad essere rispondenti sensitivamente agli altri quando questi vivono situazioni di disagio. La scala di disagio personale valuta anch’essa risposte di tipo affettivo parallele o reattive. La risposta parallela si ha quando il soggetto si mette sulla stessa lunghezza d’onda dell’altro che sta provando sconforto o disagio. Quella reattiva si ha, invece, nel caso in cui il soggetto provi un’emozione per difendersi dagli affetti che la persona osservata sta sperimentando.

Una prova che viene somministrata sia al gruppo sperimentale che al gruppo di controllo, che segue il paradigma della Teoria della Mente è invece il Test dei Passi Falsi (Faux Pas Test) (Wimmer, Perner, 1983; Baron-Cohen et al. 1999). In accordo con tale teoria, sono stati composti brevi racconti seguiti da una serie di domande. Si tratta di sei storie nelle quali è descritto un evento che si è verificato precedentemente tra due persone. I due personaggi si incontrano e il protagonista, dimenticando l’evento, dice qualcosa di scomodo che potrebbe offendere l’altra persona. Le domande sono volte a esaminare le caratteristiche del passo falso, nei suoi vari aspetti:

  • Rilevare la gaffe (domanda 1: qualcuno ha detto qualcosa che non doveva dire?);

  • Identificare chi ha commesso la gaffe (domanda 2: chi ha detto qualcosa che non doveva dire?);

  • Comprendere lo stato mentale di colui che ascolta (domanda 3: perché il protagonista non avrebbe dovuto dire ciò che ha detto?);

  • Comprendere lo stato mentale del protagonista (domanda 4: perché lo ha detto?);

  • Valutare la capacità del soggetto esaminato di ricordare i personaggi della storia.

Sono anche previste sei storie di controllo, nelle quali non avviene nessuna gaffe tra i personaggi. Per tutte le storie l’accuratezza sarà registrata separatamente per ogni domanda. Un punteggio di 1 sarà assegnato alle risposte corrette, mentre un punteggio di 0 sarà assegnato alle risposte sbagliate.

Contagio emotivo:

Il contagio emotivo è valutato tramite la somministrazione dell’Emotional Contagion Scale (Ecs_Versione Paziente/Controllo) (Doherty, 1997) composta da 15 item che misurano la capacità di riconoscere e condividere i sentimenti di un’altra persona. Si chiede dunque di dare una risposta che vada da “mai vero per me” a “sempre vero per me” sulla base dell’affermazione letta.

Alessitimia:

Per valutare l’alessitimia, ovvero l’incapacità di riconoscere le proprie emozioni e di comunicarle verbalmente, viene invece somministrata la Toronto Alexitimia Scale (TAS 20) (Parker et al., 1993; Bagby et al., 1994), un questionario di autovalutazione dell’alessitimia costituito da 20 items. E’ una scala di autovalutazione in cui ciascun item (20 item) viene misurato su una scala di 5 punti dalla quale derivano 3 fattori: • Fattore 1: difficoltà a identificare i propri sentimenti ed a distinguerli dalle sensazioni fisiche delle emozioni, costituito dagli item 1, 3, 6, 9, 13 e 14; • Fattore 2: difficoltà nell’esprimere i propri sentimenti, costituito dagli item 2, 4, 11, 12 e 17; • Fattore 3: pensiero orientato verso l’esterno, costituito dagli item 5, 8, 10, 15, 16, 18, 19 e 20. Lo strumento ha dimostrato una buona validità convergente, discriminante e concorrente.

Da rilevare invece solo sul paziente ma non sul gruppo di controllo di soggetti sani, è la

Qualità della Vita:

L’unico test che viene somministrato esclusivamente al paziente è il Quality of Life after Brain Injury (QOLIBRI/VERSIONE PAZIENTE) (Giustini et al., 2014), un questionario ad auto-somministrazione suddiviso in due parti, la prima relativa alla soddisfazione per le proprie capacità, la seconda relativa al disagio percepito a causa dei propri disturbi post-GCA. Di questo test esiste anche la versione per il caregiver.

Dati da rilevare sul caregiver:

Qualità della vita del paziente e del caregiver:

Il QOLIBRI/Versione Familiare (Formisano et al., non pubblicato) è una versione modificata ed estesa del QOLIBRI/Versione Paziente, comprendente una doppia serie di domande per ogni sessione: nella prima domanda si chiede al familiare di esprimere la propria valutazione su quale pensa sia la soddisfazione e il disagio percepito dal proprio parente/paziente nei diversi aspetti della vita; nella seconda gli si chiede di valutare la propria soddisfazione e il proprio disagio su quegli stessi aspetti della vita a seguito dell’evento morboso.

Consapevolezza di malattia del paziente:

Al caregiver viene somministrata la versione parallela della Patient Competency Rating Scale (Prigatano et al., 1986) (PCRS/Versione Familiare), per rilevare il livello di consapevolezza del paziente, sulla base del punteggio discrepante rispetto alla stessa valutazione svolta dal suo caregiver.

L’elaborazione dei dati

Per verificare le ipotesi formulate nel presente studio, sono state effettuate diverse indagini statistiche. Sono stati analizzati 13 pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA), 13 controlli appaiati ai pazienti per età, sesso e scolarità, ed i 13 caregivers dei pazienti presi in esame.

Lo scopo principale dell’analisi statistica è stato quello di valutare se e quanto la presenza di una GCA comporti un danno in termini di riduzione delle capacità di empatia e abilità nel capire gli stati mentali altrui (Teoria della Mente).

Per le scale di valutazione dell’empatia (BEES, IRI, ECS, TAS) – di natura ordinale – è stata condotta un’analisi statistica non parametrica finalizzata al confronto tra i valori mediani dei punteggi dei diversi gruppi. Di conseguenza, le differenze che sono emerse, sono state valutate tramite il Test di Kruskall-Wallis.

Per quanto riguarda i test che valutano la Teoria della Mente (Passi Falsi), sebbene si possa procedere ad un confronto tra medie (Test T di Student) perché trattasi di dati intervallari o di rapporto, l’esiguità dei dati suggerisce di utilizzare, anche in questo caso, metodi non parametrici il cui utilizzo richiede per propria natura assunzioni assai meno restrittive. Per cui, anche in questo caso si è proceduto con il Test di Kruskall-Wallis per il confronto tra mediane.

Per correlare i risultati si è preso in considerazione il valore di significatività statistica p<0,05.

Il gruppo dei 13 pazienti ha un’età media di 37,5 anni (sd ±15,6), una scolarità media di 12,8 anni (sd ± 3,3), una cronicità media di 267,2 giorni (sd ±138,2). Altri parametri descrittivi sono nelle tabelle sottostanti riguardanti i dati sociodemografici, dati clini e dati neuropsicologici.

Tab. 1. Dati sociodemografici

Media

dev std

%F

%M

Età

37,5

15,6

Scolarità

12,8

3,3

Sesso

20

80

Tab. 2. Dati clinici

Media

Dev St.

Q1

Mediana

Q3

Cronicità (giorni)

267,2

138,2

TFC (giorni)

18,1

9,6

PCRS (discrepanza)

17,1

19,8

GCS

8

8

8

GOS

3

4

5

DRS

4

5

7

LCF

7

7

8

Il punteggio PCRS (discrepanza) si riferisce alla discrepanza tra le risposte del paziente e quelle del proprio caregivers, ma la media di tale punteggio (17,1) indica che il gruppo preso in esame risulta essere mediamente con nessuno o con basso livello di inconsapevolezza, motivo per cui ha avuto un senso somministrare le prove self-report (questionari per valutare l’empatia). Secondo le indicazioni di Prigatano (1998) infatti i pazienti che riportano un punteggio discrepante compreso tra 0 e 20, sono consapevoli o con scarsissima inconsapevolezza.

Tab. 3.1 Dati neuropsicologici: Wisconsin Card Sorting e Trail Making Test

PZ.

WCST

 

WCST

 

WCST

 

TMT

 

TMT

 

TMT

 

categorie

P.G.

P.E.

% R.p.

P.G.

P.E.

% E.p.

P.G.

P.E.

A

P.E.

B

P.E.

B-A

P.E.

B.C.

5

1

27

0

23

0

38″

1

110″

1

72″

1

C.L.

4

1

12,5

1

12

1

24″

1

66″

1

42″

1

C.A.

4

1

24

0

18

0

44″

1

141″

1

97″

1

C.F.

6

1

21,87

0

17,96

0

60″

1

126″

1

66″

1

C.M.

6

1

17,2

1

16,8

1

61″

1

251″

0

190″

0

D.M.

6

1

26

0

22

0

55″

1

328″

1

273″

1

D.Y.

6

1

4,1

1

4,1

1

47″

1

110″

1

63″

1

D.M.

3

0

54,69

0

41,41

0

50″

1

94″

1

44″

1

F.A.

2

0

21,09

0

20,31

0

111″

1

207″

1

96″

1

G.M.

6

1

18

1

15

1

63″

1

142″

1

79″

1

L.F.

6

1

13,5

1

11,4

1

54″

1

160″

1

106″

1

M.L.

0

0

70,3

0

51,5

0

62″

1

180″

1

118″

1

V.M.

6

1

16,3

0

14

0

55″

1

125″

1

70″

1

Tab.3.2 Dati neuropsicologici: Digit Span (diretto e inverso) e Corsi Span (diretto e inverso).

PZ.

Digit

 

Digit

 

Corsi

 

Corsi

 

DIRETTO
P.G.

P.E.

INVERSO
P.G.

P.E.

DIRETTO
P.G.

P.E.

INVERSO
P.G.

P.E.

B.C.

5

1

4

1

5

1

4/9

1

C.L.

6

1

4

1

5

1

5/9

1

C.A.

6

1

4

1

5

1

4/9

1

C.F.

5

1

4

1

5

1

3/9

0

C.M.

4

0

4

1

5

1

5/9

1

D.M.

5

1

4

1

5

1

5/9

1

D.Y.

5

1

5

1

6

1

6/9

1

D.M.

6

1

3

1

5

1

4/9

1

F.A.

6

1

4

1

7

1

4/9

1

G.M.

6

1

5

1

4

1

5/9

1

L.F.

6

1

3

1

4

1

3/9

1

M.L.

6

1

3

0

6

1

4/9

1

V.M.

5

1

4

1

6

1

6/9

1

Nei dati neuropsicologici soprastanti, viene assegnato 0 per i punteggi patologici e 1 per i punteggi non patologici. Si può dunque evincere che il gruppo di pazienti reclutato abbia un livello cognitivo mediamente sano. Per quanto riguarda il confronto tra pazienti, controlli e caregiver, di seguito verrà esposto ciò che è emerso dalle correlazioni tra i valori di tendenza centrale (mediane) dei principali test somministrati. Nella correlazione dei punteggi delle scale che valutano l’empatia (BEES, IRI, ECS), è emerso che i valori dei pazienti sono tutti sistematicamente inferiori a quelli riportati dai controlli, le cui differenze tra i valori mediani risultano statisticamente molto significative (p<0,05). Appare dunque evidente che la presenza di una GCA incida in modo significativo sulle capacità di empatia, così come sulla capacità di identificare e descrivere i propri sentimenti, come dimostrano le differenze – anch’esse statisticamente significative – nelle scale della TAS20. Tali evidenze sono dimostrate in modo ancora più chiaro nella tabelle e nei grafici ad essa relativi, sottostanti, dove si può notare subito la grande differenza dei risultati tra pazienti e controlli.

Tab. 4. Statistiche Kruskall-Wallis dei test di empatia e alessitimia

Pazienti

Controlli

Mediana

Kruskall-Wallis test

Significatività

BEES

81

113

chi2=18,816

p<0,01

IRI

66

95

chi2=18,594

p<0,01

ECS

33

45

chi2=18,823

p<0,01

TAS20 (totale)

64

29

chi2=18,842

p<0,01

TAS20 (identificare sentimenti)

21

9

chi2=18,881

p<0,01

TAS20 (comunicare sentimenti)

15

8

chi2=9,552

p<0,01

TAS20 (pensiero orientato all’esterno)

27

13

chi2=18,849

p<0,01

Grafico 1.

Grafico 2.

Un discorso analogo a quello appena esposto, va fatto in relazione a quanto emerso dall’analisi dei risultati dei Passi Falsi. Le differenze, sia nelle distribuzioni dei valori, sia nelle mediane, sono marcate e altamente significative, in particolare per quanto concerne FP1 (Faux Pas 1), FP2, FP3 ed FP4. In tutte queste dimensioni i controlli hanno delle performance nettamente superiori rispetto ai pazienti i quali, dunque, si trovan

o a commettere un maggio numero di “passi falsi”.

La verifica di memoria (FP 5) invece, come si può vedere dalla tabella e dal grafico, non sembra essere un esame discriminante tra pazienti e controlli, e questo dato conferma il fatto che il gruppo di pazienti preso in esame, non riporta particolari deficit di memoria. In questo tipo di prova infatti si verifica solamente se il soggetto si ricorda i nomi dei personaggi della storia.

Differenze significative sono state trovate anche nella storia di controllo SC1, mentre non sembra essere un esame discriminante tra pazienti e controlli l’SC2 e l’FP5.

Tab. 5. Statistiche Kruskall-Wallis del test dei Passi Falsi

Pazienti

Controlli

Mediana

Kruskall-Wallis test

Significatività

SC1

5

6

chi2=18,958

p<0,01

SC2

5,5

6

chi2=6,668

Ns

FP1

2,5

6

chi2=11,900

p<0,01

FP2

2

6

chi2=13,902

p<0,01

FP3

2, 5

6

chi2=10,859

p<0,01

FP4

1,5

6

chi2=10,229

p<0,01

FP5 (Verifica di memoria)

5,5

6

chi2=3,653

Ns

Grafico 3. In riferimento alla tabella soprastante

Per quanto riguarda invece il test che valuta la qualità della vita, sono stati correlati i punteggi di pazienti e caregivers, in quanto al gruppo di controllo non viene somministrato questo tipo di test. Nello specifico, è stato preso in considerazione il punteggio complessivo delle due aree in cui si struttura il QOLIBRI (soddisfazione e disagio).

Da questa correlazione è emerso che i pazienti mostrano un livello di soddisfazione superiore a quello dei caregivers (133 vs 110), e tale differenza è altamente significativa (p<0,05). Rispetto all’area del disagio, invece, non si rilevano differenze significative.

Questi dati sono meglio visualizzabili nella tabella e nel grafico ad essa relativo sottostanti.

Tab. 6. Statistiche Kruskall-Wallis del test sulla qualità della vita (QOLIBRI)

Pazienti

Caregivers

Median

a

Kruskall-Wallis test

Significatività

QOLIBRI SODDISFAZIONE

133

110

chi²=7,958

p<0,01

QOLIBRI DISAGIO

20

28

chi²=1,921

Ns

Grafico 4.

Sono state poi messe in relazione le scale di empatia ed alessitimia dei pazienti con le scale QOLIBRI dei familiari. Per questo tipo di analisi è stato utilizzato l’indice di correlazione rho per ranghi di Spearman, una misura statistica non parametrica di correlazione che va da 0 (nessuna correlazione) a ± 1 (correlazione totale, positiva o negativa).

Nella matrice sottostante vengono riportati questi coefficienti di correlazione.

Tab. 7. Correlazioni di Spearman tra empatia e alessitimia e QOLIBRI dei familiari

Come si può notare, il QOLIBRI non è correlato in maniera statisticamente significativa con nessuna scala propria del dominio dell’empatia (BEES, IRI, ECS), mentre appare una correlazione ai limiti della significatività statistica tra la scala QOLIBRI_SODDISFAZIONE_FAMILIARE e la TAS20 (p=0,0512). Come è atteso, risultano anche esserci correlazioni significative tra le scale appartenenti alla stessa area (es BEES vs IRI, p=0.0035 con un rho=0,7445 che indica una forte correlazione positiva; TAS20 vs TAS20_DIF, p=0.0060 con un rho=0,7i53; TAS20 vs TAS20_EOT, p=0.0002 con un rho=0,8548)

Discussione dei risultati

Lo scopo principale del presente studio, se pur preliminare dato il numero esiguo del campione utilizzato, è stato quello di valutare le abilità empatiche, cognitive ed affettive nei pazienti con esiti di Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA).

Il primo importante risultato del presente studio riguarda la verifica di una netta riduzione, se non una perdita totale, delle abilità di cognizione sociale nel paziente con GCA. Infatti l’analisi statistica ha dimostrato che i gruppi presi in esame e correlati tra loro (gruppo sperimentale e gruppo di controllo), si differenziano significativamente in tutte le prove di Social Cognition, quindi empatia e Teoria della Mente (ToM). In particolare, in linea con i pochi dati di letteratura sulla perdita delle capacità empatica in seguito a GCA (Wood, Williams, 2008; Williams, Wood, 2009) attraverso le analisi statistiche sopra esposte, è stata evidenziata una riduzione significativa delle abilità empatiche nei pazienti con esiti di GCA. Nello specifico infatti, come da noi ipotizzato, i punteggi del gruppo sperimentale alle tre scale che misurano l’empatia, dunque BEES, IRI ed ECS, sono tutti significativamente inferiori rispetto ai punteggi dati dal gruppo di controllo. Questo starebbe a significare che, la presenza di una grave cerebrolesione acquisita, andando a danneggiare le varie aree del cervello, possa incidere fortemente sulla capacità degli individui di empatizzare e di conseguenza che ci sono specifiche aree del cervello adibite all’empatia (Shamay-Tsoory et al., 2005). Sulla base del punteggio discrepante tra PCRS del paziente e PCRS del familiare, si è potuto constatare che il gruppo sperimentale preso in esame è un gruppo che mediamente non riporta quasi nessun disturbo di consapevolezza. Trattandosi dunque di un gruppo di pazienti consapevoli, si può ritenere il dato emerso sull’empatia come un dato più che attendibile, in quanto dimostra il fatto che somministrare prove self-report abbia avuto un senso. Questi dati dimostrano dunque che in un gruppo di pazienti con una GCA iniziale, seppur con un buon outcome da un punto di vista cognitivo, è possibile che le capacità di social cognition vengano perse.

Il secondo importante risultato del presente studio riguarda la verifica, in particolare, di una perdita non solo delle abilità empatiche, ma anche di Teoria della Mente, e dunque della capacità di sapersi mettere nei panni dell’altro. Infatti, i risultati preliminari del presente studio mostrano che, in una prova performance-based verbale come il test dei Passi Falsi, il gruppo dei pazienti con grave cerebrolesione acquisita, riporta una marcata difficoltà, rispetto al gruppo di controllo, sia nel riconoscere la “gaffe” insita nella storia, che nel rispondere correttamente alle domande riferite alle conseguenze del passo falso (Davis, 1983; Spinella, 2005; Shamai-Tsoory et al., 2007). Questo dato è in accordo con quanto trovato da Milders et al. (2003) i quali hanno rilevato nel loro studio una compromissione nei compiti di detezione del passo falso a causa di grave cerebrolesione acquisita. Di conseguenza, possiamo inferire che i pazienti con GCA vanno incontro alla possibilità di perdere la capacità di mettersi nei panni dell’altro, non solo da un punto di vista cognitivo, ma anche affettivo. Come atteso non sono invece emerse differenze nei risultati alle prove SC2 ed FP5 relative alla verifica di memoria. In queste prove infatti si chiede all’esaminato se si ricorda i nomi dei personaggi presenti nella storia. Come valutato dalle prove neuropsicologiche infatti il gruppo di pazienti preso in esame possiede un medio/buono livello cognitivo, dunque sia di memoria che di funzioni esecutive, e questo è dunque in linea con il risultato emerso relativo all’assenza di difficoltà da parte dei pazienti a memorizzare i nomi dei personaggi, esattamente come il gruppo di controllo. Un risultato non atteso è invece quello relativo alla storia di controllo 1 (SC1). Essendo questa una storia che non presenta un passo falso, che non presenta una “gaffe”, ci saremmo aspettati che i pazienti non commettessero errori, dato anche il loro livello cognitivo mediamente buono. Invece dall’analisi statistica risulta che tali pazienti abbiano commesso errori significativi rispetto al gruppo di controllo. Questo sta quindi a significare due cose: da una parte, questo gruppo di pazienti è talmente incapace di mettersi nei panni dell’altro che non riesce a rendersi conto nemmeno di quando è assente la “gaffe”; dall’altra che potrebbero esserci variabili di personalità che potrebbero andare ad inficiare la prova di controllo. In merito a questo, ci sarebbe bisogno quindi di uno studio specifico che vada a correlare la performance a questi test e la personalità del soggetto, studio che esula dall’obiettivo di questa tesi sperimentale.

Un altro dato importante che è emerso dall’analisi statistica è quello relativo alla qualità della vita. Somministrando entrambe le scale (soddisfazione e disagio) del QOLIBRI test infatti si è voluto andare a studiare quanto un trauma cranico di tale entità possa andare ad inficiare sulla qualità della vita sia del paziente che dei suoi familiari. Da qui, è emerso che i pazienti risultano essere più soddisfatti rispetto ai caregivers. Essendo, come abbiamo detto, un gruppo di pazienti caratterizzati da una buona consapevolezza, questo dato potrebbe stare ad indicare che potrebbero essere soggetti anosodiaforici, ovvero caratterizzati da indifferenza o valutazione che minimizza la gravità dei deficit, tuttavia per indagare questo dato servono studi ulteriori. Dall’altra parte il punteggio più basso ottenuto dai familiari, probabilmente è condizionato anche da una condizione depressiva che impedisce dunque loro di vedere i miglioramenti e le competenze recuperate dal proprio caro.

Per quanto riguarda invece la scala del disagio del QOLIBRI, non è emersa una differenza di punteggio statisticamente significativa.

Un dato molto importante emerso dalle analisi statistiche è quello relativo all’alessitimia. Correlando infatti la TAS-20 dei pazienti con la qualità della vita dei familiari (valutata attraverso il QOLIBRI), è emersa una tendenza alla significatività, molto prossima alla significatività statistica (p=0,051), tra le due scale. Ovvero, in linea con lo studio di Williams e Wood (2013) è risultato che più i pazienti risultano essere alessitimici e meno i caregivers sono soddisfatti (nella scala relativa alla qualità della vita), dunque che la presenza di alessitimia nei soggetti con trauma cranico grave ha un forte impatto sulla vita anche dei propri familiari. Questo potrebbe essere spiegato dal fatto che il paziente alessitimico risulta essere quasi sterile emotivamente, dunque incapace di comunicare emozioni, di entrare empaticamente ed emotivamente in contatto con gli altri e, quindi, con difficoltà relazionali; di conseguenza il familiare, di fronte al proprio caro caratterizzato da tale sterilità emotiva, e con il quale riporta difficoltà relazionali, ed incapacità comunicative su questioni importanti all’interno della famiglia, riporta, ovviamente, un grado di soddisfazione basso.

Inoltre bisogna aggiungere che, come notato nel paragrafo precedente, tutte le scale di empatia, come atteso, sono intercorrelate.

Considerando l’esiguità del campione reclutato, le conclusioni fino ad ora esposte sono da considerare come preliminari ed esplorative. In un futuro studio infatti sarà necessario ampliare il campione al fine di avere risultati più attendibili.

Riferimenti Bibliografici

ABOULAFIA-BRAKHA, T., CHRISTEL, B., MARTORY, M.D., ANNONI, J.M. (2011). Theory of mind tasks and executive functions: A systematic review of group studies in neurology. Journal of Neuropsychology, 5, 39–55

ACKERLY, S.S., BENTON, A.L. (1948). Report of case of bilateral frontal lobe defect. Research Publications of the Association for Research in Nervous and Mental Disease, 27:479-504.

ADOLPHS, R. (2002). Neural system for recognizing emotion. Current Opinion in Neurobiology, 12: 169-177.

ADOLPHS, R., (2003). Cognitive neuroscience of human social behaviour. Nat Rev Neurosci. 4(3):165-78. Review.

ADOLPHS, R., BARON-COHEN, S., TRANEL, D. (2002). Impaired recognition of social emotions following amygdala damage. Journal of cognitive neuroscience, 14.8: 1264-1274.

ALEXANDER, M. P., FREEDMAN, M. (1984). Amnesia after anterior communicating artery aneurysm rupture. Neurology, 34(6), 752-752.

ALLPORT, G.W. (1937). Personality; a psychological interpretation. New York: Henry Holt.

AMODIO, D. M., FRITH, C. D. (2006). Meeting of minds: The medial frontal cortex and social cognition. Nature Reviews: Neuroscience, 7, 268–277.

APPERLY, I.A. (2008). Beyond Simulation–Theory and Theory–Theory: Why social cognitive neuroscience should use its own concepts to study “theory of mind”. Cognition, 107 (2008) 266–283.

APPERLY, I.A., SAMSON, D., CHIAVARINO, C., HUMPHREYS, G.W. (2004). Frontal and Temporo-Parietal Lobe Contributions to Theory of Mind: Neuropsychological Evidence from a False-Belief Task with Reduced Language and Executive Demands. Journal of Cognitive Neuroscience, 16:10, pp. 1773–1784

ARON, A.R., POLDRACK, R.A. (2005). The cognitive neuroscience of response inhibition: relevance for generic research in attention-deficit/hyperactivity disorder. Biol. Psychiatry, 57, 1285–1292.

ASTINGTON, J., HARRIS, P., OLSON, D. (1988). Developing theories of mind. New York: Cambridge University Press.

BACH, M., BACH, D., DE ZWAAN, M., SERIM, M., BÖHMER, F. (1996). Validation of the German version of the 20-item Toronto Alexithymia Scale in normal persons and psychiatric patients. Psychother Psychosom Med Psychol., 46(1):23-8. German.

BAGBY, R., PARKER, J.D., TAYLOR G. J. (1994). The twenty-item Toronto Alexithymia Scale: I. Item selection and cross-validation of the factor structure. J. Psychother. Pract. Res., 38: 23-32.

BAGULEY, I.J., NICHOLLS, J.L., FELMINGHAM, K.L., et al. (1999). Dysautonomia after traumatic brain injury: a forgotten syndrome? J Neurol Neurosurg Psychiatry; 67, 39.

BARA, B.G., TIRASSA, M., ZETTIN, M. (1997). Neuropragmatics: Neuropsychological Constraints on Formal Theories of Dialogue. Brain and Language, 59, 7–49 (1997)

BARON-COHEN, S., LESLIE, A. M., FRITH, U. (1985). Does the autistic child have a theory of mind? Cognition, 21, 37–46.

BARON-COHEN, S., O’RIORDAN, M., STONE, V., JONES, R., PLAISTED, K. (1999). Recognition of faux pas by normally developing children and children with Asperger syndrome or high-functioning autism. Journal of Autism and Developmental Disorders, 29, 407–418, 1999.

BARON-COHEN, S., RING, H., MORIATRY J., SCHMITZ, B., COSTA, D., ELL, P. (1994). Recognition of mental state terms. Clinical findings in children with autism and a functional neuroimaging study of normal adults. Br J Psychiatry, 165(5):640-9.

BARON-COHEN, S., TAGER-FLUSBERG, H., COHEN, J.D. (2000). Understanding Other Minds; Perspectives From Developmental Cognitive Neuroscience. Oxford University Press.

BARON-COHEN, S., WHEELWRIGHT, S., (2004). The Empathy Quotient: an investigation of adults with Aspenger Syndrome or High Functioning Autism, and normal sex differences. Journal of Autism and Developmental Disorder, 34(2), 163-175.

BASSO, A., CAPITANI, E., LAIACONA, (1987). M. Raven’s Coloured Progressive Matrices: normative values on 305 adult normal controls. Functional Neurology; 2:189-94.

BATSON, C. D. (1990). How social an animal? The human capacity for caring. American psychologist, 45(3), 336.

BECK, A. T., STEER, R. A., BROWN, G. K. (1996). Beck depression inventory.

BEER, J. S., JOHN, O. P., SCABINI, D., KNIGHT, R. T. (2006). Orbitofrontal cortex and social behavior: integrating self-monitoring and emotion-cognition interactions. Journal of cognitive neuroscience, 18(6), 871-879.

BEER, J. S., OCHSNER, K. N. (2006). Social cognition: a multi-level analysis. Brain research, 1079(1), 98-105.

BESEL, L.D.S. (2007). Empathy: the role of facial expression recognition. Diss. Abstr. Int. 68, 2638.

BIBBY, H. AND MCDONALD, S. (2005). Theory of mind after traumatic brain injury. Neuropsychologia, 43, 99–114.

BINDER, H., GERSTENBRAND, F., GRUNBERGER, J. et al. (1976). Experience with a L-dopa retard preparation in the peroral long-term therapy of the Parkinsonian syndrome. Nervenarzt, 47(11):656.

BIVONA, U., FORMISANO, R., DE LAURENTIIS, S., ACCETTA, N., DI COSIMO, M.R., MASSICCI, R., CIURLI, P., AZICNUDA, E., SILVESTRO, D., SABATINI, U., FALLETTA CARAVASSO, C., CARLESIMO, G.A., CALTAGIRONE, C., COSTA, A. (2015). Theory of mind impairment after severe traumatic brain injury and its relationship with caregivers’ quality of life. Restorative Neurology and Neuroscience, 33, 335–345

BLAIR, R. J., MORRIS, J.S., FRITH, C.D., PERRET, D.I, DOLAN, R.J. (1999). Dissociable neuralresponses to facial expressions of sadness and anger. Brain, 122: 833-893.

BLUMER, D., BENSON, D.F. (1975). Personality changes with frontal and temporal lobe lesions. In: Benson D.F. Blumer D. (a cura di) Psychiatric Aspects of Neurologic Disease. New York: Grune and Stratton, 151-169.

BODINI, B., IACOBINI, M., LENZI, G. L. (2004). Acute stroke effects on emotions: an interpretation through the Mirror system. Curr Opin Neurol, 17: 55-60.

BONINO, S., CAPRARA, G.V., (1994). L’empatia tra commozione e contagio. Età evolutiva, 48, 62-70.

BONINO, S., LO COCO, A., TANI, F. (1998). Empatia: i processi di condivisione delle emozioni. Giunti Editore.

BOWDEN, E.M., BEEMAN, M.J. (1998). Getting the right idea: semantic activation in the right hemisphere may help solve insight problems. Psychol Sci, 9: 435–40.

BROOKS, D.N., AUGHTON, M.E., BOND, M., JONES, P., RIZVI, S. (1980). Cognitive sequelae in relationship to early indices of severity of brain damage after severe blunt head injury. Journal of Neurology Neurosurgery and Psychiatry, 43:529-34.

BROTHERS, L., RING, B. (1992). A neuroethological framework for the representation of minds. Journal of cognitive neuroscience, 4(2), 107-118.

BROTHERS, L., RING, B., KLING, A. (1990). Response of neurons in the macaque amygdala to complex social stimuli. Behavioural brain research, 41(3), 199-213.

BROUWER, W.H., VAN WOLFFELAAR, P.C. (1985). Sustained attention and sustained effort after closed head injury. Cortex, 21:111-9.

BUSH, G., LUU, P., POSNER, M.I., (2000). Cognitive and emotional influences in anterior cingulate cortex. Trends Cogn. Sci., 4, 215–222.

CARLESIMO, G.A., CALTAGIRONE, C., GAINOTTI, G. (1996). The Mental Deterioration Battery: normative data, diagnostic reliability and qualitative analyses of cognitive impairment. The Group for the Standardization of the Mental Deterioration Battery. Eur Neurol., 36(6):378-84.

CARRUTHERS, P., SMITH, P. K. (1996). Theories of theories of mind. Cambridge University Press.

CAVATORTA, S. (1999). Inquadramento clinico e approccio riabilitativo del trauma cranico lieve. Rivista Medica Vol, 5(1-2).

CHANNON, S., CRAWFORD, S. (2000). The effects of anterior lesions on performance on a story comprehension test: Left anterior impairment on a theory of mind-type task. Neuropsychologia, 38, 1006–1017.

CHANNON, S., CRAWFORD, S. (2010). Mentalising and social problem-solving after brain injury. Neuropsychol. Rehabil, 20, 739-759.

CHANNON, S., PELLIJEFF, A., RULE, A. (2005). Social cognition after head injury: Sarcasm and theory of mind. Brain and Language, 93, 123-134.

CHAPIN, F.S. (1942). Preliminary standardization of a social insight scale. American Sociological Review, 7, 214–225.

CHOI, S.C., NARAYAN, R.L., ANDERSON, R.L., WARD, J.D. (1988). Enhanced specificity of prognosis in severe head injury. Journal of Neurosurgery, 69:381-5.

CHURCHLAND, P. S. (1991). Our brains, our selves: Reflections on neuroethical questions. Bioscience and Society, 77-96.

CICERONE, K. D., LAZAR, R. M., SHAPIRO, W. R. (1983). Effects of frontal lobe lesions on hypothesis sampling during concept formation. Neuropsychologia, 21(5), 513-524.

CIURLI, P., MARANGOLO, P., BASSO, A. (1996). Esame del Linguaggio-II. Firenze: O. S. Organizzazioni Speciali.

COSTA, A., TORRIERO, S., OLIVERI, M., CALTAGIRONE, C. (2008) Prefrontal and temporo-parietal involvement in taking others’ perspective: TMS evidence. Behavioural Neurology, 19, 71-74.

CUMMINGS, J.L. (1994). Neuropsychiatric Inventory. Neurology, 44, 2308-2314.

CUNNINGHAM, W.A., ZELAZO, P.D., (2007). Attitudes and evaluations: a social cognitive neuroscience perspective. Trends Cogn. Sci. 11, 97–104.

CURRIE, G., RAVENSCROFT, I. (2002). Recreative minds: Imagination in philosophy and psychology. Oxford University Press.

DAMASIO, A. (2003). Feelings of emotion and the self. Annals of the New York Academy of Sciences, 1001(1), 253-261.

DAMASIO, A.R. (1994). Descartes’ error: emotion, reason and the human brain. New York: Putnam’s sons. (trad. it.) L’errore di Cartesio: emozione, ragione e cervello umano. Milano, Adelphi, (1998).

DAMASIO, A.R., VAN HOESEN, G.W., DAMASIO, H. (1980). The role of the supplemental motor area in speech production and language processing. Paper presented at the 18th Annual Meeting of the Academy of Aphasia, South Yarmouth, MA.

DAMASIO, H., GRABOWSKY, T., FRANK, R., GALABURDA, A.M., DAMASIO, A.R. (1984).The return of Phineas Gage: Clues about the brain from the skull of a famous patient. Science, 264:1102-1105.

DAPRETTO, M., DAVIS, M.S., PFEIFER, J.H., SCOTT, A.A., SIGMAN, M., BOOKHEIMER, S.Y. (2006). Understanding emotions in others: mirror neuron dysfunction in children with autism spectrum disorders. Nat. Neurosci., 9, 28–30.

DAVIS, M.H. (1980). A multidimensional approach to individual differences in empathy. JSAS Catalog of Selected Documents in Psychology, 10,85.

DAVIS, M.H., (1983). Measuring individual differences in emphaty: evidence for a multidimensional approach. Journal of personality and social psychology, 44, 113-126.

DAVIS, M.H., (1994). Empathy. A social psychological approach. Brown e Benchmark, Madison.

DE RENZI, E., VIGNOLO, L.A. (1962). The Token Test: a sensitive test to detect receptive disturbances in aphasics. Brain; 85:556-678.

DE SOUSA, A., MCDONALD, S., RUSHBY, J., LI, S., DIMOSKA, A., JAMES, C. (2010). Why don’t you feel how I feel? Insight into the absence of empathy after severe Traumatic Brain Injury. Neuropsychologia, 48, 3585-3595.

DECETY, J., MORIGUCHI, Y. (2007). The empathic brain and its dysfunction in psychiatric populations: Implications for intervention across different clinical conditions. BioPsychoSocial Medicine, 1(1), 22.

DENNIS, M., BROWNELL, H., WINNER, E. (1999). Theory of mind depends on domain-general executive functions of working memory and cognitive inhibition in children with traumatic brain injury. Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology, 31 (7), 835–847

DOHERTY, R.W. (1997). The emotional contagion scale: a measure of individual differences. Journal of Nonverbal Behavior 21, 131–154.

DOLCE, G., SAZBON, L. (2002). The Post-traumatic Vegetative State. Stuttgart: Thieme.

DUFFY, J.D., CAMPBELL, J.J. (1994). The regional prefrontal syndrome: a theoretical and clinical overview. Journal of Neuropsychiatry, 4:379-387.

EISEMBERG, N., MILLER, P. (1987). Empathy, sympathy and altruism. In N. EISEMBERG, J. STRAYER (a cura di), Empathy and its development (pp. 293-315). Cambridge University Press. New York,

ELLIS, H.D., ELLIS D.M., FRASER W., DEB S., (1994). A preliminary study of right hemisphere cognitive deficits and impaired social judgments among young people with Asperger syndrome. European Child & Adolescent Psychiatry, 3(4), 255-266.

ELSASS, L., KINSELLA, G. (1987). Social interaction following severe closed head injury. Psychological Medicine, 17: 67–85.

EMILIANI, F., CARUGATI, F., (1985). Il mondo sociale dei bambini. Bologna: Il Mulino.

ENGBERG, A.W., e TEASDALE, T.W. (2004). Psychosocial outcome following traumatic brain injury in adults: a long-term population-based-follow-up. Brain Injury, 18, 533-545

ENRIGHT, R.D., LAPSLEY, D.K., (1980). Social role-taking: a review of the construct, measures and measurements properties. Review of Educational Research, 50, 647-674.

ESLINGER, P.J., (1998). Neurological and neuropsychological bases of Empathy. European Neurology, 39: 193–199, 1998.

ESLINGER, P.J., DAMASIO, A.R. (1985). Severe disturbance of higher cognition after bilateral frontal lobe ablation: Patient EVR. Neurology, 35:1731-1741.

FASSINO, S. (2009). Empatia e strategie dell’incoraggiamento nel processo di cambiamento. Riv. Psicol. Indiv, 66, 49-63.

FEUCHTWANGER, E. (1923). Die Funktionen des Stirnhirns, ihre Pathologie und Psychologie. In FOERSTER O., WILLIAMS K. (a cura di), Monographien aus Gesamtgeb der Neurologie und Psychiatrie (pp. 4-194). Berlin: Springer-Verlag

FINE, C., LUMDSEN, J., BLAIR, R.J.R. (2001). Dissociation between “theory of mind” and executive function in a patient with early left amigdala damage. Brain, 124: 287-298.

FLAVELL, J. H. (2000). Development of children’s knowledge about the mental world. International journal of behavioral development, 24(1), 15-23.

FLEMING, J.M., STRONG, J.E., ASHTON, R. (1996). Self-awareness of deficit in adults with traumatic brain injury: How best to measure? Brain Injury, 10(1-15).

FLETCHER, P.C., HAPPÉ, F., FRITH, U., BAKER, S.C., DOLAN, R.J., FRACKOWIAK, R.S., et al. (1995). Other minds in the brain: a functional imaging study of `theory of mind’ in story comprehension. Cognition, 57: 109–28.

FONAGY, P., STEELE, H., STEELE, M., & HOLDER, J. (1997). Attachment and theory of mind: Overlapping constructs? ACPP Occasional Papers, 14, 31–40.

FORDYCE, D. J., ROUECHE, J. R. (1986). Changes in perspectives of disability among patients, staff, and relatives during rehabilitation of brain injury. Rehabilitation Psychology, 31(4), 217.

FORMISANO, R. et al. (2003). La famiglia del traumatizzato cranico grave: una risorsa inestimabile da educare e sostenere, N. 26.

FORMISANO, R., GRELLI, S., MATTEUCCI, C., SANTILLI, V., VINICOLA, V., SCIVOLETTO, G., CASTELLANO, V., D’AGOSTINI, C., MASTINO, A., FAVALLI, C. (1998). Immunological and endocrinological disturbances in patients after prolonged coma following head injury. Eur J Neurol, 5(2):151-158.

FORMISANO, R., VINICOLA, V., PENTA, F., MATTEIS, M., BRUNELLI, S., WECKEL, J.W. (2001). Active music therapy in the rehabilitation of severe brain injured patients during coma recovery. Ann Ist Super Sanita, 37(4):627-30.

FREUD, S. (1899). Die Traumdeutung, tr. it. L’interpretazione dei sogni, 1967-1980.

FRITH, C. D., FRITH, U. (1999). Interacting minds: A biological basis. Science, 286, 1692-1695.

FRITH, C.D., FRITH, U., (2006). The neural basis of mentalizing. Neuron., 50(4):531-4.

FRITH, U., (2001). What framework should we use for understanding developmental disorders? Dev Neuropsychol., 20(2):555-63.

FRITH, U., FRITH, C. D. (2003). Development and neurophysiology of mentalizing. Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences, 358(1431), 459-473.

FRITH, U., FRITH, C.D. (2010). The social Brain: allowing humans to boldly go where no other species has been. Phil. Trans. R. Soc. Lond. B Biol. Sci. 365, 165-176.

FROWEIN, R.A., REICHMAN, W., FIRSHING, R. (1985). Das Polytrauma aus neurochirurgischer Sicht. In SHURMANN K. (a cura di) Der Zerebrale Notfall. Munich-Vienna-Baltimore: Urban und Schwarzemberg;.

GALLESE, V. (2013). Mirror neurons, embodied simulation and a second-person approach to mindreading. cortex, 49(10), 2954-2956.

GALLESE, V., (2003). The manifold nature of interpersonal relations: the quest for a common mechanism. Philos trans R Soc Lond Biol, 358, 517-528.

GALLESE, V., FADIGA, L., FOGASSI, L., RIZZOLATI, G. (1996). Action recognition in the premotor cortex. Brain, 119: 593-609.

GALLESE, V., GOLDMAN, A. (1998). Mirror neurons and the simulation theory of mind-reading. Trends in cognitive sciences, 2(12), 493-501.

GALLESE, V., KEYSERS, C., RIZZOLATTI, G., (2004). A unifying view of the basis of social cognition. Trends Cogn. Sci. 8, 396–403.

GENTRY, L. R., GODERSKY, J. C., THOMPSON, B. (1988). MR imaging of head trauma: Review of the distribution and radiopathologic features of traumatic lesions. American Journal of Roentgenology, 150, 663–672.

GERACI, A., SURIAN, L., FERRARO, M., CANTAGALLO, A. (2010). Theory of Mind in patients with ventromedial or dorsolateral prefrontal lesions following traumatic brain injury. Brain Injury, 24(7–8): 978–987

GERSTENBRAND, F., FORMISANO, R., SALTUARI, L. (1989). Coma post-traumatico ed evoluzione in sindrome apallica. In Agnoli A. (a cura di). Progressi in Medicina Interna (pp. 251-87). Neurologia. UTET.

GIACINO, J.T. (1997). Disorders of consciousness: differential diagnosis and neuropathologic features. Semin Neurol, 17(2):105.

GIACINO, J.T., ASHWAL, S., CHILDS, N. et al. (2002). The minimally conscious state: definition and diagnostic criteria. Neurology, 58:349.

GIACINO, J.T., KEZMARSKY, M.A., DE LUCA, J., CICERONE, K.D. (1991). Monitoring rate of recovery to predict outcome in minimally responsive patients. Archives of Physical Medicine and Rehabilitation, 72: 897-901.

GIACINO, J.T., TROTT, C.T. (2004). Rehabilitative Management of Patients With Disorders of Consciousness. J Head Trauma Rehabil, 19(3): 254

GIUSTINI, M., LONGO, E., AZICNUDA, E., SILVESTRO, D., D‘IPPOLITO, M., RIGON, J., CEDRI, C., BIVONA, U., BARBA, C., FORMISANO, R. (2014). Healthrelated quality of life after traumatic brain injury: Italian validation of the QOLIBRI. Funct Neurol. 29(3):167-176.

GOLDSTEIN, K. (1939). Clinical and theoretical aspects of lesions of the frontal lobes. Archives of Neurology and Psychiatry, 41:865-867.

GOLDSTEIN, K. (1941). After effects of brain injuries in war. New York: Grune and Stratton.

GRAHAM, D.I., FORD, I., ADAMS, J.H., DOYLE, D., TEASDALE, G.M., LAWRENCE, A.E., MECLELLAN, D.R. (1989). Ischemic brain damage is still common in fatal non-missile head injury. Journal of Neurology Neurosurgery and Psychiatry, 52:346-50.

GRATTAN, L., ESLINGER, P., (1989). Higher cognition and social behaviour. Changes in cognitive flexibility and empathy after cerebral lesions. Neuropsychology, 3: 175–185.

GRATTAN, L.M., BLOOMER, R.H., ARCHAMBAULT, F.X., ELSINGER, P.J. (1994). Cognitive flexibility and empathy after frontal lobe lesion. Neuropsychiatry, Neuropsychology and Behavioural Neurology, 7, 251-259.

GRIFFIN, R., FRIEDMAN, O., WEEN, J., WINNER, E., HAPPÈ, F. AND BROWNELL, H. (2006). Theory of mind and the right cerebral hemisphere: Refining the scope of impairment. Laterality, 11(3), 195-225

HAGEN, C., MALKMUS, D., DURHAM, P. (1972). Levels of cognitive functioning. Downey (CA): Rancho Los Amigos Hospital.

HAGEN, C., MALKMUS, D., DURHAM, P. (2005). Levels of cognitive functioning. Downey CA: Rancho Los Amigos Hospital.

HAPPÉ, F., BROWNELL, H., WINNER, E. (1999). Acquired `theory of mind’ impairments following stroke. Cognition, 70, 211–40.

HARLOW, J. (1868). Recovery from the passage on iron barb trough the head. Pubblications of the Massachussets Medical Society, 2:327- 346.

HARMER, C.J., THILO, K.V., ROTHWELL, J.C., GOODWIN, G.M. (2001). Transcranial magnetic stimulation of medial–frontal cortex impairs the processing of angry facial expressions. Nat. Neurosci., 4, 17–18.

HAVET-THOMASSIN, V., ALLAIN, P., ETCHARRY-BOUYX F., AND LE GALL, D. (2006). What about theory of mind after severe brain injury? Brain Injury, 20, 83–91.

HEATON, R.K., CHELUNE, G.J., TALLEY, J.L., KAY, G.G. & CURTISS, G. (2000) WCST: Wisconsin Card Sorting Test. Forma completa revisionata. Adattamento italiano a cura di HARDOY, M.C., CARTA, M.G., HARDOY, M.J. & CABRAS, P.L. Ed. It. O.S. Organizzazioni Speciali. Firenze.

HEATON, R.K., CHELUNE, G.J., TALLEY, J.L., KAY, G.G., & CURTISS, G. (1993). Wisconsin Card Sorting Test. Florida: Psychological Assessment Resources.

HENRY, J.D., PHILLIPS, L.H., CRAWFORD. J.R., IETSWAART. M., SUMMERS F. (2006). Theory of mind following traumatic brain injury: The role of emotion recognition and executive dysfunction. Neuropsychologia, 44, 1623–1628.

HODGES, S.D., KLEIN, K.J.K. (2001). Regulating the costs of empathy: the price of being human. The journal of Socio-Economics, 30, 437-452.

HOGAN, R. (1969). Development of an empathy scale. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 33, 307–316.

ICKES, W., GESN, P.R., GRAHAM, T. (2000). Gender differences in empatic accurancy: differential ability or differential motivation? Personal Relationships, 7, 95-109.

IGLIORI, G.C., DAMASCENO, B.P. (2006). Thory of Mind and the frontal lobe. Arq Neuropsiquiatr. 64(2-A), 202-206

INTISO, D., FORMISANO, R., GRASSO, M.G., et al. (1993). Neurovegetative Disorders after severe head injury. J Autonomic Nervous System, Vol. 43 (Suppl): 86.

JAEGER, M., HERTRICH, I., STATTROP, U., SCHÖNLE, P. W., & ACKERMANN, H. (2000). Speech disorders following severe traumatic brain injury: Kinematic analysis of syllable repetitions using electromagnetic articulography. Folia Phoniatrica et Logopaedica, 52(4), 187-196.

JELLINGER, K. (1977). Pathology and pathogenesis of apallic syndromes following closed head injuries. In DRE G.D., GERSTENBRAND F., LUCKING C.H.

JELLINGER, K.A. (2004). Parkinsonism and persistent vegetative state after head injury. Journal of Neurology Neurosurgery and Psychiatry, 75:1082.

JENNETT, B. (1998). Epidemiology of head injury. Archives of disease in childhood, 78(5), 403-406.

KAMPFL, A., FRANZ, G., AICHNER, F., PFAUSLER, B., HARING, H. P., FELBER, S., SCHMUTZHARD, E. (1998). The persistent vegetative state after closed head injury: clinical and magnetic resonance imaging findings in 42 patients. Journal of neurosurgery, 88(5), 809-816.

KILNER, J. M., LEMON, R. N. (2013). What we know currently about mirror neurons. Current Biology, 23(23), R1057-R1062.

KLINE, B., MORAWETZ, B., SWAID, S. (1984). Indirect injury of the optic nerve. Neurosurgery, 14:756-64. 117

KOHUT, H. (1959). Introspection, empathy, and psychoanalysis. Journal of the American Psychoanalytic Association, 7,459-483.

KOHUT, H. (1984). Introspection, empathy, and the semicircle of mental healt. In J. LICHTENBERG, M. BORNSTEIN, D. SILVER (a cura di), Empathy, Erlbaum, Hillsdale, vol. 1, 81-100.

KREBS, D.L., RUSSEL, C. (1981). Role taking and altruism: When you put yourself in the shoes of another, will they take you to their owner’s aid? In J.P. RUSHTON E R.M. SORRENTINO (a cura di) Altruism and helping behaviour: Social personality and developmental perspectives, LEA, Hillsdale, 137-165.

KRIKORIAN, R., BARTOK, J., GAY, N. (1994). Tower of London Procedure: A Standard Method and Developmental Data. Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology Vol.16, N.6, pp. 840-850.

LAMM, C., BATSON, C. D., DECETY, J. (2007). The neural substrate of human empathy: effects of perspective-taking and cognitive appraisal. Journal of cognitive neuroscience, 19(1), 42-58.

LANGFITT, T., TANNAMBAUM, H., KASSEL, N. (1966). The etiology of acute brain swelling following experimental head injury. Journal of Neurosurgery,24: 47-56.

LAUBERT, A., SCHULTS-COULON, H. (1986). Prognosis of facial paralysis caused by fracture of the petrous bone. HNO, 412-416.

LEATHEM, J.M., MURPHY, L.J., FLETT, R.A. (1998). Self- and informant-ratings on the patient competency rating scale in patients with traumatic brain injury. J Clin Exp Neuropsychol., 20(5):694-705.

LEE, T.M.C., ALISON, K.Y., KAI WANG, CHUN-HUA XI, PAN-PAN HU, MAK, H.K.F., SHI-HUI HA, CHAN, C.C.H. (2010). Faux pas deficits in people with medial frontal lesions as related to impaired understanding of a speaker’s mental state. Neuropsychologia, 48, 1670–1676

LESLIE, A. M. (1987). Pretense and representation: The origins of “theory of mind”. Psychological review, 94(4), 412.

LEVIN, H.S., HAMILTON, W.J., GROSSMAN, R.G. (1990). Outcome after head injury. In BRAAKMAN R. (a cura di) Handbook of Clinical Neurology. Elsevier Science Publishers B. V; Head Injury; Vol. 13(57).

LEVIN, H.S., HIGH, W.M., GOETHE KE, SISSON RA, OVERALL JE, RHOADES HM, EISEMBERG HM, KALISKY Z, GARY HE. (1987). The neurobehavioural rating scale: assessment of the behavioural sequelae of head injury by the clinician. Journal of Neurology Neurosurgery and Psychiatry, 50(2):183-93.

LEZAK, M.D. (1987). Brain Damage is a family affair. Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology, 10:111-23.

LIPPS T. (1903). Einfülung, innere Nachahmung und Organ-empfindung. Archiv für die gesamte Psychologie, 185-204.

LIPPS T. (1903). Einfülung, innere Nachahmung und Organ-empfindung, in Archiv für die gesamte Psychologie, n. 1 pp. 185-204 (trad. it.) Empatia e godimento estetico, in Discipline Filosofiche, n. 12, 2002.

LURIJA, A.R. (1969). Frontal lobe syndromes. In VINKEN P.J., BRUYN G.W. (a cura di), Handbook of Clinical Neurology, vol. 2. Amsterdam: North-Holland Publishing Co.

MALEC, J.F., RICHARDSON, J.W., SINAKI, M., O’BRIEN, M.W. (1990). Types of affective response to stroke. Arch Phys Med Rehabil., 71(5):279-84.

MARTIN, I., MCDONALD, S. (2006). That Can’t Be Right! What Causes Pragmatic Language Impairment Following Right Hemisphere Damage? Brain Impairment, 7, 202–211

MARTIN, I., MCDONALD, S. (2005). Evaluating the causes of impaired irony comprehension following traumatic brain injury. Aphasiology, 19, 712–730.

MARTÌN-RODRÌGUEZ J.F., LEÒN-CARRIÒN, J. (2010) Theory of mind deficits in patients with acquired brain injury: A quantitative review. Neuropsychologia, 48: 1181–1191

MATSUDA, W., MATSUMURA, A., KOMATSU, Y. et al. (2003). Awakenings from persistent vegetative state: report of three cases with parkinsonism and brain stem lesions on MRI. J Neurol Neurosurg Psychiatry, 74:1571.

MAYR, U., AWH, E., KEELE, S.W. (2005). Developing Individuality in the Human Brain, A tribute to Michael I. Posner, American Psychological Association, Washington.

MCDONALD, S. (2000). Neuropsychological studies of sarcasm. Metaphor and Symbol, 15(1-2), 85-98.

MCDONALD, S. (2013). Impairments in Social Cognition Following Severe Traumatic Brain Injury. Journal of the International Neuropsychological Society, 19, 231–246.

MCDONALD, S. AND FLANAGAN, S., (2004). Social perception deficits after traumatic brain injury: Interaction between emotion recognition, mentalizing ability, and social communication. Neuropsychology, 18, 572–579.

MCDONALD, S. AND PEARCE, S. (1996). Clinical Insights into Pragmatic Theory: Frontal Lobe Deficits and Sarcasm. Brain and Language, 53, 81–104

MEAD, G. H. (1934). Mind, self and society (Vol. 111). University of Chicago Press.: Chicago.

MEHRABIAN, A. (1996). The Balanced Emotional Empathy Scale (BEES). Unpublished document available from Albert Mehrabian, 1130.

MEHRABIAN, A. (2000). Manual for the Balanced Emotional Empathy Scale (BEES). Available from Albert Mehrabian, 1130 Alta Mesa Road, Monterey, CA 93040.

MEHRABIAN, A., EPSTEIN, N. (1972). A measure of emotional empathy. Journal of Personality, 40, 525–543.

MENDELOW, A.D. (1990). Clinical examination in traumatic brain damage. In BRAAKMAN R. (a cura di) Handbook of Clinical Neurology. Elsevier Science Publishers B. V. 1990; Vol. 13(57); Head Injury.

MENEGHINI, A.M, SARTORI, R., CUNICO, L. (2006). Adattamento e validazione su campione italiano della Balanced Emotional Empathy Scale di A. Mehrabian. Ricerche di Psicologia, 1(29), 123-152.

MICELI, G., LAUDANNA, G., BURANI, C., CAPASSO, R. (1995). B.A.D.A., Batteria per l’analisi dei deficit afasici. Roma: CEPSAG Ed., Università Cattolica del Sacro Cuore.

MILDERS, M., FUCHS, S., CRAWFORD, J.R. (2003). Neuropsychological impairments and changes in emotional and social behaviour following severe traumatic brain injury. Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology, 25, 157–172.

MILDERS, M., IETSWAART, M., CURRIE, D., CRAWFORD, J.R. (2006). Impairments in Theory of Mind Shortly After Traumatic Brain Injury and at 1-Year Follow-Up. Neuropsychology, Vol. 20, No. 4, 400–408

MILDERS, M., LETSWAART, M., CRAWFORD, J.R. AND CURRIE, D. (2008). Social behavior following traumatic brain injury and its association with emotion recognition understanding of intentions, and cognitive flexibility. Journal of the International Neuropsychological Society, 14, 318–326.

MULLER, F., SIMION, A., REVIRIEGO, E., GALERA, C., MAZAUX, J.M., BARAT, M., JOSEPH, P.A., (2010). Exploring theory of mind after severe traumatic brain injury. Cortex 46, 1 0 8 8 – 1 0 9 9.

MULLER, F., SIMION, A., REVIRIEGO, E., GALERA, C., MAZAUX, J.M., BARAT, M., JOSEPH, P.A. (2009). Exploring theory of mind after severe traumatic brain injury.

MURPHY, G. (1947). Personality: A biosocial approach to origins and structure. New York: Harper.

NEWSOME, M.R., SCHEIBEL RANDALL, S., HANTEN, G., CHU, Z., STEINBERG, J.L., HUNTER, J.V., LU, H., VASQUEZ, A.C, LI, X., LIN, X., COOK, L., LEVIN, H.S. (2010). Brain activation while thinking about the self from another person’s perspective after traumatic brain injury in adolescents. Neuropsychology; 24 (2):139147.

NEWTON, A., JOHNSON, D.A. (1985). Social adjustment and interaction after head injury. British Journal of Clinical Psychology, 24: 225–234.

NICHOLS, S., STICH, S. P. (2003). Mindreading: An integrated account of pretence, self-awareness, and understanding other minds. Clarendon Press/Oxford University Press.

NOMURA, Y., OGAWA, T., NOMURA, M. (2010). Perspective taking associated with social Relationship, a NIRS study. Neuroreport 21, 1100–1105.

NOVELLI, G., PAPAGNO, C., CAPITANI, E., LAIACONA, M., VALLAR, G., CAPPA, S.F. (1986). Tre test clinici di ricerca e produzione lessicale. Taratura su soggetti normali. Archivio di Psicologia, Neurologia e Psichiatria, 47, 477-506.

O’BRIEN, E., KONRATH, S. H., GRÜHN, D., HAGEN, A. L. (2013). Empathic concern and perspective taking: Linear and quadratic effects of age across the adult life span. The Journals of Gerontology Series B: Psychological Sciences and Social Sciences, 68(2), 168-175.

ODDY, M. (2003). Psychosocial consequences of brain injury. In GREENWOOD R.J., BARNES M.P., MCMILLAN T.M., WARD C.D. (a cura di), Handbook of Neurological Rehabilitation (2nd ed.) (pp. 327– 402). Psychology Press, Hove, UK.

ORSINI, A. (2003) La memoria diretta e la memoria inversa di cifre in soggetti dai 16 ai 64 anni. Bollettino di psicologia applicata, 239, 73-77.

ORSINI, A., GROSSI, D., CAPITANI, E., LAIACONA, M., PAPAGNO, C., VALLAR, G. (1987). Verbal and spatial immediate memory span: normative data from 1355 adults and 1112 children. Italian Journal of Neurological Sciences, 8:539-48.

OVERGAARD, J., CHRISTENSEN, S., HVID-HASSEN, O. et al. (1973). Prognosis after head injury based on early clinical examination. Lancet, 2:631-5.

OVERGAARD, J., MOSDAL, C., TWEED, W.A. (1981). Cerebral circulation after head injury III. Does reduced regional cerebral blood flow determine recovery of brain function after blunt head injury? Neurosurgery, 55: 63-74.

PARKER, J.D.A., TAYLOR, G.J., BAGBY, R.M., ACKLIN, M.W. (1993). Alexithymia in panic disorder and simple phobia: A comparative study. American Journal of Psychiatry, 150, 1105-07.

PARKER, R. S. (1996). The spectrum of emotional distress and personality changes after minor head injury incurred in a motor vehicle accident. Brain injury, 10(4), 287-302.

PEPPE, A., STANZIONE, P., FORMISANO, R., BIANCHI, P., SANTILLI, V., BERNARDI, G. (1994). PERG modifications in post-traumatic patients with extrapyramidal signs and Parkinson’s disease patients. Behavioural Neurology, 7:26.

PEPPE, A., STANZIONE, P., PIERANTOZZI, M., er al. (1998). Does pattern electroretinogram spatial tuning alteration in Parkinson’s disease depend on motor disturbances or retinal dopaminergic loss? Electroencephalogr Clin Neurophysiol, (Suppl); 106:374.

PIAGET, J. (1932). The moral development of the child. Kegan Paul, London.

PITTS, L.H., MC INTOSH, T.H. (1990). Dynamic changes after brain trauma. In BRAAKMAN R. (a cura di), Handbook of Clinical Neurology. Elsevier Science Publishers. Head Injury Vol. 13(57).

PIZZAMIGLIO, L., JUDICA, A., RAZZANO, C., ZOCCOLOTTI, P. (1989). Toward acomprehensive diagnosis of visuo-spatial disorders in unilateralbrain-damaged patients. Psychological Assessment, 5:199-218.

POSNER, J. B., PLUM, F. (2007). Plum and Posner’s diagnosis of stupor and coma (Vol. 71). OUP USA.

PRICE, B., DAFFNER, K.R., STOWE, R.M., MESULAM, M.M. (1990). The comportmental learning disabilities of early frontal lobe damage. Brain, 113:1383-1393.

PRIGATANO, G.P., ALTMAN, I.M., O’BRIEN, K.P. (1990). Behavioral limitations that brain injured patients tend to underestimate. Clin Neuropsychol, 4, 163-176.

PRIGATANO, G.P., BRUNA, O., MATARO, M., MUÑOZ, J.M., FERNANDEZ, S., JUNQUE, C., (1998). Initial disturbances of consciousness and resultant impaired awareness in Spanish patients with traumatic brain injury. Barrow Neurological Institute, St. Joseph’s Hospital and Medical Center, Phoenix, Arizona 85013-4496, USA.

PRIGATANO, G.P., FORDYCE, D.J., ZEINER, H.K., ROUECHE, J.K., PEPPING, M., WOOD, B.C. (1986). Neuropsychological Rehabilitation After Brain Injury. Johns Hopkins University, Baltimore.

RAMESON, L.T., LIEBERMAN, M.D. (2009). Empathy: a socio cognitive neuroscience approach. Soc. Pers. Psy. Comp. 3, 94–110.

RAPPAPORT, M., HALL, K.M., HOPKINS, H.K., BELLEZA, T., COPE, D.N. (1982). Disability rating scale for severe head trauma: coma to community. Arch Phys Med Rehabil, 63; 118–123.

RAVEN, J.C. (1954). Progressive matrices. Etablissements d’applications psychothecniques. Firenze: O.S. Organizzazioni Speciali.

RIZZOLATTI, G. CRAIGHERO, L. (2004). The mirror-neuron system. Annual Review of Neuroscience, 27: 169–192.

RIZZOLATTI, G., ARBIB, M.A. (1998). Language within our grasp. Trends in Neurosciences, 21(1998), 188-194.

RIZZOLATTI, G., FORGASSI, L., GALLESE, V. (1999). Cortical mechanisms subserving object grasping and action recognition: a new view on the cortical motor functions. In GAZZANIGA M.S. (a cura di), The Cognitive Neurosciences 2’ ed. MIT Press, Cambridge (MA), 539-552.

RIZZOLATTI, G., SINIGAGLIA, C. (2010). The functional role of the parieto-frontal mirror circuit: interpretations and misinterpretations. Nature reviews neuroscience, 11(4), 264-274.

ROBERTSON, C.S., CLIPTON, G.L., TAYLOR, A.A., GROSSMAN, R.G. (1983). Treatment of hypertension associated with head injury. Journal of Neurosurgery, 59:455-60.

ROBERTSON, C.S., GROSSMAN, R.G., GOODMAN, J.C., NARAYAN, R.K. (1987). The predictive value of cerebral anaerobic metabolism with cerebral infarction after head injury. Journal of Neurosurgery, 67:361-8.

ROBINSON, R.G, SZETELA, B. (1981). Mood change following left hemispheric brain injury. Annals of Neurology, 9:447-453.

ROBINSON, R.G., KUBOS, K.L., STARR, L.B., RAO, K., PRICE, T.R. (1984). Mood disorders in stroke patients. Brain, 107:81-93.

ROGERS C. (1975). Empathic: An unappreciated way of being. The Couseling Psychologist, 2, 2-10.

ROGERS, K., DZIOBEK, I., HASSENSTAB, J., WOLF, O. T., & CONVIT, A. (2007). Who cares? Revisiting empathy in Asperger syndrome. Journal of autism and developmental disorders, 37(4), 709-715.

ROWE, A.D., BULLOCK, P.R., POLKEY, C.E. AND MORRIS, R. (2001). Theory of Mind impairment and their relationship to executive functioning following frontal lobe excisions. Brain, 124, 600-616.

RUOPPOLO, G., VIRDIA, P., FORMISANO, R. et al. (1992). Riabilitazione della disfagia orofaringea ad eziologia neurogena guidata dall’indagine radiologica: risultati preliminari. Acta ORL Italica, 12(Suppl. 36):1-27.

SAMSON, D., APPERLY, I.A., CHIAVARINO, C., MORRIS, R.G. (2001). Theory of mind impairments and their relationship to executive functioning following frontal love excisions. Brain, 124, 600-616

SAVINO, P., GLASER, J., SCHATZ, N. (1980). Traumatic chiasmal syndrome. Neurology, 30:963-70.

SEITZ, R.J., NICKEL, J., AZARI, N.P. (2006). Functional modularity of the medial prefrontal cortex: involvement in human empathy. Neuropsychology, 20, 743–751.

SHAMAY-TSOORY, S. G., TIBI-ELHANANY, Y., AHARON-PERERTZ, J. (2006). The ventromedial prefrontal cortex is involved in understanding affective but not cognitive theory of mind stories. Social Neuroscience, 1, 149–166.

SHAMAY-TSOORY, S.G., AHARON-PERETZ, J. (2007). Dissociable prefrontal networks for cognitive and affective theory of mind: A lesion study. Neuropsychologia, 45, 3054–3067.

SHAMAY-TSOORY, S.G., TOMER, R., BERGER, B.D., AHARON-PERETZ, J. (2003). Characterization of empathy deficits following prefrontal brain damage: the role of the right ventromedial prefrontal cortex. Journal of Cognitive Neuroscience, 15(3), 324-337.

SHAMAY-TSOORY, S.G., TOMER, R., BERGER, B.D., GOLDSHER, D., AHARON-PERETZ, J. (2005). Impaired affective theory of mind is associated with right ventromedial prefrontal damage. Cogn. Behav. Neurol. 18, 55–56.

SHAMAY-TSOORY, S.G., TOMER, R., GOLDSHER, D., BERGER, B.D., AHARONPERETZ, J. (2004). Impairment in cognitive and affective empathy in patients with brain lesions: Anatomical and cognitive correlates. Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology, 26: 1113-1127.

SHANTON, K., GOLDMAN, A. (2010). Simulation theory. Wiley Interdisciplinary Reviews: Cognitive Science, 1(4), 527-538.

SHAW, P., LAWRENCE, C., RADBOURNE, C., BRAMHAM, J., POLKEY, C.E., DAVID, A.S. (2004). The impact of early and late damage to the human amygdala on `theory of mind’ reasoning. Brain, 127, 1535±1548

SHAW, P., LAWRENCE, E., BRAMHAM, J., BRIERLEY, B., RADBOURNE, C., DAVID, A.S. (2007). A prospective study of the effects of anterior temporal lobectomy on emotion recognition and theory of mind. Neuropsychologia, 45, 2783-2790

SIEGAL, M., CARRINGTON, J., RADEL, M. (1996). Theory of mind and pragmatic understanding following right hemisphere damage. Brain Lang, 53: 40–50.

SINGER, T. (2006). The neural basis and ontogeny of empathy and mind reading: review literature and implication for future research. Neurosci Biobehav, 30, 855-863.

SMITH, E., DELARGY, M. (2005). Locked-in syndrome. BMJ: British Medical Journal, 330(7488), 406.

SNODGRASS, C., KNOTT, F. (2006). Theory of mind in children with traumatic brain injury. Brain Injury, 20(8), 825–833

SPIELBERGER, C. D. (1983). Manual for the State-Trait Anxiety Inventory STAI (form Y) (“self-evaluation questionnaire”). Editore?

SPIKMAN, J.M., TIMMERMAN, M.E., MILDERS, M.V., VEENSTRA, W.S., DER NAALT, J. (2012). Social cognition impairments in relation to general cognitive deficits, injury severity, and prefrontal lesions in traumatic brain injury patients. Journal of Neurotrauma, 29, 101-111.

SPINELLA, M., (2005). Prefrontal substrates of empathy: Psychometric evidence in a community sample. Biological Psychology, 70: 175–181.

SPINNLER, H., TOGNONI, G. (1987). Standardizzazione e taratura italiana di test neuropsicologici. The Italian Journal of Neurological Sciences, 6(Suppl.8).

STARMARK, J.E., STALHAMMAR, D., HOLMGREN, E., ROSANDER, B. (1988). A comparison of the Glasgow Coma Scale and the Reaction Level Scale (RLS85). Journal of Neurosurgery, 69:699-706.

STERNBACH, G. L. (2000). The Glasgow coma scale. The Journal of emergency medicine, 19(1), 67-71.

STONE, V.E., BARON-COHEN, S., KNIGHT, R.T. (1998). Frontal lobe contributions to theory of mind. J Cogn Neurosci, 10, 640–56.

STRAUSS, I., KESCHNER, M. (1935). The symptoms in cases of tumor of the frontal lobe. Archives of Neurology and Psychiatry, 33:986-1007.

STRAYER, J., ROBERTS, W. (2004). Empathy and Observed Anger and Aggression in Five‐Year‐Olds. Social Development, 13(1), 1-13.

STUSS, D.T., GALLUP, G.G. JR., ALEXANDER, M.P., (2001). The frontal lobes are necessary for ‘theory of mind’. Brain, 124(2):279-86.

SUMMER, D. (1964). Post-traumatic anosmia. Brain, 87:107.

TEASDALE, G., JENNETT, B. (1974). Assessment of coma and impaired consciousness. A practical scale. Lancet, 13, 81-84.

TURKSTRA, L.S., DIXON, T.M., BAKER, K.K. (2004). Theory of Mind and social beliefs in adolescents with traumatic brain injury. NeuroRehabilitation, 19, 245–256 245

UZZEL, B.P., OBRIST, W., DOLINKSAS, C., LANGFITT, T. (1987). WISER R. Relation of visual field defects to neuropsychological outcome after closed head injury. Acta Neurochirurgica, 86:18-24.

VAN ZOMEREN, A.H., SAAN, R.J. (1990). Psychological and social sequelae of severe head injury. In BRAAKMAN R. (a cura di) Handbook of Clinical Neurology (Vol. 13-57). Elsevier Science Publishers BV, Head Injury.

VAN ZOMEREN, A.H., VAN DEN BURG, W. (1985). Residual complaint of patients two years after severe head injury. Journal of Neurology, Neurosurgery, Psychiatry, 48:21-8.

VOLLM, B.A., TAYLOR, A.N.W., RICHARDSON, P., CORCORAN, R., STIRLING, J., MCKIE S., et al. (2006). Neuronal correlates of theory of mind and empathy: A functional magnetic resonance imaging study in a nonverbal task. NeuroImage, 29: 90–98.

WAGER, T.D., DAVIDSON, M.L., HUGHES, B.L., LINDQUIST, M.A., OCHSNER, K.N. (2008). Prefrontal-subcortical pathways mediating successful emotion regulation. Neuron, 59, 1037–1050.

WANG, Y. T., KENT, R. D., DUFFY, J. R., THOMAS, J. E. (2005). Dysarthria associated with traumatic brain injury: speaking rate and emphatic stress. Journal of communication disorders, 38(3), 231-260.

WELLMAN, H.M. (1990). The Children’s theories of mind. Bradford: MIT Press

WELLS, R., DYWAN, J., DUMAS, J. (2005). Life satisfaction and distress in family caregivers as related to specific behavioural changes after traumatic brain injury. Brain Injury, 19, 1105–1115.

WELLS, R., DYWAN, J., DUMAS, J. (2005). Life satisfaction and distress in family caregivers as related to specific behavioural changes after traumatic brain injury. Brain Injury, 19, 1105–1115.

WILLIAMS, C., WOOD, R.L. (2009). Alexithymia and emotional empathy following traumatic brain injury. Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology, 32 (3), 259–267

WIMMER, H., PERNER, J. (1983). Beliefs about beliefs: representation and contraining function of wrong beliefs in young children’s understanding of deception. Cognition, 13: 103-128.

WINNER, E., BROWNELL, H., HAPPE, F., BLUM, A., PINCUS, D. (1998). Distinguishing lies from jokes: theory of mind deficits and discourse interpretation in right hemisphere brain-damaged patients. Brain and Language, 62, 89–106.

WINNICOTT, D. W. (1962). The theory of the parent-infant relationship—Contributions to discussion. International Journal of Psycho-Analysis, 43, 256-257.

WISPE’ L., (1987). “History of the concept of the empathy”. In N. Eisemberg, J. Strayer (a cura di), Empathy and its development, Cambridge University Press, New York, 17-37.

WOOD, R.L. (2001). Understanding neurobehavioural disability. In WOOD R.L., MCMILLAN T.M. (a cura di), Neurobehavioural Disability and Social Handicap following Traumatic Brain Injury (pp. 1–28). Psychology Press. London: Taylor e Francis, Hove, UK.

WOOD, R.L., LIOSSI C., WOOD L. (2005). The impact of head injury neurobehavioural sequelae on personal relationships: Preliminary findings. Brain Injury, 19: 845–851.

WOOD, R.L., WILLIAMS, C. (2008). Inability to empathize following traumatic brain injury. Journal of the International Neuropsychological Society, 14: 289–296.

ZAHAVI, D. (2001). Beyond Empathy. Phenomenological approaches to intersubjectivity. Journal of Consciousness Studies, 8/5-7, 2001, 151-167.

ZEMAN, A. (2004). The post-traumatic vegetative state. Journal of neurology, neurosurgery, and psychiatry, 75(4), 663.

ZETTIN, M., RAGO, R. (1995). Trauma cranico, conseguenze neuropsicologiche e comportamentali. Torino: Bollati Boringhieri.

ZIMMERMAN, P., FIMM, B. (1992). Test Batterie zur Aufmerksamkeitsprüfung (TAP). Würselen: Psytest.

ZOCCOLOTTI, P., GUARIGLIA, C., PIZZAMIGLIO, L., JUDICA, A., RAZZANO, C., PANTANO, P. (1992). Good recovery in visual scanning in a patient with persistent anosognosia. Int J Neurosci, 63(1-2):93-104.

STARKSTEIN, S.E., ROBINSON, R.G., PRICE, T.R. (1988). Comparison of spontaneously recovered versus nonrecovered patients with poststroke depression. Stroke, 19(12):1491-6.

POUSA, E., DUÑÓ, R., BRÉBION, G., DAVID, A. S., RUIZ, A. I., OBIOLS, J. E. (2008). Theory of mind deficits in chronic schizophrenia: evidence for state dependence. Psychiatry research, 158(1), 1-10.

 


Per scaricare l’intero articolo clicca qui