Il Training Autogeno in un soggetto con disturbi d’ansia


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Il Training Autogeno
Il Training Autogeno (TA) è una tecnica terapeutica capace di elicitare una risposta di rilassamento in coloro che la praticano. “Il principio fondamentale del metodo consiste nel determinare, per mezzo di particolari esercizi fisiologico-razionali, una deconnessione globale dell’organismo che, in analogia con le metodologie eteroipnotiche, permette di raggiungere le realizzazioni proprie degli stati suggestivi” (Schultz, 1978, 3).
Pur essendosi diffuso in Italia soltanto a partire dal 1968, anno in cui sono state tradotte per la prima volta le due opere principali di Schultz, in Germania ed in altre parti del mondo era già largamente conosciuto e praticato a partire dal 1932, anno in cui, Heinrich Schultz, psichiatra berlinese, aveva pubblicato la sua prima monografia sull’argomento. Le radici di questo metodo affondano in terreni molto solidi: la psicoanalisi catartica di Breuer e le scoperte di Vogt relative all’autoipnosi. Il TA nasce come una vera e propria psicoterapia breve, “fondata sui principi dell’ideoplasia e della concentrazione psichica passiva, che consente di realizzare, mediante uno speciale allenamento psicofisico, l’equilibrio neurovegetativo, la calma e positive modificazioni di personalità” (Masi, 1987, 17).
Il nome stesso lascia intendere che si tratta di apprendere in modo graduale diversi esercizi di concentrazione psichica passiva finalizzati a produrre spontanee modificazioni del tono muscolare, della circolazione sanguigna, della frequenza cardiaca e polmonare, dell’equilibrio neurovegetativo e dello stato di coscienza (Training); queste modificazioni sono in grado di autogenerarsi (Autogeno). Dunque, “con il termine di Training Autogeno H. Schultz definì un metodo di autodistensione da concentrazione psichica che consente di modificare situazioni psichiche e somatiche” (Crosa, 1978, XI).

Destinatari
Il luogo comune, diffuso tra molti psicoterapeuti, di escludere i soggetti anziani da un percorso di trattamento, a motivo del loro deterioramento cognitivo e del loro stile di personalità fortemente consolidato e, quindi, difficile da modificare, potrebbe far pensare che anche il TA non sia adatto alle persone avanti negli anni. In realtà, “non ci sono limiti verso l’alto, […] molte persone di età avanzata sono aperte verso nuove esperienze, e quindi pronte ad accettare il consiglio medico di praticare il TA” (Hoffmann, 1980, 141). È sorprendente constatare come Hoffmann consigli il TA per quei disturbi per cui oggi maggiormente, sia i medici di base sia gli psichiatri, prescrivono regolarmente psicofarmaci, ossia i disturbi del sonno. “Il TA è un metodo che si pone come valida alternativa all’uso continuo degli psicofarmaci che posseggono una funzione terapeutica provvisoria e che producono effetti collaterali indesiderati. Oltre a ciò, il TA si differenzia dagli psicofarmaci per l’assenza di almeno due altre componenti negative: l’assuefazione e la dipendenza” (Albisetti, 1997, 29).
Anche lo stereotipo che i bambini, a motivo della loro distraibilità, hanno difficoltà a mantenere per lungo tempo l’attenzione sostenuta, è destinato ad impattare e a confrontarsi con le numerose volte in cui il TA è stato applicato a gruppi di bambini di età compresa tra i 7 e i 15 anni, per di più epilettici. Sembra, infatti, che l’identificazione con gli altri bambini o con il conduttore giochi un ruolo fondamentale per lo svolgimento degli esercizi. Anche un Q.I. particolarmente basso non costituisce un impedimento al TA; infatti, “le qualità richieste dal TA sono ben diverse, e spesso anche persone intelligenti devono compiere notevoli sforzi per ottenerle” (Hoffmann, 1980, 142). Una di queste è l’immaginazione, tanto deprecata dalla nostra cultura occidentale, in favore di uno stile fortemente razionale e pragmatico, ma fondamentale per la buona riuscita degli esercizi del TA.
Ciò che, invece, risulta fondamentale è la motivazione. Questa non costituiva un problema ai tempi di Hoffmann, quando il TA veniva ampiamente praticato nelle università e nelle cliniche mediche; mentre, oggi, la motivazione rappresenta l’elemento centrale per la diffusione del TA nei diversi contesti clinici e psicoeducativi dove è stata ampiamente dimostrata la sua efficacia. Infatti, è fondamentale per la riuscita degli esercizi, essere convinti “che con il TA si ha la possibilità di raggiungere qualcosa, e che questo dipende dai propri sforzi. Se all’inizio del TA si hanno dubbi, coscientemente o no, sull’eseguibilità degli esercizi, il risultato sarà un insuccesso” (ivi, 143).
Il trattamento non è neppure da scoraggiare quando il soggetto presenta una generalizzata sfiducia in se stesso e nelle proprie capacità; è proprio con queste persone, infatti, che il TA ha ottenuto i migliori risultati. L’unico accorgimento è quello di iniziare con sedute di gruppo, fino a quando l’autostima di questi soggetti non si sarà rafforzata. Per quanto riguarda il momento più adatto per iniziare il TA, sono da evitare le situazioni di emergenza (esame o prestazione sportiva imminente) perché rendono ansiosi e deconcentrati; “la cosa migliore è apprendere il TA nei periodi di salute per averlo a disposizione in quelli di malattia – ciò significa applicare il TA come prevenzione” (ivi, 145).
Il campo di applicazione del TA è molto ampio, lo stesso Schultz affermava di non aver mai incontrato controindicazioni nell’applicazione del metodo; può essere usato per il trattamento di un disturbo specifico, anche di natura organica, oppure per la crescita della personalità. Tuttavia, sono difficili da trattare coloro che ricevono vantaggi secondari (materiali o sociali) molto elevati dalla loro malattia. Anche nei confronti dei narcisisti, il TA raggiunge scarsi risultati; ciò non è imputabile al particolare tipo di trattamento utilizzato, infatti con questi soggetti si rivelano inefficaci la maggior parte delle psicoterapie di qualsiasi orientamento, quanto piuttosto alla grande difficoltà di questi soggetti di mettersi in discussione. Coloro che esplicitamente rifiutano il TA spesso hanno paura di perdere il controllo su se stessi, sugli altri e sull’ambiente circostante. Si tratta di soggetti ossessionati dall’ordine, dalla pulizia, dal risparmio, dalla puntualità e dai dettagli; spesso rientrano nel prototipo del Disturbo Ossessivo-Compulsivo di personalità. La causa del loro stile di personalità è da ricercare nell’infanzia, in un’educazione rigida e autoritaria in cui non vi era spazio per l’espressione degli affetti. Una particola attenzione va riservata ai soggetti ipocondriaci, i quali sono alla costante ricerca di sintomi fisici, capaci di rivelare una malattia nascosta e pericolosa. Occorre, in modo preliminare, verificare la loro capacità di produrre controimmagini che abbiano la forza di attenuare l’intensità di quelle ansiose che normalmente si creano (ivi,148-149).
Una prima controindicazione assoluta al TA è riservata per coloro che soffrono di disturbi dello spettro della schizofrenia o di altri disturbi psicotici; il trattamento, infatti, rischia di aggravare la loro dissociazione. Un’ultima controindicazione assoluta riguarda coloro che soffrono di scompensi cardiaci; gli esercizi, infatti, potrebbero aggravare questa condizione. Quanti, invece, in passato sono stati colpiti da infarto, possono accedere al TA a patto che la loro personalità sia integra e funzionale (ivi, 149).

Svolgimento
Ci dedicheremo, ora, alla descrizione dettagliata dello svolgimento del TA. Si tratta semplicemente di consigli generali che andranno adattati di volta in volta alle particolari situazioni e agli specifici soggetti che dovranno eseguire gli esercizi. Probabilmente è meglio che queste indicazioni siano osservate fedelmente da coloro che iniziano a praticare il TA per la prima volta; col progredire dell’esperienza, ognuno sarà in grado di ‘cucire’ al meglio, come fa un buon sarto con un vestito, queste indicazioni su se stesso.

L’ambiente
Tutte le indicazioni fornite dagli autori a riguardo dell’ambiente, possono essere raggruppate attorno ad un denominatore comune: scegliere un ambiente in cui ci si sente a proprio agio. Non è fondamentale il luogo in quanto tale, anche se alcune condizioni possono favorire il rilassamento, quanto piuttosto il sentirsi in contatto con un ambiente favorevole e non ostile. Pertanto, il TA può essere praticato sia nella propria stanza, silenziosa e arieggiata, sia in un treno regionale, con altre persone sedute accanto e di fronte; l’unica condizione è quella di sentirsi bene all’interno del proprio ambiente (Albisetti, 1997, 33-34).
Quando, invece, il training si svolge in gruppo, il conduttore può impegnarsi (nel limite del possibile!) per creare quelle condizioni che possono favorire il rilassamento: spazio abbastanza grande, ridurre al minimo i rumori esterni, regolare il caldo o il freddo della stanza.

Quando esercitarsi
Tutti gli esperti in materia concordano che è importante dedicare al TA uno specifico momento della giornata e non i ‘ritagli di tempo’! Occorre, infatti, che la pratica del TA diventi “un’abitudine e, come tutte le abitudini, con l’andar del tempo, una necessità” (Hoffmann, 1980, 163). Non esiste un momento migliore di un altro, durante la giornata, in cui esercitarsi; ciascuno, a seconda del proprio ritmo di vita, può scegliere il momento più opportuno da dedicare al TA. Perfino il bagno, per coloro che freneticamente corrono di qua e di là e trovano pace soltanto in quel momento (!), può essere il luogo più idoneo: si è liberi dal controllo degli altri e nessuno vede quello che si sta facendo. Il consiglio di Hoffman è quello di non esercitarsi troppo spesso, ma di farlo regolarmente. Considerando i ritmi di vita attuali della maggior parte delle persone, è importante mettere in evidenza come numerosi studi confermino l’efficacia del TA anche quando praticato una sola volta alla settimana; uno per tutti, tra i più recenti, quello condotto da Nardini su un campione di 18 studenti universitari, per verificare l’efficacia del TA nella prevenzione della risposta da stress (Nardini, 2015, 15-16).

La durata dell’esercizio
Il TA è composto da diversi esercizi e tutti gli autori concordano sul fatto che ciascun esercizio dovrebbe durare da un minimo di uno ad un massimo di tre minuti; un tempo, cioè, né troppo lungo ma neanche tanto breve, il fine, infatti, non è quello di abbandonarsi piacevolmente ai propri pensieri, quanto, piuttosto, quello di acquisire un certo automatismo in grado di favorire una risposta di rilassamento rapida e profonda. Anche in questo caso vale la regola: “nessun sistema rigido, ma nemmeno una frammentazione nello svolgimento degli esercizi e nei tempi di lavoro. La cosa migliore è attenersi ai propri tempi” (Hoffmann, 1980, 165).

La postura
Arrivati a questo punto, molti saranno ansiosi di conoscere la postura più adatta per eseguire gli esercizi del TA. Ebbene, rimarranno sorpresi dallo scoprire che non esiste! “Si tratta in sostanza della necessità di trovare la posizione del corpo la più opportuna per evitare qualsiasi fattore di tensione muscolare” (Schultz, 1978, 22). Seduti, distesi o in piedi, purché la posizione scelta assecondi il nostro corpo nel raggiungere la maggior passività possibile. La posizione supina potrebbe essere la più adatta per chi sta iniziando a far pratica del TA; essa, infatti, è la posizione che in automatico richiama il rilassamento a motivo della sua familiarità con il sonno, inoltre, è la posizione che favorisce un maggior contatto del soggetto con tutte le parti del proprio corpo e richiama alla mente lo schema complessivo del proprio corpo (Hoffmann, 1980, 165-166).

La chiusura degli occhi
Dopo che il soggetto ha assunto la postura più adatta per la realizzazione degli esercizi, lo invitiamo a chiudere gli occhi al fine di ridurre al minino le interferenze derivanti dalle stimolazioni visive. I soggetti più esperti sarebbero capaci di svolgere gli esercizi del TA anche ad occhi aperti, ma questa condizione non favorisce l’introspezione che di solito viene favorita dalla chiusura degli occhi (Schultz, 1978, 27).

L’atteggiamento psicologico di calma
Dopo che il soggetto ha assunto la posizione più idonea al rilassamento ed ha chiuso gli occhi, lo invitiamo a ripetere la frase: “Sono calmo e rilassato”; si tratta di indurre un stato di calma al fine di prepararsi psicologicamente agli esercizi che seguiranno. Questa frase, originariamente pensata da Schultz solo all’inizio del TA, è stata poi estesa, da lui stesso e da altri, al termine di ogni esercizio. Si tratta di entrare in uno stato di raccoglimento interiore simile a quello che spontaneamente si crea alcuni secondi prima che inizi la celebrazione eucaristica, quando, tra il già e non ancora, il nostro corpo si abbandona passivamente all’ambiente e la nostra mente si lascia avvolgere dal mistero.
“L’induzione allo stato di calma […] è un processo di regressione in senso psicoanalitico, cioè un ritorno a uno stadio evolutivo anteriore, nel quale (come nel neonato) il mondo oggettivo esterno non ha importanza e il vero oggetto, su cui si rivolge l’attenzione, è invece il proprio corpo” (Hoffmann, 1980, 173). Attraverso questo stato di regressione, che facilita l’introspezione e accresce la suggestionabilità, si scatenano processi somatici che osserviamo, registriamo e utilizziamo per successive modificazioni autosuggestive. “Il soggetto in training lavora quindi sia con la parte passivo-sensitiva che con la parte attiva del suo Io. Ritroviamo questa scissione della personalità, anche se in forma modificata, in ogni processo di apprendimento: qui si alternano infatti la presa di coscienza dei contenuti di pensiero, o della loro dimenticanza, con la presa di posizione nei confronti di essi” (ibidem).

Durata complessiva del training
Quanto deve durare un training di addestramento al TA? Sia Schultz che Hoffmann concordano sul fatto che è necessario incontrarsi ogni settimana, alternando una seduta di allenamento, in cui viene introdotto un nuovo esercizio, e una seduta di controllo per consolidare la tecnica appresa e i suoi effetti. Seguendo questo schema, il tempo necessario (escludendo le festività) per apprendere sia gli esercizi fondamentali sia quelli complementari, è di cinque o sei mesi. Può, anche, essere sufficiente un solo semestre scolastico (tre o quattro mesi) o addirittura un corso di una settimana, come i congressi che gli operatori della salute periodicamente svolgono, per apprendere la teoria del TA. Questi soggetti, però, avranno poi bisogno di molti mesi per assimilare la teoria e per esercitarsi nella pratica, prima di poter essere in grado di insegnare agli altri (ivi, 175-176).

Gli esercizi
Il TA è costituito da due diverse tipologie di esercizi: quelli inferiori, dove la concentrazione è rivolta verso le sensazioni corporee, e quelli superiori, che riguardano le rappresentazioni psichiche. Appartengono alla prima categoria sei esercizi, due fondamentali e quattro complementari; mentre, l’addestramento agli esercizi superiori è riservato agli psicoterapeuti, perché permettono di risalire a dinamiche profonde e inconsce della condotta e del funzionamento dell’individuo (Crosa, 1978, XIV-XV).
Gli esercizi terminano con la fase di ripresa in cui le braccia vengono mosse energicamente un paio di volte, si respira in maniera più intensa e si aprono gli occhi. Tutto questo è necessario per tornare allo stato di veglia e, in termini neurofisiologici, per riportare la circolazione sanguigna ai valori ‘normali’ (più alti) che ci permettono di svolgere le attività quotidiane. Va da sé, che questa fase sarà realizzata al termine dell’ultimo esercizio svolto.

Pesantezza e calore: esercizi fondamentali
L’allenamento ad uno stato di rilassamento, sempre più generalizzato ed evidente, costituisce il primo esercizio. La distensione muscolare viene percepita da noi come pesantezza; dunque, le formule per il primo esercizio dovranno essere simili a questa: «il braccio destro/sinistro è (completamente) pesante». È importante che la pesantezza corrisponda alla distensione muscolare; dobbiamo, dunque, immaginarcela nel modo più intenso e fantasioso possibile. Possiamo, per aiutarci, ricordare le sensazioni che abbiamo percepito quando, ad esempio, abbiamo sollevato con il nostro braccio qualcosa di molto pesante; oppure, la sensazione di quando, al mattino appena svegli, non ‘sentiamo’ più il nostro braccio, perché ‘addormentato’ a causa di una posizione innaturale tenuta per lungo tempo durante il sonno. È questa la pesantezza che l’esercizio vuole suscitare. Un buon test, che il conduttore può realizzare, per constatare l’effettivo rilassamento, è quello di sollevare il braccio del soggetto e di lasciarlo cadere sulla base dov’era appoggiato; se cade come un ‘peso morto, allora il rilassamento raggiunto è notevole. Anche i muscoli, in questa fase, alla palpazione risulteranno molto morbidi e distesi (Hoffmann, 1980, 202-203). La stessa formula va, poi, ripetuta per ogni singolo arto del corpo umano, ossia braccia e gambe.
L’esercizio del calore è identico al precedente; soltanto la formula cambia: «braccio destro caldo». Inizialmente il calore sarà percepito soltanto nella parte del corpo esplicitamente menzionata dalla formula: il braccio. Successivamente, già a partire dalla seconda o terza volta in cui l’esercizio viene praticato, il calore si irradierà in ogni parte del corpo. Per questo è importante assecondare questa sensazione adattando la formula ad ogni parte del corpo. Per rendere questo esercizio più efficace può essere utile immaginare situazioni in cui il braccio può facilmente riscaldarsi durante lo stato di veglia, come ad esempio quando è appoggiato su di un calorifero (Bazzi, Giorda, 1984, 80-81).

Cuore, respirazione, plesso solare, spalla-nuca e testa: esercizi complementari
“Lo schema di procedimento di Schultz comportava il seguente ordine di progressione degli esercizi: dopo pesantezza e calore, cuore, respiro, plesso solare, fronte” (ivi, 82). Dunque, l’esercizio del cuore è quello che inaugura la serie dei complementari. In questo caso la formula da ripetere sarà simile a questa: «il cuore batte calmo e forte». Non si tratta di far rallentare il battito cardiaco, quanto piuttosto di prendere consapevolezza di questo organo umano e dei vissuti che esso, simbolicamente, contiene. Si troveranno, purtroppo, in difficoltà nell’eseguire questo esercizio, innanzitutto coloro che non hanno consapevolezza del proprio cuore; Schulz stima che costoro sono la metà di quanti praticano il TA, mentre Hoffmann sostiene che essi sono addirittura di più (Hoffmann, 1980, 235). Per costoro sarà utile inizialmente poggiare la mano destra, durante l’esercizio, sulla zona toracica in cui è alloggiato il cuore; le vibrazioni percepite aiuteranno a ‘sentire’ il cuore. Sul versante opposto ci sono, poi, coloro che spontaneamente percepiscono il battito cardiaco appena vi rivolgono l’attenzione: per loro, questo esercizio, potrebbe produrre sensazioni spiacevoli. In tal caso, può essere omesso, anche perché supplementare.
Il successivo esercizio coinvolge la respirazione attraverso la seguente espressione: «il mio respiro è molto calmo». Non bisogna forzare, il ritmo naturale e rilassato si instaura da sé. Lo scopo di questo esercizio è quello di riacquisire la capacità di una respirazione spontanea e di una distensione respiratoria sempre più completa. Possono aiutare immagini che rievocano fenomeni atmosferici, come le chiome degli alberi mosse dal vento o una barca cullata dalle onde del mare.
Sempre più frequentemente la letteratura medica e neuropsicologica considera l’intestino come un ‘secondo cervello’, ossia una regione particolarmente innervata da terminazioni e sede di particolari recettori; ad esempio, la serotonina è più presente nelle cellule dell’intestino che nei neuroni del SNC e il microbiota intestinale svolge un ruolo fondamentale nella regolazione di questo neurotrasmettitore (Yano, Yu, Donaldson, Shastri, Ann, Ma, Nagler, Ismagilov, Mazmanian, Hsiao, 2015, 264). Ebbene, l’esercizio del plesso solare ha come obiettivo proprio la stimolazione della regione epigastrica. Quest’organo, infatti, (il plesso solare) è la sede del ganglio celiaco, un centro dal quale diverse ramificazioni si irradiano in tanti organi del corpo umano, compreso lo stomaco, l’intestino tenue e parte del crasso. La formula per l’addome è la seguente: «plesso solare irradiato di calore». Poiché quest’organo è sconosciuto ai più, il passo iniziale sarà quello di scoprirlo. Per questa ragione, ci si può aiutare poggiando la mano sull’addome, in modo tale che il mignolo si trovi all’altezza dell’ombelico e il pollice in corrispondenza della parte finale dello sterno; questa è esattamente la zona, sotto la quale ‘si nasconde’ il plesso solare (Hoffmann, 1980, 250-254).
Gli effetti di questo esercizio sono molteplici; ne ricaveranno beneficio soprattutto coloro che soffrono di disturbi gastrointestinali. Diversi studi, infatti, hanno rilevato effetti benefici sui processi digestivi (riduzione o aumento della secrezione gastrica, a seconda dei casi) e sulla peristalsi intestinale. Acidità di stomaco, stitichezza e diarrea, sono soltanto alcuni dei problemi che possono beneficiare di questo esercizio. Più recentemente sono state condotte prove d’efficacia anche nei confronti della sindrome del colon irritabile (IBS), una patologia di natura psicosomatica, particolarmente invalidante, che affligge molte persone, caratterizzata da gonfiore, alterata motilità e alvo stitico o diarroico, la cui diagnosi si attua per esclusione, ossia quando le indagini strumentali (colonscopia, ecografia) non rilevano alterazioni morfologiche. Uno studio sperimentale condotto dal Dipartimento di Medicina Comportamentale dell’Università di Tohoku in Giappone ha messo in luce che sono sufficienti due mesi di trattamento, per un totale di otto sessioni, con frequenza settimanale della durata di 30-40 minuti per ottenere effetti benefici, clinicamente rilevanti, su questo disturbo; in modo particolare è stata osservata una riduzione del dolore, un aumento della funzionalità sociale e lavorativa, delle emozioni piacevoli e dello stato di salute generale (Shinozaki, Kanazawa, Kano, Endo, Nakaya, Hongo, Fukudo, 2010, 192-193).
L’esercizio di distensione della spalla e della nuca, ritenuto importante da Hoffmann, ma non inserito da Schultz nel complesso generale del TA, poiché considerato come esercizio parziale, è in grado di indurre il rilassamento nei confronti dei muscoli che sorreggono la testa e che, verso il basso, circondano la colonna vertebrale. Si tratta di un esercizio estremamente efficace, che può anche essere svolto come esercizio parziale.
L’ultimo esercizio descritto da Schultz è quello della fronte; Hoffmann, invece, ha pensato bene di estendere il rilassamento a tutta la testa ed ha così ‘scomposto’ l’esercizio originario in altri tre esercizi, riguardanti la fronte, il viso e gli occhi.
«La fronte è piacevolmente fresca»: questa espressione, ripetuta mentalmente diverse volte durante l’esercizio, è in grado di stimolare la distensione dei vasi sanguigni (arterie e vene) intra ed extra cranici, con una conseguente riduzione del mal di testa. Si realizza la stessa situazione quando dopo aver mangiato, il sangue si concentra nella regione addominale per favorire la digestione. Il soggetto vive la sensazione di una fronte fresca sospesa su un corpo caldo e pesante.
Per distendere il viso, invece, si possono usare formule simili a questa: «tratti del volto completamente lisci e distesi». Questo esercizio può far distendere il viso, facendoci ritrovare la nostra espressione naturale. Considerando, però, le diverse maschere da noi indossate nei vari contesti in cui quotidianamente ci imbattiamo, e la crisi dell’identità personale che ne consegue, è facile intuire come la percezione di un viso vivace ed espressivo non possa essere raggiunta dopo il primo esercizio, ma necessiti di tempo.
Oltre alla distensione della zona spalla-nuca è anche importante la distensione degli occhi: «I bulbi oculari sono a riposo/sono morbidi/riposano tranquillamente nelle orbite». Questa formula è stata ideata da Hoffmann insieme ad un paziente che soffriva di glaucoma, il quale aveva riscontrato benefici attraverso questo esercizio (Hoffmann, 1980, 268).

Illustrazione del caso
Inizierò, ora, la descrizione del soggetto che ha appreso il TA e della sua problematica. Lo scopo sarà quello di verificare l’efficacia del TA in un soggetto affetto da disturbi d’ansia.

Informazioni biografiche e descrizione del soggetto
Alberto è un uomo di 37 anni, laureato, non sposato. Descrive se stesso come una persona precisa e molto razionale, a tratti anche rigida, che non si lascia influenzare dalle proprie emozioni. Non concede molto tempo alle attività di svago e di hobby; spesso, infatti, non prende in considerazione le proprie esigenze perché le considera debolezze morali. Nelle relazioni professionali ed amicali gli capita, a volte, di sperimentare un grande coinvolgimento personale quando gli altri condividono le proprie idee; manifesta critica e rifiuto, quando, invece, le stesse persone esprimono pubblicamente opinioni contrarie alle sue. Possiede standard perfezionisti sia nel lavoro che in ambito morale. Riesce a stabilire relazioni significative più con persone dello stesso sesso e spesso di età inferiore alla sua, piuttosto che con coetanei o con persone di sesso femminile. Vive autonomamente in un appartamento non molto lontano da quello dei suoi genitori, con i quali conserva un buon rapporto, attraverso visite e telefonate frequenti.

Descrizione del problema e obiettivi di trattamento
Alberto soffre da molti anni di agorafobia, legata soprattutto agli spazi chiusi e all’essere in fila tra la folla. In queste circostanze sperimenta una forte ansia “a causa di pensieri legati al fatto che potrebbe essere difficile fuggire oppure che potrebbe non essere disponibile soccorso nell’eventualità che si sviluppino sintomi simili al panico o altri sintomi invalidanti o imbarazzanti” (APA, 2014, 251). Quando non è costretto, evita di esporsi a queste circostanze; quando, invece, è obbligato, per motivi sociali o lavorativi, spesso assume, alcune gocce di un rimedio omeopatico. Fino a non molto tempo fa, però, assumeva occasionalmente psicofarmaci.
Gli obiettivi che Alberto si prefigge di raggiungere attraverso gli esercizi del TA sono due: ridurre il suo stato d’ansia generale e riuscire ad affrontare le situazioni potenzialmente ansiogene senza ricorrere all’uso di alcun supporto né omeopatico né farmacologico.

Pre-test: situazione iniziale
Per ‘misurare’ il livello di ansia di Alberto è stato usato l’Inventario per l’ansia di “Stato” e di “Tratto” (STAI). Questo test, ideato da Spielberg, permette di rilevare sia l’ansia intesa come condizione momentanea, sia l’ansia intesa come tratto relativamente stabile di personalità. L’ansia di “tratto” può essere intesa come “la tendenza personale a percepire una vasta gamma di condizioni di vita come minacciose ed a reagire ad esse con un’intensità elevata di ansia” (Spielberg, 1989, 5). Più elevati sono i livelli d’ansia di tratto e più è probabile che un individuo sperimenti ansia soprattutto nelle relazioni interpersonali, percepite dal soggetto come una minaccia per la propria autostima. L’ansia intesa come “stato”, invece, si attiva soltanto nelle situazioni percepite dal soggetto come minacciose. Lo schema proposto da Spielberg è il seguente: quando una situazione è percepita come minacciosa si attiva una risposta di Stato-A; situazioni valutate come pericolose o minacciose per l’autostima del soggetto saranno percepite con un’intensità più elevata da coloro che presentano livelli più alti di ansia di Tratto; il feedback sensoriale e cognitivo alimenta il circuito dell’ansia; l’ansia di Stato attiva meccanismi di difesa e comportamenti già collaudati in passato dal soggetto come in grado di ridurre lo stato d’ansia; l’esposizione ripetuta a situazioni potenzialmente ansiogene fa aumentare il controllo che il soggetto esercita su se stesso per cercare di gestire l’attivazione dell’ansia (ivi, 6-7).
Sono state somministrate ad Alberto, durante un’unica sessione, prima la scala di Stato-A e poi quella di Tratto-A. Ha impiegato circa 12 minuti per rispondere ad entrambe; si è soffermato attentamente a leggere le istruzioni riportate sulla scheda (nonostante gliele avessi riportate a voce!) e non ha chiesto chiarimenti per alcun item. Il punteggio grezzo ottenuto da Alberto è stato trasformato in Punti T seguendo le norme italiane riportate dal manuale e confrontandolo con il gruppo di standardizzazione dei lavoratori adulti.
Alberto ha riportato un punteggio T pari a 62 relativo all’ansia di stato e di 70 relativo all’ansia di tratto. Il punteggio più basso della prima scala rivela che le condizioni di somministrazione sono state relativamente buone, cioè neutre, e che in quel momento Alberto era maggiormente rilassato rispetto al suo solito. I punteggi, pur essendo molto elevati, sono all’interno della seconda deviazione standard (DS), infatti, la media dei Punti T è 50 e la DS 10; ciò significa che siamo dinanzi ad un soggetto che rientra ancora nella curva di Gauss, seppur agli estremi della stessa. Infatti, il 95% della popolazione, di norma, si colloca a due DS al di sotto e al di sopra della media. Non si tratta pertanto di un soggetto fortemente patologico, infatti, soddisfa soltanto due criteri (il minimo) per la diagnosi di Agorafobia secondo il DSM-5.

Applicazione del trattamento: il TA
Il training è stato realizzato presso il domicilio del paziente, in una stanza silenziosa e ampia, al riparo da ogni possibile distrazione; i cellulari erano spenti e non vi era possibilità di essere disturbati dall’esterno. Alberto ha appreso il TA durante sedute settimanali, della durata di circa 30 minuti, che si sono ripetute per due mesi, per un totale di 9 incontri. L’apprendimento del TA è stato graduale. Durante le prime due settimane, infatti, è stato insegnato ad Alberto soltanto l’esercizio della pesantezza, aggiungendovi, poi, durante la terza e la quarta, anche quello del calore. Durante queste prime quattro settimane, oltre ai quattro incontri di apprendimento, Alberto ha praticato il TA personalmente altre otto volte, due per ciascuna settimana. In totale, durante questo tempo Alberto ha praticato dodici volte gli esercizi del TA.
A partire dalla quinta settimana Alberto ha appreso anche l’esercizio del cuore. L’operatore prevedeva che questo esercizio avrebbe comportato delle difficoltà poiché, durante il colloquio, Alberto aveva riferito che le manifestazioni psicofisiologiche dell’ansia erano avvertite soprattutto nella regione cardiaca, attraverso un battito molto forte ed accelerato; per questo motivo si è preferito aspettare che Alberto sviluppasse un certo automatismo nei confronti degli esercizi fondamentali e che iniziasse a beneficiare degli effetti di distensione tipici del TA. La prima volta in cui Alberto ha eseguito l’esercizio del cuore, si è molto agitato ed ha aperto gli occhi improvvisamente. Ha riferito che avvertiva delle forti palpitazioni e si sentiva molto in ansia. È stato prontamente tranquillizzato, dicendogli che questo esercizio inizialmente crea problemi a molto persone, chiedendogli inoltre di fare due lunghi respiri. Dopo alcuni minuti, durante i quali si è tranquillizzato, l’operatore ha chiesto se voleva chiudere gli occhi e fare soltanto l’esercizio della pesantezza per poter ritrovare quello stato di calma e di benessere che aveva sperimentato fino a prima di quel momento. Alberto ha risposto di sì ed ha eseguito l’esercizio. Prima di chiudere la sessione gli è stato chiesto di provare a svolgere l’esercizio del cuore autonomamente durante la settimana, e così ha fatto; anche se durante la settimana in questione e per tutte quelle successive, ha svolto personalmente il TA soltanto una volta alla settimana e non più due.
La settimana successiva, la sesta, al termine della seduta di apprendimento, Alberto ha riferito che la sensazione spiacevole relativa al cuore andava progressivamente attenuandosi. A partire da questa settimana e per altre tre, fino cioè alla fine del trattamento, gli esercizi del TA (pesantezza, calore e cuore) sono stati svolti insieme e con effetti progressivamente più piacevoli.

Post-test: situazione finale
Sette giorni dopo aver terminato il trattamento, è stato organizzato un incontro di follow-up con Alberto per un colloquio clinico conclusivo e per la somministrazione dello STAI. Ha riferito di aver continuato a praticare il TA anche se non era più prevista alcuna sessione di apprendimento. Ha anche raccontato, con senso di grande soddisfazione, di aver sperimentato un livello d’ansia minore quando, per motivi di lavoro, ha dovuto recarsi in un luogo molto affollato dal quale non sarebbe potuto uscire facilmente, e soprattutto di essere riuscito ad affrontare questa situazione senza assumere preventivamente alcun tipo di prodotto sintetico o naturale.
I risultati del test confermano, fornendoci anche una misura quantitativa, le sensazioni positive vissute da Alberto; i livelli di ansia di stato e di tratto sono più bassi rispetto alla situazione iniziale.

Risultati raggiunti e obiettivi futuri
I risultati ottenuti dal test, a conclusione del trattamento, mostrano che il TA si è rivelato molto efficace nel ridurre lo stato d’ansia del soggetto. È significativa, infatti, la variazione di punteggio, relativa all’ansia di stato, che è possibile osservare prima e dopo il trattamento. Ciò significa che il momento in cui è stato somministrato il test per la seconda volta, non è stato percepito come minaccioso, a differenza, invece, della volta precedente quando la sua ansia era ben al di sopra della media (62%). Già questo sarebbe di per sé un ottimo risultato, indicativo del fatto che, Alberto è riuscito ad affrontare senza ansia le situazioni già vissute in passato. A questo, però, vi si aggiunga, un valore inferiore, relativo all’ansia di tratto, registrato durante la seconda rilevazione. Non ci si lasci ingannare dal fatto che il valore è inferiore soltanto di tre punti rispetto alla precedente somministrazione; si tratta, infatti, dell’ansia intesa come tratto stabile di personalità e quindi molto difficile da modificare. Secondo il modello di Spielberg, infatti, l’ansia di tratto è il risultato del consolidarsi nella personalità delle numerose volte in cui il soggetto sperimenta ansia relativa alle diverse situazioni della vita (ansia di stato). Ciò significa che se il soggetto continuerà ad avvertire livelli sempre più bassi di ansia, quando si troverà in spazi chiusi o in fila tra la folla, è molto probabile che la sua ansia di tratto si ridurrà ulteriormente.

Conclusioni
I risultati ottenuti da Alberto confermano ciò che la letteratura scientifica sull’argomento ha portato alla luce già da diversi anni, ossia l’efficacia del TA per il trattamento dei disturbi d’ansia e nello specifico per l’agorafobia.
Sarebbe interessante, al fine di poter verificare la persistenza del cambiamento, effettuare un follow-up, sia attraverso il colloquio clinico si attraverso la somministrazione dello STAI, tra alcuni mesi, ossia dopo un congruo tempo utile a mostrare riduzioni ancora più significative relative all’ansia di tratto. Va da sé, che questi miglioramenti potranno essere ottenuti soltanto se Alberto continuerà a praticare regolarmente il TA.
Sarebbe, inoltre, auspicabile che la medicina tradizionale, abbandonando il paradigma riduzionista che considera la mente come dualisticamente separata dal corpo, e il corpo stesso come inaccessibile da parte di altre forze (intrapsichiche ed interpersonali), in favore del paradigma sistemico della complessità, si riappropri del TA, rivendicandone la paternità e la possibilità di impiego, o come coadiuvante alla terapia farmacologica o addirittura in luogo della semplice e sbrigativa prescrizione di farmaci utilizzati per trattare, senza tra l’altro risolverli, disturbi che possono efficacemente beneficiare del TA.

 

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