La Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (REBT): uno strumento per vivere in modo razionalmente efficace

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Albert Ellis è il fondatore della REBT, presentata, per la prima volta, nel 1961 al convegno dell’American Psychological Association, allora ancora con l’acronimo del suo nome inglese RET.

La REBT, prende in considerazione le teorie formulate nell’antichità dai grandi filosofi, psicologi e pensatori greci e romani (De Silvestri, 1981).

Non a caso, il suo assunto principale fa perno su quanto affermato da Epitteto più di 2500 anni fa: “ Gli uomini sono agitati e turbati non dalle cose, ma dalle opinioni che essi hanno delle cose” (Ellis, 1998, 24). Il nostro comportamento non è determinato dagli eventi esterni, ma dalla visione che abbiamo di tali eventi, cioè da come percepiamo, interpretiamo, valutiamo, ciò che ci accade. Sostanzialmente, si intende dire che gli uomini stessi sono responsabili delle proprie emozioni disturbate, a causa della formulazione di pensieri illogici e irrazionali. Quindi, allo stesso modo in cui sono capaci di crearle, sono anche in grado di controllarle e modificarle (Ellis, 2012).

“L’uomo è un animale singolarmente razionale, ma anche singolarmente irrazionale, e i suoi disturbi emotivi o psicologici sono il prodotto dei suoi pensieri illogici e irrazionali. Egli può liberarsi di quasi tutti i suoi disturbi, infelicità e inefficienza emotivi e mentali se impara a massimizzare i suoi pensieri razionali e minimizzare quelli irrazionali” (Ellis, 1989, 62).

Nel 1993, Ellis, per evidenziare l’associazione con le teorie comportamentali, modifica il nome da RET a REBT (rational-emotive behavior therapy/REBT). Giustifica la sua scelta affermando che la terapia da lui ideata ha sempre contenuto, sin dall’inizio, elementi che la definiscono cognitiva, molto emozionale e particolarmente comportamentale (Di Giuseppe et al., 2014).

Con questo sarà facile identificare la REBT come un intervento attivo-direttivo volto ad eliminare qualsiasi metodo didattico passivo in quanto, oltre alla discussione verbale, sottolinea anche l’azione, il lavoro, lo sforzo e la pratica (Ellis, 2012).

Ellis sostiene che gli esseri umani hanno la peculiarità di crearsi i propri problemi per mezzo del pensiero, attraverso l’immaginazione e tramite il proprio modo di comportarsi. Proprio per questo le sue tecniche di intervento agiscono in questi tre aspetti del funzionamento umano: pensiero, immaginazione, comportamento (Ellis, 2012).

L’articolo, è strutturato nel tentativo di offrire una descrizione dell’evoluzione storica della REBT. Questo è stato possibile ripercorrendo gli avvenimenti che hanno indotto Ellis a formulare un modello tanto innovativo. Verrà presentato il paradigma ABC dal quale prendono avvio i passi successivi volti alla costruzione di un pensiero “razionalmente efficace”, C e D. Successivamente, troverete una breve rassegna di tutte le ricerche che testimoniano il successo della REBT nei diversi contesti: da quello clinico a quello educativo. In conclusione, ho cercato di definire lo stato attuale della REBT, soprattutto in Italia.

Albert Ellis e la REBT

Albert Ellis è conosciuto come uno dei più famosi psicologi del mondo.

In particolar modo, grazie allo sviluppo della REBT, viene considerato il padre della terapia cognitivo-comportamentale (cognitive behavior therapy, CBT) in quanto, il suo contributo, è stato fondamentale nel processo di trasformazione che ha reso la CBT uno dei principali modelli terapeutici in grado di promuovere una trasformazione del comportamento (De Silvestri, 1981).

Infatti, il suo carisma e la sua passione per lo studio della filosofia, oltre all’attenzione rivolta per la pratica clinica, l’hanno spinto a formulare idee e teorie che si allontanavano dall’ortodossia vigente nella sua epoca. Non a caso, chi ha avuto il piacere di conoscerlo non stenta a descriverlo come una persona schietta, irriverente e sopra le righe (Di Giuseppe et al., 2014).

Ellis, infatti, può essere considerato come un anticonformista dei suoi tempi: utilizzava spesso un linguaggio colorito e, alle volte, persino scurrile, promuoveva idee libertarie sul sesso quando la maggior parte delle persone le considerava scandalose, amava sfidare le convinzioni e le opinioni diffuse. Ma, in molti, sostengono che con i suoi clienti, diversamente da quando si esibiva nei convegni, si dimostrava una persona attenta, empatica e sensibile (Ibidem).

Non è di certo chiaro se questo suo modo di essere abbia favorito o meno la diffusione della REBT, però sicuramente, quello che non si può negare, è che la sua presenza ai congressi riempiva le sale.

Tuttavia, se andiamo ad approfondire la sua biografia, risulta come, in realtà, questo modo di apparire sia stato frutto di un lungo lavoro che lo stesso autore ha svolto su se stesso. Questo perché, la sua infanzia infelice, caratterizzata da sofferenze fisiche e da una desolante situazione familiare, ha contribuito a renderlo un ragazzo debole, cagionevole e timido. Ellis, però, rifiutò di farsi abbattere dai suoi handicap familiari, sociali e fisici e partendo da un’accurata analisi razionale della situazione di fatto, decise come prima cosa di rendere migliore la realtà sviluppando le qualità di compenso che gli risultavano più accessibili. Per cui, la stessa REBT potrebbe essere considerata il frutto di una serie di convinzioni che animavano i pensieri dell’autore sin dalla giovane adolescenza (Di Giuseppe et al., 2014).

Albert Ellis, nasce a Pittsburg, in Pennsylvania, nel 1913, ma si trasferisce giovanissimo a New York dove trascorre tutto il resto della sua vita.

Egli si laurea in psicologia clinica presso la Columbia University nel 1947. E dopo un training come counselor sui problemi familiari e sessuali, inizia la sua carriera di psicoterapeuta (De Silvestri, 1981).

Nonostante questo tipo di terapia fosse in grado di offrire risultati discreti, Ellis, si rese presto conto che, nella maggioranza dei casi, i matrimoni o le relazioni disturbate erano il prodotto di partner disturbati (Ellis, 1989). A tal proposito, lo stesso Ellis sostenne:

« … mi resi presto conto che nella maggioranza dei casi i matrimoni o le relazioni disturbate erano il prodotto di partner disturbati, e che se si voleva veramente aiutare le persone a vivere meglio con gli altri, prima bisognava dimostrargli come potevano vivere meglio con se stesse » (Ellis, 1989, 15)

Decise così di imbattersi in un corso di addestramento psicoanalitico intensivo.

Ma anche la nuova esperienza clinica cominciò a deluderlo ben presto. Ellis iniziò così a discostarsi rispetto ad alcuni principi psicoanalitici come la lunga serie di regole rigide da rispettare che gli impedivano di affrontare alcuni problemi in modo diretto e l’elevata quantità di tempo da spendere per un’accurata ricostruzione anamnestica che, nella maggioranza dei casi, invece di condurre alla guarigione, lasciava il problema come lo aveva trovato (De Silvestri, 1981).

Durante i suoi trattamenti, ebbe modo di verificare l’intensa resistenza da parte dei clienti al metodo psicoanalitico: lunghi silenzi durante le sedute, difficoltà a ricordare i sogni, mancata riconoscenza dell’utilità dell’analista e raramente tendevano a sentirsi meglio (Ellis, 1989).

Ellis non si sentiva soddisfatto dei miglioramenti, del fatto cioè che i pazienti sembravano solamente “sentirsi meglio” (feel better) invece di stare meglio (get better). Aveva però notato che i metodi considerati più “superficiali” rispetto alla cosiddetta analisi del “profondo”, si dimostravano più efficaci del metodo ortodosso (De Silvestri, 1981).

A questo proposito, decise di attuare una psicoanalisi più attiva e in grado di offrire risultati maggiormente evidenti ma, anche in questo caso, non era contento della riuscita dei suoi pazienti.

Fu all’inizio degli anni Cinquanta che, partendo da un’accurata analisi dei principi dell’apprendimento, si rese conto che la strada più efficace per condurre i pazienti alla guarigione, non era quella di stimolarli a prendere coscienza dei loro condizionamenti affinché se ne potessero liberare, quanto piuttosto esporre attivamente l’individuo alle situazioni critiche.

L’autore giunse così alla conclusione che per aiutare un individuo a superare le sue emozioni e i suoi comportamenti non bastava il solo insight ma occorreva anche una notevole quantità di azione diretta a combatterle (Ellis, 1989).

Ma, nonostante queste nuove consapevolezze, Ellis continuava ad essere turbato dal fatto che non riusciva a trovare una spiegazione sul perché degli individui abbastanza intelligenti si ostinavano a mantenere emozioni e comportamenti gravemente autolesivi, anche quando avevano acquistato un notevole insight e si rendevano conto che le loro emozioni non avevano alcun motivo reale e i loro comportamenti servivano solo a farli stare peggio.

A questo punto, né la teoria psicoanalitica né i principi dell’apprendimento bastavano a fornirgli una risposta soddisfacente (Ibidem).

Fu così che in quegli anni, Ellis, iniziò a costatare la necessità di dare origine ad una psicoterapia in cui il terapeuta assumesse un ruolo direttivo e all’interno della quale fossero incluse le tecniche più disparate volte a favorire il cambiamento del cliente (Ellis, 2012).

Albert Ellis fonda così nel 1955 la Terapia Razionale (Dryden, 2012). Il suo nome deriva dall’enfasi che l’autore pone sugli aspetti cognitivi. Successivamente, però, si rese conto di aver sottovalutato nel nome l’importanza delle emozioni. A tal proposito, la presenta al convegno dell’American Psychological Association del 1956 con il nome Terapia Razionale Emotiva, conosciuta in tutti i paesi con l’acrostico del suo nome inglese RET (Ellis, 1989).

Unisce il termine “emotiva” per sottolineare il fatto che si trattasse di una terapia a duplice orientamento: rivela al paziente, da una parte, le sue “filosofie irrazionali”, dall’altra, si propone come obiettivo principale di modificare le sue emozioni intensamente sofferte, in concomitanza con i suoi pensieri distorti. Con questo l’autore vuole mettere in mostra come i pensieri e le emozioni sono essenzialmente associati, agiscono in un rapporto circolare di causa ed effetto e, sotto certi versi, sono la stessa cosa: i pensieri diventano spesso emozioni, e le emozioni, in alcune circostanze, diventano pensieri. Seguendo tale logica ne consegue l’ipotesi che controllando i propri pensieri è possibile controllare anche le proprie emozioni. Queste ultime possono essere regolate ponendo attenzione alle frasi interiorizzate, o dialogo interno, con cui esse sono state originate dall’individuo (Ellis, 1989).

In sintesi, secondo l’autore, ogni individuo ha la possibilità di raggiungere un certo benessere emotivo nella misura in cui utilizza la propria capacità di pensare in modo razionale e costruttivo (Di Pietro, 1999).

Nel 1993, su invito del suo amico di vecchia data Ray Corsini, Ellis, modificò nuovamente il nome della sua terapia rinominandola Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (REBT); (Ellis, 1995). Corsini, giustamente, gli fece notare la necessità di trovare un nome che mettesse in risalto la vasta gamma di tecniche comportamentali che era solito utilizzare in seduta. Infatti, Ellis, partendo dal presupposto che il cambiamento cognitivo da solo non è sufficiente se l’individuo non impara anche ad agire diversamente, durante le sue sedute, utilizzava una serie di tecniche comportamentali come: esercizi antivergogna, esercizi di assunzione dei rischi, uscire dal proprio ruolo, desensibilizzazione in vivo, gestione delle contingenze (Ellis, 2012).

A questo punto, non ci possono essere più equivoci, già dal nome è possibile intuire come per Ellis i pensieri, le emozioni e i comportamenti siano strettamente collegati tra loro. I pensieri influenzano le reazioni emotive e comportamentali; le emozioni influenzano il modo di pensare e le reazioni comportamentali, ed infine il modo di comportarsi influenza i pensieri e le reazioni emotive (Brondino, 1981).

Nel 1965, lo psicologo americano, fonda il primo Istituto RET a New York per la formazione di psicoterapeuti senza scopo di lucro, cominciò ad organizzare workshop, maratone e training, preparando allievi e collaboratori e spostando man mano il suo interesse dalla psicoterapia individuale alla psicoterapia di gruppo.

Nel 1961 scrisse la sua opera più importante, il manuale di auto-aiuto “ A Guide to Rational Living”. L’anno seguente(1962), pubblicò il suo primo libro per professionisti, “Ragione ed emozione in psicoterapia”.

Fino al 2007, anno della sua scomparsa, Ellis ha pubblicato dozzine di libri professionali e di auto-aiuto sulla REBT (Di Giuseppe et al., 2014).

Principi teorici fondamentali

La teoria della REBT, si ispira profondamente a quanto Epitteto ha sostenuto più di un secolo fa: “Gli uomini non vengono angosciati dalle cose, bensì dalle opinioni che si fanno di esse” (De Silvestri, 1981, 24).

Questo mette in evidenza come non siano gli eventi esterni in sé a creare emozioni spiacevoli quanto piuttosto il modo in cui l’individuo rappresenta nella propria mente tali eventi, cioè dal modo in cui pensa ad essi (Di Pietro, 1999). Tuttavia, i pensieri o le idee relative agli eventi hanno una forte influenza nelle risposte cognitive, emotive e comportamentali dell’individuo (Rait et al., 2007).

In particolare, secondo la REBT, alla base dei disturbi emotivi vi è la tendenza dell’individuo a pensare in modo irrazionale e illogico (Di Pietro, 1998).

La REBT definisce irrazionale ogni pensiero, emozione e comportamento che conduce a conseguenze autolesionistiche o autodistruttive (Ward, 2011). Non a caso, è interessata ad identificare sia le convinzioni dell’individuo razionali e perciò utili, sia le credenze irrazionali che conducono a comportamenti ed emozioni autodistruttivi (Rait et al., 2007).

Dal momento che, all’essere umano viene riconosciuto un ruolo profondamente attivo, Ellis, ritiene che nella stessa misura in cui gli individui creano le loro idee irrazionali, sono in grado di controllarle e modificarle.

Lo stesso autore afferma:

«Siete soprattutto (anche se non del tutto) voi a creare i vostri pensieri e le vostre emozioni disturbate: e di conseguenza siete voi ad avere il potere di controllarli e modificarli» (Ellis, 2012, 62).

La REBT, si propone di insegnare concretamente agli individui ad etichettare e descrivere le proprie emozioni identificando se sono razionali o irrazionali (Rait et al., 2007). Grazie a questa consapevolezza, la persona potrà essere pronta ad attaccare i pensieri e le emozioni negativi ed autodistruttivi, in maniera di riorganizzarli in modo adeguato, per dare forma ad un pensiero che diventa logico e razionale piuttosto che illogico e irrazionale (Adomeh, 2006).

In altre parole, si cerca di rendere gli individui dei “buoni scienziati” affinché possano acquisire corrette informazioni e costruirsi solide credenze razionali sostituendole a quelle irrazionali (Brondino, 1981).

Vengono, principalmente, esaltate tre filosofie di coping, considerate essenziali per essere “razionale” in un mondo altamente “irrazionale”: accettazione incondizionata di sé, accettazione incondizionata degli altri e accettazione incondizionata delle realtà immutabili della vita. Di conseguenza, la REBT, cerca di offrire agli individui la spinta necessaria per modificare le situazioni negative che si possono cambiare, accettare serenamente quelle che non si possono cambiare, ed essere saggi per conoscere la “differenza” (Ward, 2011).

Infatti, la sua teoria generale, afferma che gli individui più sereni e soddisfatti, sono quelli capaci di scegliere gli obiettivi utili agli scopi fondamentali di sopravvivenza e di benessere, e si sforzano attivamente di realizzarli nel rispetto del contesto sociale in cui sono inseriti (Di Pietro, 1998).

Ciò ci permette di considerare la REBT come l’applicazione della ragione e della logica nella psicoterapia allo scopo di aiutare gli individui a ridurre le emozioni negative e massimizzare quelle positive (Ellis, 2012).

Per questo, quando un individuo vuole essere efficace, felice e competente, deve pensare e comportarsi razionalmente; di conseguenza, quando è invece inefficace, incompetente e infelice, questo significa che egli pensa e si comporta in modo irrazionale (Adomeh, 2006).

Tuttavia, quanto affermato fin ora, lascia sicuramente trasparire come la REBT rappresenti una terapia attivo-direttiva tesa a fornire agli individui i mezzi per trascorrere una vita appagante e si propone di offrire a questi la consapevolezza di essere essi stessi gli strumenti per raggiungere questo obiettivo (Ward, 2011).

Nonostante la grande importanza attribuita da Ellis alla libertà, alla volontà e alla capacità di scelta degli individui nella determinazione della condotta, non esclude il fatto che molti comportamenti umani possano essere in parte determinati anche da fattori genetici, evolutivi, biologici, sociali, ambientali o di altra natura (Di Pietro, 1998).

Quanto detto sin ora, non deve in alcun modo far pesare che la REBT rappresenti una soluzione facile ai propri problemi proprio perché, al contrario, richiede un grande impegno e duro lavoro da parte dell’individuo nel modificare positivamente i propri pensieri, comportamenti e sentimenti al fine di ridurre al minimo il proprio disagio (Ellis, 2012).

Il modello ABC

Il modello ABC rappresenta uno schema interpretativo generale del funzionamento umano, ideato da Ellis per descrivere il ruolo dei pensieri nelle reazioni emotive (Brondino, 1981).

Ancora oggi, resta il più elegante strumento di valutazione diagnostica disponibile, non solo nella REBT ma in ogni forma di psicoterapia cognitivo-comportamentale (Di Pietro, 1998).

Infatti, l’applicazione clinica dell’ABC della REBT si è dimostrata efficace in migliaia di casi e in decine di studi (Ellis, 1998).

Tramite il modello dell’ABC si riflette pienamente la teoria della personalità e dei disturbi psicopatologici postulata nella REBT secondo la quale, gli esseri umani vengono visti come individui che cercano di realizzare i loro scopi in un dato ambiente, e che incontrano una serie di eventi attivanti (A) i quali tendono a favorire od ostacolare questi scopi. In genere, gli A non rappresentano semplici eventi allo stato puro, ma interagiscono con, e includono parzialmente, i pensieri (B) e le reazioni dell’individuo (C) (Di Pietro, 1998).

Secondo quanto sostenuto da Ellis, attraverso l’ABC, si può facilmente notare come cognizioni, emozioni e comportamenti siano interattivi e quasi mai completamente separati, distinti e allo stato puro (Ellis, 1998).

Si può sostenere che gli esseri umani non sperimentino mai gli A senza qualche B e qualche C; né d’altra parte possono, sperimentare B e C senza un qualche A (Di Pietro, 1998).

Nonostante ciò, il punto B, l’insieme di idee e convinzioni attraverso le quali interpretiamo la realtà, può essere considerato come l’elemento intorno al quale ruotano le emozioni e i comportamenti dell’individuo (Brondino, 1981).

Emozioni e comportamenti non sono quindi intesi come semplici conseguenze causate direttamente dall’evento al punto A, ma si sostiene che vengano invece prevalentemente condizionate dai processi cognitivi del punto B.

Tuttavia, Ellis, in accordo con la teoria del doppio circuito formulata da Wolpe, riconosce come alcune emozioni siano condizionate dalle cognizioni, mentre altre derivano da circuiti non cognitivi (Di Giuseppe et al., 2014).

In questo modo, viene confermato come il funzionamento degli esseri umani sia globale e unitario, inter-reattivo e interdipendente. Sostanzialmente, l’individuo funzionerebbe come un tutto unico, in cui cognizioni, emozioni e comportamenti rappresentino soltanto dei semplici aspetti del funzionamento globale (De Silvestri, 1999).

Ellis, si serve del modello dell’ABC, anche per spiegare l’insorgenza dei cosiddetti “disturbi secondari” (Ellis, 1998).

Succede questo quando un paziente si accorge di avere un problema (ABC primario) e concentra la sua attenzione su di esso o su qualche suo aspetto (che diviene un nuovo A) ed elabora una serie di pensieri e convinzioni (nuovi B), altrettanto, o anche maggiormente, disfunzionali di quelli del primo problema, e che portano a conseguenze emotive e comportamentali (nuovi C) altrettanto o maggiormente inadeguate, procurandosi così un nuovo problema. In genere, questo ABC secondario, interviene complicando notevolmente la portata e, conseguentemente, la risoluzione di quello primario (Di Pietro, 1998).

Gli eventi “attivanti” (A)

Secondo Ellis, ogni individuo presenta una serie di scopi o obiettivi che mira a realizzare. Essi possono essere intenzioni, propositi, valori, standard e speranze che spesso sono propensioni o tendenze biologiche (mangiare), ma sono anche apprese, e possono persino divenire abitudini ripetitive (mangiare troppo). Gli scopi, in genere, comprendono e influenzano cognizioni, emozioni e comportamenti; come al contrario pensieri, sentimenti ed azioni spesso comprendono e influenzano gli scopi (Ellis, 1998).

Ellis sostiene che il principale obiettivo degli individui deve essere quello di restare in vita e quindi quello di essere felice e soddisfatto: “Se non aveste il desiderio di sopravvivere, difficilmente vi riuscireste; e se non aveste l’obiettivo di essere felici, difficilmente vorreste rimanere in vita” (Ellis, 2012, 62).

Tali obiettivi, possono essere bloccati o sabotati da A, definito “evento attivante” che ne impedisce la loro realizzazione contribuendo o favorendo i disturbi (Ellis, 1998).

Tendenzialmente, siamo abituati ad attribuire ad A la causa del nostro malessere, proprio per questo, Ellis, ci tiene a precisare che A (fallimento o rifiuto che neutralizza i nostri obiettivi) contribuisce ma non causa mai C. A conferma di questo, basterebbe pensare che in corrispondenza di un evento disturbante non tutte le persone si potrebbero trovare ad agire nello stesso modo. Questo punto di vista, non è una novità insorta grazie alla REBT dal momento che, lo stesso Epitteto, più di 2500 anni fa, affermava che “Gli uomini non sono turbati dagli eventi ma dalla visione che hanno di essi” (Ellis, 2012, 63).

Tuttavia, non sono tanto gli eventi attivanti a causare le reazioni, quanto piuttosto i pensieri, le convinzioni. Gli eventi attivanti, contribuiscono allo sconvolgimento emotivo, ma non lo causano direttamente. Possiamo quindi vedere gli A come le “occasioni” ma non le cause delle reazioni emotive e comportamentali (Brondino, 1981).

L’evento A rappresenta tutto ciò che l’individuo è capace di prendere in considerazione, ovvero, qualsiasi cosa in grado di attivare i susseguenti B con i susseguenti C. Così un A può essere qualsiasi cosa del passato di un individuo che rimane conservato nella sua memoria, può essere qualsiasi cosa relativa alla sua presente esperienza, e può essere qualcosa che appartiene alle sue fantasie sul futuro. L’A è quindi un evento attivante che capita ad un individuo, ma gli individui quasi sempre conferiscono o aggiungono a questo A alcuni elementi cognitivi, emotivi e comportamentali. Occorre che in qualche modo si percepisca cognitivamente ciò che “obiettivamente” accade al punto A; e allora questo “fatto” si vedrà (cognizioni) in parecchi modi diversi, si sentirà (emozioni) qualcosa in proposito, e si farà (comportamenti) qualcosa al riguardo (Ellis, 1998).

Per evidenziare la circolarità del modello, basterebbe pensare che spesso, gli A influenzano notevolmente i B, ma anche i B influenzano notevolmente gli A. Così, se A viene percepito come perdita di approvazione e l’individuo è caratterizzato dalla convinzione “ Devo venire approvato, altrimenti non valgo nulla”, può essere condizionato a considerare A un evento spiacevole. Tuttavia, anche le conseguenze (C) hanno la facoltà di influenzare e persino creare gli A. Questo concetto può essere esemplificato prendendo in considerazione una donna terrorizzata (C) all’idea del rifiuto, tale convinzione la condurrebbe ad interpretare qualsiasi uomo come rifiutante (A) anche se l’uomo di fronte si stesse in realtà comportando in modo neutro (Ellis, 1998).

Le convinzioni (B)

Le convinzioni (B) sono considerate da Ellis, l’insieme di processi cognitivi che sotto forma di pensieri, considerazioni, commenti interni, compaiono nella mente dell’individuo riguardo all’evento attivante (Ellis, 2012).

Esse, vengono considerate l’elemento intorno al quale ruota l’intera triade. Infatti, sulla base delle nostre credenze, sarà determinato il modo in cui percepiamo un dato evento e le emozioni che, conseguentemente, proviamo (Brondino, 1981).

Ellis afferma: “Consapevolmente o non consapevolmente, noi scegliamo di pensare, e quindi di sentire, in certi modi che ci possono essere utili o dannosi” (Ellis, 2012, 24).

A questo proposito, secondo l’autore, le convinzioni, possono essere sia razionali (rational beliefs, RB) che irrazionali (irrational beliefs, IB). Le prime, RB, conducono a stati emotivi e reazioni comportamentali utili e funzionali agli scopi dell’individuo consentendogli così di affrontare la realtà in maniera efficace. Mentre, le seconde, IB, determinano stati emotivi e reazioni comportamentali eccessivamente prolungate determinando uno stato di intenso malessere psicologico (Ellis, 2012).

Attualmente, uno studio in corso, condotto su un campione non clinico di studenti universitari con il proposito di studiare la relazione tra RB e IB, sta mostrando dei primi risultati piuttosto incisivi. Le persone in terapia presentano una percentuale maggiore di credenze irrazionali rispetto a quelle razionali. Per questo, la patologia non è attribuibile alla sola presenza di credenze irrazionali, ma alla mancanza di bilanciamento tra credenze razionali e quelle irrazionali. Alla luce di ciò, il principale obiettivo della terapia consiste nell’aiutare il paziente a saper discriminare le RB dalle IB e, di conseguenza, ridurre il numero di credenze irrazionali rispetto a quelle razionali. Il metodo più utilizzato per far questo, è la disputa delle IB e lo sviluppo di modi di pensare più funzionali e adattivi (Di Giuseppe et al., 2014).

Convinzioni razionali (RB)

Se il sistema di convinzioni dell’individuo appare razionale ovvero, diretto ad aiutarlo (self-helping), esso sarà caratterizzato da atteggiamenti o filosofie che lo aiutino a raggiungere i suoi scopi, e tali convinzioni e pensieri razionali (RB) provocheranno, in genere, sane conseguenze (C) emotive come, ad esempio, appropriate sensazioni di delusione, dispiacere, rammarico e frustrazione. Non saranno altro che utili conseguenze comportamentali, cioè: comportamenti appropriati, come ad esempio tentativi di cambiare, migliorare o evitare gli eventi attivanti che sabotino i suoi scopi (Ellis, 1998).

La REBT, tende a definire la razionalità in base a tre criteri (Ellis, 2012):

-PRAGMATICO: appare razionale un modo di pensare che favorisca il conseguimento degli scopi fondamentali;

– LOGICO: appare razionale un modo di pensare che parta da premesse valide e contenga deduzioni esatte;

-EMPIRICO: appare razionale un modo di pensare basato su fatti reali e congruente con la realtà oggettiva.

La credenza razionale non è assolutistica quanto piuttosto condizionale, relativa, flessibile. Nella maggior parte dei casi, viene espressa come desiderio, preferenza, volontà, speranza: “Mi piacerebbe, sarebbe meglio, sarebbe bello…”.

Come precedentemente anticipato, si riflette in una reazione emotiva moderata o comunque adeguata allo stimolo. Proprio per questo, consente di raggiungere le finalità e gli scopi che l’individuo si è prefissato (Brondino, 1981).

Secondo Ellis (2012), le convinzioni razionali comprendono:

– pensieri freddi: sono il risultato di una rappresentazione oggettiva di una situazione. Si tratta di pensieri descrittivi, privi di giudizi soggettivi, che rendono l’individuo emotivamente neutrale;

– pensieri caldi: esprimono desideri, aspettative, preferenze e avversioni. Essi giudicano e valutano gli avvenimenti in relazione ai propri obiettivi fondamentali. Esso è principalmente caratterizzato dall’essenza probabilistica piuttosto che sulla certezza e dalla facoltà di indurre l’individuo ad assumere uno stato ottimistico.

Convinzioni irrazionali (RB)

La terapia razionale-emotiva comportamentale definisce “irrazionali” i pensieri che conducono gli individui ad avere reazioni emotive esageratamente negative in rapporto ad una data situazione. Generalmente, vengono attribuite ai pensieri irrazionali le seguenti caratteristiche: descrivono in modo non realistico gli eventi distorcendoli; sono pensieri esagerati, assolutistici; non aiutano a raggiungere i propri scopi; conducono a reazioni emotive eccessivamente intense e prolungate (Di Pietro, 1999).

Tuttavia, possiamo affermare che le convinzioni irrazionali differiscono da quelle razionali per due motivi. In primo luogo perché sono di natura assolutistica o dogmatica, e vengono espresse in termini di doveri, bisogni necessità… E in secondo luogo perché si accompagnano ad emozioni negative come l’ansia, la depressione, la colpa e la rabbia, che interferiscono notevolmente nel perseguimento degli scopi dell’individuo (Di Pietro, 1998).

Secondo Ellis, le convinzioni irrazionali provengono, prima di tutto, dalla tendenza degli individui ad accettare e creare idee autolesive, successivamente, tali idee, possono essere potenziate dall’ambiente in cui viviamo, in grado di imporci veri e propri guai come: problemi economici, malattie e ingiustizie, e che spesso incoraggia in noi un modo rigido di pensare (Ellis, 2012).

Sulla base di quanto sostenuto dalla REBT, i principali contenuti irrazionali del dialogo interiore sono:

– Pensiero assolutistico: è una modalità di pensiero che viene generalmente espressa con i termini quali “devo assolutamente”, “bisogna sempre”. Tale pensiero viene considerato illogico per il fatto che viene trasformato un obiettivo preferibile (credenza razionale) in un’esigenza assoluta, che assume la forma di “doverizzazione” (Di Pietro, 1999). Ellis considera le “doverizzazioni” come principale causa dei disturbi emotivi, a tal punto che, a suo avviso, se gli individui iniziassero a fare in modo che le proprie volontà si presentino come “preferenze” (mi piacerebbe molto) piuttosto che come “doverizzazioni” (è indispensabile), ci sarebbero molte meno probabilità o addirittura risulterebbe impossibile essere disturbati da qualsiasi cosa (Ellis, 2012);

– Pensiero catastrofico: consiste nell’amplificare l’aspetto spiacevole o doloroso di certi eventi;

– Intolleranza, insopportabilità: pensieri che esprimono una bassa tolleranza nei confronti delle frustrazioni o degli eventi spiacevoli;

– Svalutazione globale di sé o degli altri: consiste nel ritenere che, poiché abbiamo fallito in qualcosa, si tratti quindi di un fallimento totale. La svalutazione globale può essere rivolta anche agli altri, e in questo caso si è convinti che, poiché uno o più aspetti del comportamento di una persona sono negativi, allora l’intera persona è negativa;

– Indispensabilità, bisogni assoluti: è un modo di pensare che ci conduce a considerare indispensabile ciò che in realtà è semplicemente, desiderabile, auspicabile, utile, ma di cui possiamo anche fare a meno, pur con qualche inconveniente. Con questa forma di pensiero trasformiamo certi eventi, certe persone o certi oggetti in qualcosa di essenziale per la nostra felicità;

– Generalizzare: sono generalizzazioni estreme come “tutti”, “mai”, “nessuno”, che ci conducono ad assumere una visione disfattista della realtà (Di Pietro, 1999).

In corrispondenza delle idee irrazionali da cui derivano, Ellis suddivide i disturbi psicologici in due categorie generali. Nella prima, sono contenuti i “disturbi relativi all’io” in cui il soggetto pone dogmatiche pretese nei confronti di se stesso, degli altri e del mondo, e se tali pretese non vengono soddisfatte l’individuo si affligge profondamente. L’irrazionalità di questo atteggiamento riguarda il suo assolutismo che interferisce nella realizzazione degli scopi fondamentali dell’individuo. Sarebbe, invece, preferibile assumere un atteggiamento razionale di auto-accettazione e di rifiuto di giudicarsi globalmente. Nella seconda, sono presenti i “disturbi da disagio” in cui l’individuo avanza ugualmente pretese verso se stesso, gli altri e il mondo, collegate a regole dogmatiche sul fatto che lui deve stare bene e che le sue condizioni di vita devono essere agevoli. Se tali pretese non si realizzano, l’individuo si affligge dichiarando insopportabile il disagio che ne consegue. Possiamo notare che questa ultima categoria, richiama il concetto di bassa tolleranza alla frustrazione. Sarebbe, quindi, più corretto tollerare il disagio in modo da favorire il perseguimento degli scopi fondamentali dell’individuo (Di Pietro, 1998).

Quanto riportato sinora aiuterà a comprendere il motivo per cui Ellis considera le convinzioni irrazionali come i contenitori dei cosiddetti “pensieri bollenti”. Essi esprimono forti valutazioni circa gli avvenimenti e hanno un carattere assolutistico, dogmatico e imperioso. Possiedono una maggiore influenza su di noi e creano sentimenti più intensi di quanto non facciano i pensieri “freddi”. A tal proposito, vengono definiti “convinzioni irrazionali” in quanto, nella maggior parte dei casi, provocheranno uno stato forte di ansia e influiranno negativamente sull’esito delle nostre azioni.

Sulla base di quanto ribadito più volte rispetto al fatto di essere noi stessi i principali artefici delle idee irrazionali, secondo Ellis, abbiamo sempre noi il potere di controllarle, o meglio, modificarle (Ellis, 2012).

Le conseguenze (C)

La lettera “C” indica quelle che sono le conseguenze delle credenze contenute in “B”. Esistono tre tipi di conseguenze: emotive, comportamentali (azioni manifeste o tendenze all’azione) e di pensiero (Dryden, 2012).

Secondo Ellis, le conseguenze, a seconda che derivino da pensieri razionali o irrazionali, possono essere costituite da sentimenti “appropriati” considerati positivi in quanto utili ad affrontare eventi indesiderabili e a lottare per un futuro migliore; oppure possono essere caratterizzate da sentimenti “inappropriati” ritenuti dannosi in quanto indeboliscono la nostra capacità di fronteggiare le situazioni e ci impediscono di migliorare le nostre condizioni di vita (Ellis, 2012).

La REBT, affida sempre all’individuo la possibilità di scelta, in questo caso, tra provare grande preoccupazione per la propria incolumità ed il lasciarsi andare al panico e al terrore. (Ellis, 2012).

La distinzione che la teoria della REBT elabora tra i sentimenti “appropriati” e quelli “inappropriati” risulta una parte meno menzionata dalla letteratura (Dryden, 2012). Tuttavia, nei paragrafi seguenti saranno riportate le informazioni necessarie a far comprendere al lettore le varie differenze in modo da acquisire un’adeguata visione del funzionamento complessivo del modello ABC.

Sentimenti appropriati

I sentimenti appropriati possono anche essere riconosciuti come “emozioni negative utili” o “ENU”.

In corrispondenza della teoria formulata dalla REBT, le “ENU”, derivano da credenze razionali. Proprio per questo, la terapia ideata dalla REBT, a differenza degli altri approcci all’interno del modello cognitivo-comportamentale, non aiuta la persona ad essere meno ansiosa in corrispondenza di un evento negativo poiché ciò significherebbe sostenere la persona a mantenere la sua credenza irrazionale con un’intensità meno forte; piuttosto cerca di intervenire in maniera tale da indurre il soggetto a pensare in maniera razionale. In tal senso, il suo obiettivo diverrà quello di aiutare la persona che si sente ansiosa a sentirsi preoccupata per uno stesso evento (Dryden, 2012).

Sostenendo tale ipotesi, le “emozioni negative utili” appaiono ben distinte qualitativamente da quelle “negative dannose” e sono costituite da sentimenti quali: preoccupazione, tristezza, rimorso, delusione, dolore, rabbia funzionale, gelosia funzionale e invidia funzionale. Si giungerà così a comprendere che le emozioni positive funzionali (come ad esempio la gioia) derivino da credenze non dogmatiche e non estreme (Ellis, 2012).

Sentimenti inappropriati

La categoria dei sentimenti inappropriati include: ansia, depressione, colpa, vergogna, senso di offesa, rabbia disfunzionale, gelosia disfunzionale e invidia disfunzionale.

La REBT, tuttavia, definisce tali sentimenti dannosi in quanto essi sono generati da “doverizzazioni” non realistiche per le quali le situazioni spiacevoli “non devono assolutamente esistere” e in quanto interferiscono con il nostro tentativo di modificare queste situazioni, quando esse effettivamente esistono.

Proprio per questo, la REBT, a differenza di molte altre terapie mostra agli individui non solo come entrare in contatto con i propri stati d’animo negativi (e positivi), ma anche come acquisire consapevolezza della loro adeguatezza o inadeguatezza. Ciò serve ad incoraggiarli ad avvertire i propri stati d’animo e a valutare quanto essi siano desiderabili (Ellis, 2012).

I passi per elaborare un pensiero razionalmente efficace

Nell’intervento e nella pratica clinica, il modello ABC si prolunga e si arricchisce fino ad includere altre due lettere: una D e una E. Si tratta di una semplice estensione dell’ABC inserendo quelli che sono i passi fondamentali dell’intervento psicoterapeutico (De Silvestri, 1999).

La lettera “D” indica l’individuazione, la discriminazione e la discussione delle idee irrazionali. Attaccare i pensieri irrazionali significa indebolirne la forza, in modo da indurre nella nostra mente un dubbio sulla loro veridicità. Questo rende più facile sostituirli con altri più costruttivi (Di Pietro, 1999).

Infine, la lettera “E” sta ad indicare gli effetti dell’intervento a livello cognitivo, affettivo e comportamentale che sono stati concordati con il paziente e che si vogliono ottenere al fine di raggiungere una maggiore e migliore Efficienza di vita (De Silvestri, 1999).

In tal senso, Ellis, propone una risoluzione dei problemi dell’individuo servendosi dell’utilizzo di un metodo scientifico attraverso il quale si cerca di individuare e mettere in discussione la “doverizzazione” del soggetto che crea disagio. A suo avviso, solo in questo modo è possibile tornare a pensare in modo “equilibrato” (Ellis, 2012).

Modificare il proprio modo sbagliato di pensare

Il primo passo per modificare il proprio modo sbagliato di pensare è identificare e mettere in discussione i pensieri che attraversano la nostra mente e che determinano il modo in cui reagiamo in determinate circostanze e situazioni (Di Pietro, 1999). Questo può essere fatto ascoltando il nostro dialogo interiore: “Tutti quanti dentro di noi ci diciamo delle cose. A seconda di come parliamo a noi stessi possiamo sentirci meglio oppure peggio” (Di Pietro, 1999, IX).

I soggetti, per identificare le loro idee irrazionali, devono innanzitutto conoscere di che cosa siano, saperle distinguere da quelle razionali e indagare affinché venga riconosciuta la loro illogicità (Dryden, 2012).

Una volta aver acquisito l’abilità di identificare le idee irrazionali attivate in una data situazione, risulta necessario compiere il passo decisivo ovvero, metterle in discussione. La discussione si compone soprattutto di tre fasi principali:

1. Mettere in dubbio la validità e la consistenza delle convinzioni irrazionali;

2. Discutere e contestare tali convinzioni;

3. Sviluppare ed acquisire idee alternative, più razionali ed adeguate (Brondino, 1981).

La REBT, ritiene che mettere in discussione ripetutamente le proprie convinzioni irrazionali sia uno dei mezzi più importanti per superare i problemi emotivi. Confutare in modo deciso le proprie convinzioni irrazionali, vuol dire sottoporle a un’analisi incessante sulla base del metodo scientifico fino a dimostrare la falsità e potersene sbarazzare. In questo modo sarà possibile cambiare C, nonché il proprio disagio e la tendenza all’autodenigrazione. Come suggerito dalla REBT, persistere attivamente nella messa in discussione delle proprie convinzioni irrazionali, renderà difficile la ricomparsa dei disturbi emozionali (Ellis, 2012).

La discussione può essere cognitiva, emotiva o comportamentale, a seconda, delle modalità e delle aree di intervento.

Gli interventi e le tecniche a livello cognitivo consistono nell’indurre il soggetto ad abbandonare le vecchie idee irrazionali per mezzo di discussioni caratterizzate da una serie di domande tese a individuarne l’illogicità e l’inconsistenza (Brondino, 1981).

Altre tecniche cognitive tra le più usate sono: le affermazioni razionali di adeguatezza, l’inversione razionale dei ruoli, la dissertazione razionale, il proselitismo razionale e la biblioterapia (Ellis, 2012).

All’interno delle tecniche cognitive sono contenute anche quelle immaginative. La più nota di queste è identificata con il nome “immaginazione razionale-emotiva” o “REI”. Si tratta di rievocare o immaginare nella propria fantasia una situazione spiacevole cercando di provare lo stato d’animo disfunzionale a esso collegato (ad esempio intensa ansia e depressione). Successivamente, si tenterà di sperimentare un’emozione appropriata (preoccupazione o dispiacere) mentre si continua ad immaginare la situazione spiacevole. Questo metodo viene considerato molto efficace nel determinare a livello profondo il cambiamento nel proprio modo di pensare, spingendo il soggetto ad andare al di là del semplice insight intellettuale (Ellis, 2012).

Gli interventi e le tecniche a livello emotivo sono ampiamente evidenziate in quanto la REBT attribuisce molta importanza al fatto che i soggetti lavorino sulle loro emozioni allo scopo di cambiarle insieme ai loro pensieri e comportamenti (De Silvestri, 1981).

Le varie tecniche e strategie d’intervento sulle emozioni si fondano sull’interpretazione delle reazioni emotive, cercando di lavorare su di esse attraverso i vari elementi della sequenza: percezione-pensiero-emozione-comportamento (Brondino, 1981).

Infine, nella REBT vengono utilizzate innumerevoli tecniche comportamentali. Infatti, Ellis, ha evidenziato più volte l’impossibilità, in molte occasioni, di mutare le convinzioni irrazionali limitandosi ad interventi puramente cognitivi. Le principali tecniche comportamentali sono il condizionamento operante e la desensibilizzazione in vivo (Brondino, 1981). Tuttavia, l’applicazione di tali tecniche risulta un elemento necessario ma non sufficiente di una buona metodologia terapeutica in quanto, prima di tutto, si deve privilegiare la presenza dei fattori cognitivi nella produzione, nel mantenimento e nel cambiamento terapeutico dei disturbi. Tuttavia, il loro migliore impiego risulta quello effettuato in concomitanza con le altre modalità d’intervento (De Silvestri, 1981).

Più semplicemente, quello che Ellis ci invita a fare è mettere in discussione quelle che sono le nostre idee irrazionali, lavorare direttamente sui nostri sentimenti e sperimentarli vividamente e affrontare le nostre paure “fa-quel-che-hai-paura-di-fare” (Ellis, 2012).

Tra le varie tecniche e metodi che lo psicologo utilizza, sono molto famosi i cosiddetti “compiti per casa” che vengono assegnati al paziente tra una seduta e l’altra (Brondino, 1981).

Quanto detto fin ora riflette l’intento che Ellis si propone di realizzare attraverso l’applicazione delle tecniche REBT: trasformarci in appassionati scienziati in grado, ogni volta che avvertiamo la presenza di convinzioni irrazionali che ci rendono ansiosi, di opporre risposte razionali a convinzioni irrazionali (Ellis, 2012).

Elaborare una visione razionale della realtà

La REBT non si limita semplicemente a contestare le idee irrazionali delle persone ma cerca soprattutto di combattere le vecchie abitudini irrazionali di pensiero, di reazione emotiva inappropriata e di comportamento inadeguato, spingendo attivamente l’individuo ad assumere nuove abitudini di pensiero, emotive e di comportamento, più razionali, appropriate e adeguate (De Silvestri, 1981).

Quindi, il processo di correzione del dialogo interiore termina con la formulazione di un nuovo pensiero costruttivo in sostituzione di quello irrazionale (Di Pietro, 1999).

In questo caso è necessario affrontare l’ultima fase del modello, quella che chiama in causa la lettera “E”. Si tratta sostanzialmente di un negoziato tra terapeuta e paziente su quelli che sono gli scopi da raggiungere attraverso la psicoterapia affinché, quest’ultimo, possa condurre una vita maggiormente efficiente (Brondino, 1981).

Gli “effetti” che si intende raggiungere sono cambiamenti a livello cognitivo, emotivo e comportamentale. I cambiamenti a livello cognitivo consisteranno nella formulazione di nuove convinzioni e nuovi modi di pensare che tenderanno a generalizzarsi ad altre situazioni. I cambiamenti a livello emotivo prevedono un miglioramento dell’umore, una diminuzione dell’ansia, una riduzione della collera. I cambiamenti comportamentali condurranno ad uno spostamento della propria energia e delle proprie risorse verso il raggiungimento di quegli scopi il cui conseguimento era prima ostacolato da un’eccessiva reattività emotiva (Ellis, 2012).

Il punto E è prettamente caratteristico della REBT e la distanzia dalle altre tecniche cognitivo-comportamentali proprio per il fatto che incoraggia i pazienti a mettere in atto quello che viene definito un “profondo cambiamento filosofico”. Questo significa che la REBT cerca di aiutare le persone ad acquisire un atteggiamento di fondo da utilizzare per non causarsi sofferenza emotiva in un ampio numero di situazioni e non solamente con il problema emotivo-comportamentale con cui giungono in psicoterapia. Quindi, oltre al fatto di insegnare il contenuto delle filosofie razionali e come acquisirle cognitivamente per mezzo delle tecniche sopra riportate, la REBT mira ad insegnare anche come integrare al meglio queste filosofie nel sistema complessivo di credenze (Dryden, 2012).

Tutto l’intero modello non farà altro che mettere in luce l’obiettivo proposto dalla REBT, volto ad aiutare gli individui a raggiungere i propri scopi, nel modo più completo ed efficace. La REBT, sebbene non riconosca nessun obiettivo assolutistico, si fonda sul presupposto che la maggior parte delle persone siano più felici ed emotivamente più sane quando realizzano certi scopi come quello di avere un grado notevole di: interesse verso se stesse e verso gli altri, di autodeterminazione, di tolleranza, di duttilità, di accettazione dell’incertezza, d’impegno in qualche coinvolgente interesse vitale, e di autoaccettazione incondizionata (Brondino, 1981).

I successi terapeutici della REBT

La REBT, per la sua semplicità di costrutti, costituisce un modello particolarmente elastico e facilmente utilizzabile al di là del contesto clinico come, ad esempio, nell’ambito educativo con finalità preventive. In questo senso, si preferisce parlare di Educazione razionale-emotiva (Di Pietro, 1994).

Inoltre, molte ricerche internazionali, mettono in luce l’efficacia delle tecniche REBT nei diversi ambiti.

Di Pietro e l’educazione razionale emotiva

Dopo aver sperimentato con efficacia le applicazioni della REBT in ambito clinico, Ellis e i suoi collaboratori iniziarono ad utilizzare tali metodi nei bambini con finalità preventive. Cosicché, attorno agli anni Settanta, nasce l’Educazione razionale-emotiva, la quale non è altro che un’estensione in ambito educativo dei principi e dei metodi della REBT. Viene utilizzata l’espressione “razionale-emotiva” per riferirsi al fatto che, facendo ricorso alla propria capacità di pensare in modo razionale, diventa possibile prevenire e superare le difficoltà di natura emozionale (Di Pietro, 1994).

Attraverso l’educazione razionale emotiva si cerca di educare la mente del bambino al potenziamento di quell’aspetto dell’intelligenza che è in grado di favorire reazioni emotive equilibrate e funzionali. Il processo di educazione emotiva, viene quindi inteso come una strategia di prevenzione del disagio emotivo che si fonda su un vero e proprio lavoro di “alfabetizzazione emozionale”. Ciò significa, infatti, insegnare al bambino l’ABC delle proprie emozioni secondo il modello della REBT (Di Pietro, 1999).

Di Pietro (1999), attraverso i suoi studi, esprime enorme fiducia rispetto ai risultati che si possono conseguire insegnando la filosofia del pensiero razionale per permettere agli insegnanti e agli alunni una vita scolastica più felice e produttiva (Di Pietro, 1999). Attraverso la realizzazione di un piano di educazione razionale-emotiva, si promuovono esperienze di apprendimento tramite le quali l’alunno acquisisce consapevolezza dei propri stati emotivi e dei meccanismi cognitivi che li condizionano, per poi applicare tali conoscenze per risolvere i problemi e le difficoltà che incontra nella vita di ogni giorno (Di Pietro, 1999).

Esistono due possibilità di applicazione dell’educazione razionale-emotiva all’interno della scuola. La prima modalità è quella informale, attraverso cui l’insegnante introduce certi argomenti e certe procedure all’interno di altre discipline affrontando le situazioni problematiche che di volta in volta alcuni alunni possono presentare. La seconda modalità è quella formale. In questo caso, è organizzata una serie di lezioni strutturate all’interno di una particolare disciplina. A prescindere dalla modalità con la quale viene strutturato l’intervento di educazione razionale-emotiva, esso si articola attorno a tre aree principali (Di Pietro, 1994):

1. consapevolezza delle proprie reazioni emotive e ampliamento delle espressioni verbali adatte a descriverle;

2. consapevolezza della relazione esistente tra pensieri e stati d’animo e superamento dei modi di pensare irrazionali;

3. apprendimento di un repertorio di convinzioni razionali da utilizzare per affrontare specifiche difficoltà.

Dal momento che la nostra società rappresenta la prima propagatrice delle idee irrazionali (Ellis, 1989) uno degli interrogativi che ci si può facilmente porre è: “A cosa serve insegnare al bambino a pensare in modo razionale quando è esposto in continuazione a modelli di irrazionalità?”. A questo proposito, Di Pietro (1999) ritiene che una delle più importanti sfide dell’educazione razionale emotiva sia quella di agire affinché, prima o poi, si possa stabilire una coerenza tra il modo in cui le emozioni vengono affrontate a scuola e il modo in cui sono gestite in famiglia. Tuttavia, proprio l’irrazionalità diffusa all’interno della società dovrebbe apparire un incentivo che spinge ad applicare l’educazione razionale emotiva all’interno delle scuole in modo tale da insegnare al bambino come vivere razionalmente in un mondo prevalentemente irrazionale (Di Pietro, 1999).

Risultati provenienti dalle ricerche

Qui di seguito sono riportati i risultati evidenziati da diverse ricerche che si sono interessate di approfondire gli ambiti applicativi della REBT. Le informazioni derivate da questi studi offrono una testimonianza dei successi terapeutici della REBT.

In un articolo elaborato da Mario Di Pietro (1998), è espressa l’interessante efficacia delle tecniche REBT per aiutare i pazienti, attraverso 15 sedute, a superare problemi d’ansia come attacchi di panico, agorafobia e fobie specifiche. È importante precisare che alla fine del trattamento REBT non si intenda arrivare ad una scomparsa totale del disturbo ma a far acquisire all’individuo abilità di fronteggiamento che lo mettano in grado di gestire l’ansia fino ad arrivare ad una graduale estensione del panico. In particolare, quello che Di Pietro mette in mostra è il successo che hanno tecniche come la ripetizione delle discussioni irrazionali nel corso della terapia, il riascolto sistematico della registrazione delle sedute, la lettura di materiale di auto-aiuto e il ricorso ad altre tecniche REBT quali l’immaginazione razionale-emotiva, nell’aiutare il paziente a conseguire una trasformazione del proprio sistema di convinzioni e a superare i suoi problemi (Di Pietro, 1998).

Cesare De Silvestri (1998) presenta la possibile efficacia del trattamento REBT per fronteggiare gli episodi di suicidio. In questo caso, il compito del terapeuta sarà quello di contrastare le elaborazioni cognitive del paziente, che sono le massime determinanti delle sue più acute sofferenze e discutere con lo stesso la sua opinione rispetto al fatto che non valga la pena continuare a vivere. Soprattutto nei casi in cui l’intenzione suicida non sia veramente seria, l’autore evidenzia la necessità di lavorare sulla bassa tolleranza alla frustrazione del paziente, gravissimo disturbo da disagio che rappresenta, insieme ai disturbi dell’io, una delle due massime categorie psicopatologiche indicate da Ellis nella sua recente revisione delle idee irrazionali (De Silvestri, 1998).

Raffaella Avigo (1998) testimonia, invece, la particolare adattabilità del modello REBT per aiutare i genitori di minori con disabilità. L’autrice, sostiene che le tecniche REBT possono essere applicate e apprese con relativa facilità e rapidità da questi genitori per mezzo di gruppi sia di parent-training sia di self-help. Infatti, l’atteggiamento positivo, promosso dalla REBT, nei confronti della vita e delle sue difficoltà anche in situazioni gravi come la presenza di un figlio portatore di handicap, stimola i genitori a gestire meglio la loro condizione. In altre parole, la REBT aiuterebbe queste persone ad acquisire la capacità di affrontare i problemi quotidiani collegati alla loro disabilità, nonché di gestire lo stress che essi comportano (Avigo, 1998).

I risultati di una ricerca condotta su adolescenti nigeriani (2006), testimonia l’enorme riuscita del trattamento REBT come supporto ai soggetti con problemi di adattamento emozionale e come tecnica volta ad alleviare il livello di ansia e di stress degli adolescenti. Lo studio esemplifica, inoltre, la rapidità con la quale si può conseguire tali risultati. Infatti, questi studenti, sono stati esposti al trattamento REBT per un tempo di due ore alla settimana per sei settimane. Tale studio, è una vera e propria testimonianza di come i problemi di adattamento emozionale degli adolescenti possono essere risolti attraverso la REBT. Gli studenti stessi, hanno affermato, alla fine del trattamento, che il loro livello d’ansia si riduce quando pensano logicamente e razionalmente (Adomeh, 2006).

David et al. (2008), hanno condotto uno studio che risalta la combinazione REBT, farmacoterapia e terapia cognitiva come strumenti volti ad alleviare i disturbi di pazienti affetti da depressione maggiore non psicotica. Questo studio, prevede l’associazione della REBT con la terapia cognitiva (CT) in quanto si ritiene che le strategie classiche di CT non presentino sufficiente attenzione al cambiamento di credenze irrazionali la cui ristrutturazione sembrerebbe essere un processo sufficiente a garantire il cambiamento dell’umore depresso. Appare così che, alla base della depressione, vi siano delle idee irrazionali che richiedono di essere indagate (David et al., 2008).

Uno studio di Dryden e David (2008), presenta la REBT come la più efficace tra le terapie cognitivo-comportamentali per un ampio spettro di disturbi e popolazioni. In particolare, si evidenzia la sorprendente efficacia del trattamento REBT, rispetto agli altri approcci, soprattutto per quanto riguarda la cura del disturbo ossessivo-compulsivo, fobia sociale e ansia sociale. Allo stesso tempo, però, viene ribadito il fatto che si tratti di risultati di ricerche che hanno analizzato la REBT considerando solo il punto di vista cognitivo, senza prendere atto degli altri due aspetti che la costituiscono, quello comportamentale ed emozionale. Tutto ciò lascia pensare che se si avviassero nuove ricerche si potrebbe giungere ad altri risultati sorprendenti (Dryden-David, 2008).

Barker e Turner (2012), attraverso una ricerca, hanno esaminato l’efficacia dell’intervento REBT a favore della diminuzione dell’ansia da prestazione dei giocatori di cricket (Barker-Turner, 2012).

Un articolo di Banks (2011) presenta i risultati di numerose ricerche che mettono in evidenza gli enormi vantaggi che si potrebbero conseguire se le tecniche REBT venissero applicate all’interno di contesti educativi. Quasi tutti gli studi, hanno lo scopo di fornire un metodo strutturato per l’elaborazione delle emozioni estreme al fine di preservare la propria salute mentale. Infatti, si parte dal presupposto che sia i bambini sia gli adulti, possano presentare credenze irrazionali in grado di condurli ad avere un disturbo emotivo. Le ricerche riportate nello studio, hanno dimostrato l’efficacia della REBT con i bambini in età scolare nel trattamento di un certo numero di problemi psicologici e comportamentali tra cui i disturbi della condotta, bassa tolleranza alla frustrazione, scarsa autostima e precario concetto di sé. Nei programmi educativi della REBT è stato quindi insegnato ai bambini a riconoscersi come responsabili delle proprie emozioni e ad adottare le tecniche cognitive, emotive e comportamentali per ridurre i sentimenti, i comportamenti e i pensieri inadeguati. Quasi tutti i ricercatori, per raggiungere i risultati conseguiti, hanno utilizzato un’integrazione sistematica dei principi della REBT con varie attività in grado di promuovere il coinvolgimento degli studenti. Tuttavia, Banks, attraverso l’esposizione dei successi delle varie ricerche sulle applicazioni didattiche della REBT, vuole suggerire come, apportando adeguate modifiche, la REBT possa risultare efficace nel contestare le credenze irrazionali dei bambini e degli adolescenti all’interno delle scuole (Banks, 2011).

Stato attuale della REBT

A partire dalla sua nascita, le conoscenze sulla REBT si sono notevolmente affinate, non solo per mezzo della creatività del suo fondatore, ma anche grazie ai notevoli contributi innovativi forniti dai diversi collaboratori di Ellis. Infatti, una caratteristica alla quale la REBT è rimasta sempre fedele, è quella di avvalersi dell’utilizzo di un metodo scientifico. È proprio questo che, nel tempo, ha permesso di convalidare numerosi assunti teorici e metodi terapeutici adottati dalla REBT (Di Pietro, 1993).

In Italia, Ellis, era principalmente identificato come un sessuologo. Questo perché, i primi libri dello psicologo americano tradotti in Italia, appartenevano al primo periodo della sua carriera. Alcuni editori, approfittarono della “rivoluzione sessuale” degli anni ‘60, periodo in cui si svilupparono nuovi interessi verso la sessualità e la liberazione dei costumi sessuali, per tradurre i libri che nel mercato anglosassone avevano riscosso maggiore successo, tra cui quelli di Ellis, come ad esempio Arte e scienza dell’amore (1965) (De Silvestri, 1981).

Lo stesso non avvenne per quanto riguarda le pubblicazioni dell’autore relative alla teoria della REBT. Mentre Ellis rappresentava un personaggio di spicco in tutto il resto del mondo, in Italia, era considerato un perfetto sconosciuto. De Silvestri spiega questa disattenzione da parte dell’Italia, come il risultato di una serie di elementi che contribuiscono a mantenere la nostra atmosfera culturale e scientifica, sotto certi aspetti, limitati, ristretti e provinciali (Ibidem).

Con il passare del tempo, l’interesse nei confronti della REBT iniziò ad aumentare. I principali esponenti italiani di questo movimento, possono essere identificabili nelle figure di Cesare De Silvestri e Mario Di Pietro. Cesare De Silvestri è stato il primo allievo italiano di Ellis e presidente dell’istituto RET italiano, successivamente divenuto istituto REBT (Di Pietro, 1994). Mario di Pietro ha sottolineato come la REBT può trovare ampia applicazione nel contesto scolastico ed educativo, rappresentando un ottimo strumento preventivo nei confronti del disagio psicologico in età evolutiva (Di Pietro, 1994). Pertanto, la diffusione della REBT nel mondo, iniziata già negli anni ’50-’60, ha dato luogo a sedi nazionali, rappresentanti e psicoterapeuti in Canada, America Latina (Argentina, Messico, Perù) e Bermuda, in molti stati europei (Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Olanda, Spagna, Svizzera, ex-Yugoslavia), ed extraeuropei (Sud Africa), nel medio ed estremo oriente (Israele, Pakistan, Taiwan, Turchia ) e sino all’Australia e la Nuova Zelanda.

In Italia, il primo istituto REBT venne fondato a Roma nel 1981 da Cesare De Silvestri e Carola Schimmelpfennig, che ha forgiato molti psicoterapeuti italiani REBT.

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Sitografia

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